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Sfratto per morosità e mancata mediazione

La Corte d’Appello ha confermato la sentenza di sfratto, rigettando le doglianze sulla mediazione obbligatoria. Ha ritenuto che le istanze di rinvio e le eccezioni di nullità fossero strumentali a rendere improcedibile la domanda. Ha ribadito che il giudice può riattivare la mediazione viziata da meri errori, privilegiando soluzioni conciliative e l’accesso alla giustizia.

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Pubblicato il 6 aprile 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 274/2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI FIRENZE Sezione Terza

Civile LOCAZIONI

La Corte di Appello di Firenze, in persona dei Magistrati: NOME COGNOME Presidente relatore NOME COGNOME Consigliere NOME COGNOME Consigliere ha pronunciato all’udienza del 19.3.2025, mediante lettura del dispositivo ex art. 437 co. 1^ c.p.c., la seguente

SENTENZA N._525_2025_- N._R.G._00000274_2024 DEL_22_03_2025 PUBBLICATA_IL_22_03_2025

nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 274/2024 promossa da:

(cf:

(cf: , con il patrocinio dell’Avv. COGNOME PARTE APPELLANTE nei confronti di (cf: ), con il patrocinio dell’Avv. NOME COGNOME

PARTE APPELLATA avverso la sentenza n. 1129/2023 emessa dal Tribunale di Arezzo e pubblicata il 24/11/2023.

CONCLUSIONI

In data 19.3.2025 la causa veniva posta in decisione sulle seguenti conclusioni:

Per la parte appellante:

Piaccia all’on.le Corte di Appello di Firenze, previa sospensione dell’efficacia esecutiva dell’impugnata sentenza, in accoglimento dei motivi di gravame ed in riforma dell’impugnata sentenza:

C.F. C.F. C.F. dichiarare la nullità della sentenza impugnata per l’improcedibilità della domanda per violazione dell’articolo 5, comma 1 bis (o 5 nel caso di previsione contrattuale), del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, perché l’intimante non ha esperito il procedimento di mediazione.

Riformare la impugnata sentenza e, per l’effetto, respingendo la domanda di risoluzione del contratto di locazione de quo, per quanto dedotto in primo grado e nel presente atto, e comunque perché del tutto infondata in fatto e in diritto, con il favore delle spese ed onorari del doppio grado di giudizio con attribuzione al sottoscritto procuratore antistatario per dichiarazione di fattone anticipo.

Per la parte appellata:

1) RIGETTARE l’appello avversario e, per l’effetto, confermare integralmente la sentenza emessa dal Tribunale di Arezzo, in quanto conforme ai principi di diritto applicabili e adeguatamente motivata.

2) CONDANNARE l’appellante alla rifusione delle spese di lite del presente grado di giudizio, con attribuzione oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, con aumento del compenso liquidato del 30%, ai sensi dell’art. 4, comma 1-bis, del D.M. 55/2014 per tecniche informatiche 3) CONDANNARE l’appellante al risarcimento del danno da lite temeraria, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., nella misura che sarà ritenuta di giustizia, in ragione del carattere manifestamente infondato e strumentale dell’appello proposto.

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Il Tribunale di Arezzo, con sentenza n. 1129/2023 emessa e pubblicata il 24/11/2023, ha così deciso:

accertato l’assolvimento da parte dell’opposto dell’onere di attivazione del procedimento di mediazione obbligatoria accertato l’inadempimento delle conduttrici al proprio obbligo di pagamento del canone di locazione per loro esclusivo fatto e colpa accertato che i canoni dovuti, a seguito di formale comunicazione, devono intendersi quelli con aggiornamento ISTAT dalla data della comunicazione dichiara la risoluzione del contratto locativo abitativo tra sottoscritto in data 17/12/2018 relativo all’immobile sito in Monte San Savino (Ar) in INDIRIZZO Condanna in solido al pagamento in favore di dei canoni scaduti, pari ad € 4.568,78, nonché dell’indennità di occupazione dalla sentenza fino all’effettivo rilascio dell’immobile pari mensilmente al canone ex art 1591 cc Condanna altresì in solido al pagamento in favore di delle spese di lite, che si liquidano in € 512,00 per compensi della fase di convalida ed € 1.591,00 per compensi della fase di merito (DM 55/2014 scaglione 1.100 / 5.200 valore medio) oltre 15% per spese generali, € 120,00 per anticipazioni, c.p.a. ed i.v.a. come per legge Sentenza pubblicata mediante lettura alle parti ed allegazione al verbale. 1.1 il 25.11.2022 aveva intimato sfratto per morosità a rispetto al contratto di locazione abitativa con loro stipulato il 17.12.2018, registrato il 18.12.2018, per l’immobile sito in Monte San Savino INDIRIZZO. Aveva dedotto che le conduttrici, nel periodo dal 16.12.2020 al 16.8.2022, avevano accumulato una morosità di € 2.180,00, avendo pagato i canoni spesso in misura assai inferiore a quella stabilita (di € 460,00 al mese);

né avevano pagato gli oneri accessori, per € 120,27 (2018/2019), € 166,74 (2020/21) ed € 74,44 (acconto anno 2022).

1.2 avevano opposto lo sfratto, contestando l’esistenza dei presupposti per la risoluzione, in loro danno, della locazione.

1.3

Il giudice aveva negato l’ordinanza di rilascio provvisoria e, prima di mutare il rito, aveva disposto la mediazione obbligatoria.

Così il primo giudice riepiloga l’andamento successivo del processo:

Alla successiva udienza del 31.3.23 fissata per la verifica dell’esito della mediazione parte opponente non si presentava depositando note con cui si contestava la regolarità dello svolgimento del procedimento di mediazione per non aver potuto partecipare all’incontro e che nonostante ciò la mediazione fosse stata chiusa A fronte di tale contestazione, rilevato che l’eventuale irregolarità non poteva imputarsi all’intimante e quindi non poteva comportare l’improcedibilità della domanda ma che andava comunque salvaguardata l’effettività dello svolgimento della mediazione, il GI disponeva che si procedesse a nuova convocazione alla successiva udienza era dato atto che la mediazione aveva avuto esito negativo (veniva depositato verbale) per mancata comparizione delle opponenti e quindi il GI assegnava termini per memorie integrative All’esito di queste, rigettate le istanze istruttorie di parte opponente, la causa era inviata all’udienza odierna per discussione con scambio di memorie La decisione, per quanto ancora interessi, è stata motivata sul rilievo che: (-) le conduttrici risultavano morose per € 1.340,00 alla notifica della intimazione;

e di € 420,00 alla data della udienza;

e che ciò integrava grave inadempimento;

(-) la eccezione sollevata dalle conduttrici in merito a un preteso indebito aumento del canone in base agli indici I.Stat.

era infondata, trattandosi di un diritto del locatore;

(-) le ampie doglianze mosse sull’andamento della mediazione e sulla sua asserita invalidità erano pure prive di fondamento (sent., pagg. 7-8):

Le contestazioni avanzate possono così sintetizzarsi:

erroneamente il mediatore avrebbe dichiarato la mancata presenza della parte all’incontro del 16.3.23;

erroneamente il GI avrebbe consentito di riattivare la fase di mediazione;

erroneamente questa successiva fase è stata affidata allo stesso mediatore;

la mediazione avrebbe superato i limiti temporali di legge.

Rispetto alle prime due contestazioni, questo GI ha già avuto modo nella propria ordinanza di chiarire come (nel contesto generale della normativa sulla mediazione) sia fondamentale, al fine di mettere le parti nelle condizioni di trovare un accordo, che la mediazione sia effettiva.

In tal senso, dunque, rilevato che (nonostante quanto si dirà in seguito) alle opponenti non era stato inviato il link per la connessione da remoto per l’udienza del 16.3.23, proprio per rendere effettiva la fase di mediazione, in quanto ai fini formali che ci occupano sarebbe stato sufficiente per proseguire il giudizio la semplice attestazione del mediatore di mancata presenza, si è ritenuto all’udienza del 31.3.23, a cui l’opponente era immotivatamente assente, di aderire alle irrituali richieste della stessa parte e disporre una remissione in termini per consentire l’effettivo incontro in mediazione. E’ di piena evidenza come la irregolarità rilevata dall’opponente, dipesa da un mero errore materiale nella trasmissione della comunicazione, non può certo comportare una responsabilità della parte onerata della mediazione obbligatoria, la quale deve considerarsi come adempiente ogni qual volta essa provveda a richiedere la mediazione nei tempi di legge e vi partecipi attivamente (come in questo caso) e non può certo essere negativamente compromessa nel suo diritto con una declaratoria di improcedibilità della domanda a seguito di meri errori (emendabili) dell’organismo di mediazione nè – tantomeno – del comportamento volutamente ostruzionistico della controparte. Si segnala infatti come l’incontro del 16.3.23 non fosse affatto il primo concordato, bensì faceva seguito ad una lunga serie di rinvii richiesti sempre in limine dalla difesa di parte opponente per motivazioni quantomeno “singolari”.

Il comportamento antigiuridico tenuto dalle opponenti nella fase della mediazione si evidenzia, oltre che in tali ripetute richieste di rinvio, dalla totale incongruenza delle richieste sviluppate:

da un lato si insorge perché l’errore dell’Organismo di mediazione non ha consentito alla parte di collegarsi e quindi l’effettivo svolgersi dell’incontro, dall’altro si contesta che il GI non doveva (non è ben chiaro in base a quale norma) disporre la rinnovazione della mediazione e quindi l’effettivo incontro delle parti;

da un lato si contesta che la mediazione sarebbe illegittima poiché avrebbe superato i termini previsti, dall’altro si è continuato (anche dopo la remissione in termini disposta dal giudice) a proporre defatiganti motivi di rinvio di qualunque incontro.

Parte opponente contesta altresì che il GI avrebbe dovuto formalmente esprimersi in merito all’eccezione di improcedibilità della domanda del locatore per mancato esperimento del procedimento di mediazione.

Appare ovvio rilevare come la norma imponga una espressa presa di posizione solo in caso egli rilevi la mancanza della condizione di procedibilità e che la prosecuzione del giudizio esprime invece una implicita dichiarazione di assolvimento dell’onere, che nel nostro caso era dimostrato dal deposito intervenuto da parte opposta degli atti del procedimento di mediazione ivi compreso il verbale negativo per mancata comparizione delle opponenti del 26.5.23 (incontro disposto a seguito della remissione in termini ordinata dal GI). Nulla rileva la menzionata ordinanza della C Cass 22038/2023 che ha ad oggetto la fissazione di termine per istanze istruttorie in pendenza di termini per introdurre la mediazione, mentre in questo caso la mediazione era già conclusa.

Rispetto all’eccezione formulata in ordine alla incompatibilità del mediatore rispetto alla riattivazione della mediazione, va detto che il giudice non ha alcun potere di scegliersi il mediatore che più gli aggrada e tantomeno di imporre che lo stesso sia sostituito, rientrando questo nei poteri dell’Organismo di Mediazione.

Va detto inoltre che tale indagine è stata ritualmente espletata dal predetto Organismo proprio a seguito della segnalazione delle opponenti, senza rilevare alcun motivo di incompatibilità.

Va detto ulteriormente che quanto rilevato rispetto all’attività del mediatore (comunicazione priva di link) è frutto al massimo di un mero errore di cancelleria e pertanto senza nessuna rilevanza in termini di sua presunta imparzialità Sul superamento dei limiti temporali di legge si è già detto, evidenziando come sia stata concretamente parte opponente a “bloccare” ogni possibile incontro con rinvii quasi tutti immotivati (in termini giuridici) ed intempestivi Vanno pertanto rigettate tutte le eccezioni preliminari delle opponenti quanto al preteso mancato assolvimento dell’obbligo di mediazione con conseguente improcedibilità della domanda. 2.

Con ricorso depositato il 7.2.2024, regolarmente notificato con il decreto di fissazione udienza, (di seguito anche appellanti) hanno convenuto in giudizio, innanzi questa Corte di Appello, di seguito anche appellato), proponendo gravame avverso la suddetta sentenza per i seguenti motivi di appello:

2.1 “1) NULLITA’ DELLA SENTENZA IMPUGNATA PER VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ ART. 5 DEL D.LGS N. 28 DEL 2010 E VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 157 COMMA 3 C.P.C- IMPROCEDIBILITA’ DELLA DOMANDA PER VIOLAZIONE DELL’ART. 5, COMMA 1 BIS DEL DECRETO LEGISLATIVO 4 MARZO 2010, n. 28, PERCHE’ L’INTIMANTE VENTURI NON HA UTILMENTE ESPERITO IL PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE OBBLIGATORIA NEI CONFRONTI DI Le appellanti, sotto questo complessivo titolo, contestano, per svariate ragioni, l’omesso rilievo della nullità, invalidità e inefficacia della mediazione;

dalla quale sarebbe derivata l’improcedibilità della domanda e, comunque, l’invalidità del processo e della sentenza.

2.2 “2) OMESSA – INSUFFICIENTE MOTIVAZIONE” Nel merito, le appellanti sostengono che l’aumento del canone operato dal locatore ex indici I.Stat. era indebito, per violazione dell’art. 79 co. 1^ L. 392/1978, « in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non solta to in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti » (appello, pag. 35).

2.3 “3) NULLITA’ DELLA SENTENZA IMPUGNATA CON LA QUALE È STATO ADOTTATO UN NUOVO DISPOSITIVO DI CONTENUTO DIVERSO DAL PRECEDENTE.

” Prosegue l’appellante nel modo che segue:

« Si rileva inoltre l’immodificabilità del dispositivo nel rito del lavoro nel quale rientra la presente controversia e del suo contrasto con la motivazione (che adotta un nuovo dispositivo).

La Corte di cassazione ha precisato più volte che, nel rito del lavoro, il dispositivo letto in udienza non è più modificabile da parte del giudice che ha emesso la decisione, sicché è radicalmente nulla la sentenza con la quale sia stato adottato un nuovo dispositivo, di contenuto diverso dal precedente.

» (ivi).

2.4 “4) NULLITA’ DELLA SENTENZA IMPUGNATA, PER OMESSA LETTURA DEL DISPOSITIVO IN UDIENZA.

VIOLAZIONE DELL’ART. 429 COMMA 1 C.P.C.” Le appellanti sostengono, poi, che il dispositivo non sia stato letto in udienza, discendendone la nullità della sentenza.

Per tali ragioni è stata pertanto formulata dalla parte APPELLANTE richiesta di riforma della sentenza gravata, previa sospensione della sua esecutività, in accoglimento delle conclusioni come in epigrafe trascritte con condanna della controparte alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, da distrarre in favore del procuratore antistatario.

3. Radicatosi il contraddittorio, nel costituirsi in giudizio, ha contestato, perché infondate, le censure mosse da parte appellante nei confronti della sentenza impugnata, della quale ha chiesto per contro la conferma con vittoria delle spese anche in questo grado di giudizio, nonché con condanna della controparte per responsabilità processuale aggravata.

4.

La causa è stata decisa (mediante emissione e lettura del dispositivo) alla prima udienza di discussione del 19.3.2024, a seguito di discussione orale, come da verbale di udienza.

*** L’appello è manifestamente infondato e va respinto, con integrale conferma della sentenza impugnata e condanna delle appellanti ai sensi dell’art. 96 co. 3^ c.p.c.- 5. Il primo motivo – che impegna per lunghe pagine, non sempre di agevole lettura, per le frequenti ripetizioni, il gravame – è manifestamente infondato.

5.1 È documentato (doc. 8 1^ grado) che il 27.2.2023 l’intimante/opposto, mediante pec, comunicò che la mediazione (introdotta dopo la conclusione della fase speciale), era fissata al 27.2.2023 ore 11,00 presso l’Organismo Mediazione Forense di Arezzo (procedura n. 22/2023).

Il 23.2.2023 il difensore delle conduttrici, via pec, chiese un differimento dell’incontro, per impedimento professionale.

La segreteria dell’Organismo comunicò alle parti che l’incontro era spostato al 10.3.2023 ore 9,00.

Il 9.3.2023, il difensore delle conduttrici chiese ulteriore differimento, per impedimento malattia);

integrò l’istanza sostenendo che neppure l’altra opponente avrebbe potuto presenziare, dovendo assistere la madre malata.

L’incontro venne aggiornato al 16.3.2023 e ivi si concluse in difetto della parte conduttrice.

Il difensore delle conduttrici, con pec del 28.3.2023, dando atto di avere ricevuto il 27.3.2023 il verbale del 16.3.2023, eccepì la mancata ricezione dell’invito.

Alla udienza del 31.3.2023, il giudice, pur in assenza, ingiustificata, della parte convenuta, preso atto delle lamentele contenute in una nota scritta depositata e ritenuto che, peraltro, nessuna censura poteva attribuirsi alla parte attrice, bensì, al più, all’Organismo di mediazione, dispose che “la parte opposta provveda entro 15 giorni a richiedere la riapertura del fascicolo di mediazione e a far fissare con tempestività nuovo incontro senza ulteriori rinvii”, differendo la causa al 16.6.2023.

Il 17/19.4.2023 le conduttrici ricusarono ex art. 14 co. 2^ D. Lgs 28/2010 il mediatore, per difetto di imparzialità, ma la Presidente dell’Organismo, con provvedimento n. 518/2023 del 20.4.2023, rigettò la ricusazione e fissò nuovo incontro per il 16.5.2023.

Il difensore delle conduttrici, adducendo legittimo impedimento per altro processo, chiese un rinvio;

così come chiese rinvio dell’incontro differito al 26.5.2023 per l’impossibilità di raggiungere la sede della mediazione a causa dello sciopero dei trasporti.

Il 26.5.2023, nondimeno, ebbe luogo l’incontro, presente e il suo difensore, assente la controparte.

Si ritenne, in quella sede, che la giustificazione addotta (sciopero dei trasporti) non fosse recepibile, perché il problema era stato segnalato dieci giorni prima, talché l’Avv. COGNOME avrebbe potuto tempestivamente chiedere l’attivazione del collegamento da remoto;

né, comunque, era stata data prova del tentativo di utilizzare mezzi diversi dal treno.

Alla udienza del 16.6.2023, la parte opposta rinnovò le sue eccezioni di nullità e invalidità della mediazione, aggiungendo altresì, a sostegno, che il procedimento aveva comunque avuto una durata superiore ai tre mesi.

5.2

Le doglianze della parte appellante sono, ad avviso del collegio, tutte infondate:

5.2.a

Nessun vizio attinente alla convocazione degli incontri (come via via rinviati e sempre su istanza della parte intimata/opponente) s’è mai consumato:

a dispetto delle lamentele della parte impugnante, risulta dalla documentazione del procedimento di mediazione che è sempre stata assicurata alle la conoscenza delle date, tanto che il loro difensore ha sempre potuto chiederne il rinvio, per un motivo o per l’altro.

Anzi, il Tribunale, con l’ordinanza resa all’udienza del 31.3.2023, verosimilmente allo scopo di evitare pretestuose contestazioni, dispose che il procedimento fosse proseguito (su questo, si tornerà:

infra, §§ 5.2.g e 5.3).

5.2.b Se anche si fossero verificati vizi nella comunicazione, peraltro, essi sarebbero stati tutti sanati con la fissazione dell’incontro del 26.5.2023, che è stato l’unico nel quale si è tenuta una attività rilevante, ossia quella di constatare l’assenza della parte intimata, nel considerarla ingiustificata e nel redigere un verbale ovviamente negativo, a conclusione della procedura:

ed è con riferimento a questo incontro che il Tribunale ha reputato integrata la condizione di procedibilità.

Per tale incontro, le erano senz’altro state informate debitamente, tanto che la loro difesa fu in grado di chiedere, per l’ennesima volta, un rinvio.

5.2.c L’assenza il 26.5.2023 fu giustamente considerata ingiustificata, sia con specifico riferimento alla giustificazione addotta, sia con riferimento al comportamento complessivo che la parte stava tenendo, la cui persistente e reiterata attività dilatoria era ormai sintomatica del tentativo indebito di impedire lo svolgimento della mediazione ovvero di provocare il prodursi di vizi procedurali da poter poi far valere a proprio vantaggio in sede giudiziale.

È inutile, sotto questo profilo, che la parte sostenga d’avere, prima del 26.5.2023, sempre documentato impedimenti (professionali dell’avvocato o personali delle parti) reali, perché, quand’anche fosse, il numero e la reiterazione dei rinvii è ictu oculi espressione d’un tentativo di strumentalizzare altri incombenti per procrastinare la mediazione.

Un canone di minima ragionevolezza e di autoresponsabilità impone, dopo avere fatto differire più d’una volta il procedimento, che la parte si organizzi in modo da dare priorità all’impegno più volte eluso, facendolo prevalere su altri;

magari chiedendo tempestivamente il differimento di quegli altri.

Resta comunque condivisibile quanto il mediatore rilevò il 26.5.2023, ossia che:

(-) essendo lo sciopero stato proclamato da dieci giorni, la richiesta di rinvio spedita per posta elettronica il 26.5.2023 ore 9,00 era del tutto intempestiva e rivelatrice di un intento meramente defatigatorio;

(-) non era stata data adeguata dimostrazione dell’impossibilità di trovare, con un minimo di organizzazione preventiva, una soluzione che consentisse alle parti (abitanti in Monte San Savino, vicino ad Arezzo) e al loro difensore (con studio in Falciano del Massico, in provincia di Caserta), si raggiungere la sede della mediazione:

è appena il caso di osservare che, almeno ad avviso del collegio, la distanza che separa il difensore scelto dalle parti dal luogo della curia non può essere più, dopo innumerevoli rinvii, ragione prevalente rispetto a quella di portare a termine la mediazione, a sua volta indispensabile per la prosecuzione del processo;

(-) non è stato neppure chiarito perché la parte intimata non abbia chiesto, con il dovuto anticipo e pur avendone tutto il tempo, l’attivazione di un collegamento a distanza.

5.2.d Particolarmente fuori luogo sono le lunghe dissertazioni dell’appellante sulla ricusazione del mediatore.

Le contestazioni mosse erano, a dir poco, labili:

ci si doleva che il mediatore (Avv. NOME COGNOME avesse dichiarato di avere avuto un colloquio con il giudice (Dott. in merito allo svolgimento della mediazione, ossia un contatto del tutto trasparente (perché ne aveva dato atto) e legittimo (perché avente a oggetto informazioni sullo svolgimento della procedura), dal che non si comprende come si possa attribuire al mediatore la violazione di doveri di equilibrio, correttezza e imparzialità.

Peraltro, la questione non può più essere coltivata dalla parte, non almeno in questa sede, perché, ai fini della regolarità della procedura di mediazione (e del correlato processo), è stato risolutivo l’intervento della Presidente dell’Organismo, che ha esaminato e deciso sulla ricusazione, rigettandola.

Il suo provvedimento negativo, in atti (provvedimento del 20.4.2023 prot. 518/2023, già citato), ha risolto l’incidente costituito dalla istanza della parte;

senza che esso possa essere qui rivalutato.

La difesa appellante più volte richiama anche la normativa del codice di rito sulla ricusazione del giudice o dell’ausiliario, ma, a tacer d’altro, non tiene conto che quella stessa normativa prevede che, se la ricusazione sia rigettata, il procedimento segua regolarmente il suo corso e la presenza del soggetto che era stato oggetto della istanza di ricusazione non è idonea a determinare alcun vizio;

senza possibilità di impugnare la decisione sulla ricusazione.

5.2.e La durata della procedura superiore a tre mesi è dipesa dalle innumerevoli richieste di rinvio della stessa parte appellante, che, dunque, vi ha dato luogo;

e, comunque, si tratta di un aspetto del tutto irrilevante, perché privo di conseguenze, men che meno quelle che pretende l’appellante.

5.2.f Parimenti fuori bersaglio sono quelle disparate affermazioni secondo le quali il giudice, per l’illegittimità del procedimento di mediazione, non avrebbe potuto svolgere alcuna attività processuale e, avendola svolta, essa sarebbe nulla.

Il Tribunale ha ripreso l’attività processuale solo all’udienza del 16.6.2023, dopo, cioè, che la mediazione s’era conclusa in data 26.5.2023.

Prima di allora, ossia all’udienza del 31.3.2023 (in origine fissata per verificare l’esito della mediazione), il giudice, assente la parte intimata, s’era limitato a rinviare la causa in attesa della conclusione.

In particolare, si legge nel verbale:

rilevato che il difensore delle opponenti non si è presentato in udienza ma ha depositato note con cui contesta le modalità di svolgimento della mediazione rilevato che le contestazioni avanzate non appaiono essere rivolte alla controparte che ha regolarmente avviato il procedimento nei termini bensì a presunte mancanze dell’organismo di mediazione nelle comunicazioni di rinvio dell’incontro (peraltro tutte dipendenti da richieste di rinvio presentate dalle opponenti stesse) e pertanto queste non possono avere come effetto l’improcedibilità del giudizio rilevato quindi che quanto segnalato dall’avv COGNOMEnon presente in udienza senza alcuna giustificazione non essendo demandato alle parti il potere di scegliere una presenza alternativa ex art 127 cpc e tanto meno di comunicare loro eventuali esigenze 2 giorni prima dell’udienza in quanto l’avvocato ben era a conoscenza da tempo della eventuale pendenza di altro procedimento in contemporanea) contestando le modalità di svolgimento della mediazione appare richiedere un loro svolgimento effettivo. Ciò rilevato dispone che la parte opposta provveda entro 15 giorni a richiedere la riapertura del fascicolo di mediazione e a far fissare con tempestività nuovo incontro senza ulteriori rinvii rinvia per la verifica dell’esito della mediazione e l’eventuale fissazione di termini per il deposito memorie e documentazione integrativa al 16 giugno 2023 ore 13.40 5.2.g Secondo l’appellante tale provvedimento sarebbe, a sua volta, invalido, perché il Tribunale non avrebbe potuto riattivare una procedura mediazione ormai irrimediabilmente viziata. Per contro: 5.2.g.i

Il giudice, posto che l’assenza in udienza era ingiustificata, avrebbe semmai dovuto rilevare l’inammissibilità delle note scritte, non autorizzate, con le quali era eccepita l’invalidità della mediazione, con la conseguenza che essa sarebbe restata mai più contestabile, visto che la eccezione deve essere fatta necessariamente nella prima udienza successiva alla conclusione del procedimento:

il che si osserva non certo per rilevare ora una inammissibilità che, non rilevata in quella sede, non potrebbe essere apprezzata di ufficio dal giudice d’appello, ma, più limitatamente, per far constatare una volta di più che l’atteggiamento serbato in prime cure nei confronti delle lungi dall’essere improntato alla violazione sistematica dei loro diritti – come, in sostanza, si dovrebbe concludere se si convalidassero le plurime doglianze della loro difesa – è stato semmai connotato da una forse eccessiva accondiscendenza verso atteggiamenti processuali che si prestavano, nella loro ripetizione, inversamente proporzionale al loro fondamento, a essere valutati, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., per quello che erano, ossia per abusi del diritto, intesi non già a far tutelare i propri diritti, ma ad impedire alla controparte di far valere i suoi.

5.2.g.ii Il giudice, al di là delle formule usate, si è limitato a rilevare che la procedura, ritualmente iniziata, non poteva ancora considerarsi conclusa e, dunque, ha correttamente rinviato la causa per permetterne il proseguimento, con ciò tenendo una condotta processuale assolutamente legittima.

5.2.g.iii

Si legge nell’appello (pag. 6, enfasi della parte):

« Il processo neppure può avere inizio ne proseguito e la domanda giudiziale non è procedibile (cfr. Cass. 34814/2022 pag. 4 in motivazione).

La concessione dei termini ex art. 183 cpc non poteva certo vanificare la condizione di procedibilità imposta dalla legge.

».

Tuttavia:

(-) nessun termine ex art. 183 c.p.c. è mai stato concesso, dal momento che il processo, introdotto nelle forme dell’intimazione di sfratto, è proseguito, secondo regola, col rito locatizio;

(-) il precedente di legittimità è invocato a sproposito, perché ivi si discuteva della tempestività di un’eccezione in senso stretto formulata dopo che il processo aveva subito più d’un rinvio in attesa del compiersi della mediazione;

(-) in ogni caso, come si è constatato al paragrafo che precede, il Tribunale ha fatto proseguire il processo solo dopo che, all’udienza del 16.6.2023, ha correttamente ritenuto, sulla scorta del verbale conclusivo della mediazione, che questa fosse terminata:

un modo di procedere perfettamente in linea col principio che può desumersi dalla sentenza di legittimità.

5.3

Così confutati i singoli argomenti, il collegio deve, concludendo sul punto, svolgere alcune osservazioni di sintesi, che ulteriormente confermano la infondatezza del mezzo e ne rivelano la pretestuosità.

Il complesso delle attività poste in essere dalla parte appellante si configura come abuso del diritto, poiché tutte le istanze (di rinvio o di ricusazione) e tutte le eccezioni (di invalidità) sono state dirette, anziché a ottenere ciò che la legge prevede (il rispetto del contraddittorio, un mediatore terzo, una procedura valida), un fine ulteriore e diverso (quello di rendere improcedibile la domanda del , chiaramente non voluto dalla legge, posto che il D. Lgs 28/2010 ha la funzione di favorire soluzioni conciliative delle liti e preservare la giurisdizione da un eccesso di conflitti; non certo quello di impedire alla parte che agisce di poter avere dal giudice la decisione di merito sul suo caso.

In particolare, ciò che colpisce immediatamente è che, come ha rilevato già nella ordinanza del 31.3.2023 il Tribunale, peraltro sul punto incontestato, la parte intimante/opposta aveva adempiuto regolarmente e nei termini previsti ai suoi oneri (quello, cioè, di introdurre il procedimento di mediazione, comunicando la data fissata del 27.2.2023, ciò che è documentato e che, del resto, permise all’Avv. COGNOME di inoltrare per tempo la sua prima istanza di differimento), con la conseguenza che mai nessuna conseguenza negativa essa avrebbe potuto soffrire, men che meno l’improcedibilità della domanda, per vizi che, tutt’al più, sarebbero stati ascrivibili all’Organismo di mediazione. Ciò rivela e dimostra lo sviamento in cui si concreta l’abuso del diritto:

le doglianze reiterate dalle pur non riguardando vizi della condotta processuale di sono strumentalizzate per ottenere l’improcedibilità della sua domanda.

Mentre, al contempo, è evidente come il fine precipuo della mediazione, che è quello di favorire un confronto tra le parti in ottica conciliativa, è privo di interesse per le eccipienti.

Questo vale anche e soprattutto per la critica mossa al Tribunale di avere, per così dire, riattivato, con l’ordinanza del 31.3.2023, una procedura di mediazione che sarebbe stata già esaurita, in modo irreversibilmente negativo per il interpretare in tal senso la normativa del D. Lgs 28/2010 significherebbe renderla un indebito ostacolo per la parte nell’accesso alla giustizia, con manifesta violazione del suo diritto difesa, costituzionalmente garantito, perché, pur in difetto di condotte censurabili della parte, le si irrogherebbe la sanzione della improcedibilità. Non c’è peraltro bisogno di scomodare il diritto di difesa e l’art. 24 della Costituzione per convalidare l’ordinanza del 31.3.2023, essendo sufficiente notare che nessuna norma vieta quanto il Tribunale ha posto in essere, con la censurata riattivazione della mediazione;

che, anzi, è sorretto dal generale potere del giudice di impedire nullità e sanare quelle eventualmente consumate (art. 162 co. 1^ c.p.c.), non solo nel processo, ma anche nell’incidentale procedimento di mediazione, che del processo costituisce condizione di procedibilità, sempre nell’ottica di favorire la possibilità di giungere al suo esito fisiologico, ossia la decisione di merito.

6.

Il secondo motivo, che reitera il tema dell’asserito indebito aumento del canone ex indici I.Stat. e, per conseguenza, dell’insussistenza della morosità (o almeno della gravità dell’inadempimento), è manifestamente infondato.

6.1

Il Tribunale ha, sul punto, svolto in sintesi il seguente ragionamento:

(-) il locatore/intimante può (come, del resto, il conduttore intimato e opponente) ampliare, al momento del mutamento del rito (ed entro il termine perentorio per le memorie integrative), il tema del decidere;

(-) la richiesta di conteggiare peraltro anche l’aumento I.Stat. dei canoni non costituisce neppure un mutamento di domanda, ma solo un ampliamento quantitativo di quella già proposta;

(-) nel merito, « Parte opponente contesta che tale richiesta avrebbe dovuto svolgersi prima della scadenza annuale del contratto.

Tale termine però non appare desumersi da alcuna norma ed anzi la giurisprudenza ha avuto modo di confermare solo che il diritto alla rivalutazione nasce a seguito di esplicita richiesta e solo per i canoni successivi alla richiesta stessa, e non altro (“la richiesta di aggiornamento del canone da parte del locatore si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto, con la conseguenza che il locatore stesso può pretendere il canone aggiornato solo dal momento di tale richiesta, senza che sia configurabile un suo diritto ad ottenere il pagamento degli arretrati” Cass. n. 14673 del 2003). Pertanto la domanda di corresponsione dei canoni con adeguamento ISTAT dalla richiesta intervenuta in corso di causa non appare costituire domanda nuova e risulta pienamente legittima.

» (pag. 6).

6.2

L’appello è così, nella sua interezza, formulato sul punto (pag. 34):

Erra il tribunale nel ritenere sussistente il diritto dell’intimante ad ottenere il rilascio dell’immobile attesa l’illegittimità dell’aumento unilaterale del canone disposto dal locatore in violazione degli adeguamenti Istat trattandosi di veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ex art. 79, primo comma, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti. Non poteva quindi essere dichiara la risoluzione del contratto di locazione – inesistenza della morosità, dell’inadempimento colpevole e dell’importanza e gravità dello stesso con condanna al rilascio dell’immobile locato.

6.3 L’appellato ha obiettato (pag. 3):

Quanto alla contestazione relativa all’adeguamento ISTAT, si evidenzia che la richiesta di aggiornamento del canone ai sensi degli indici ISTAT costituisce un diritto del locatore, salvo espressa rinuncia contrattuale, e non può essere confusa con un aumento unilaterale arbitrario.

L’argomento sollevato dalla controparte appare quindi, come sempre, strumentale e privo di rilevanza, non potendo incidere sulla validità della pretesa azionata.

6.4

Osserva il collegio che il presupposto da cui muove l’appellante è, testualmente, che l’aumento del canone ai sensi degli indici I.Stat.

sia consistito in un aumento che viola l’art. 79 L. 392/1978 e, dunque, sia nullo.

La censura, come risulta inequivocabilmente dal testo dell’appello, è volta esclusivamente a paralizzare la domanda risolutoria:

Non poteva quindi essere dichiara la risoluzione del contratto di locazione – inesistenza della morosità, dell’inadempimento colpevole e dell’importanza e gravità dello stesso con condanna al rilascio dell’immobile locato.

Si dissente.

6.4.a

Nel contratto di locazione (art. 4) era espressamente stato pattuito che il locatore, sin quando avesse optato per il regime fiscale della cedolare secca, avrebbe rinunciato all’aggiornamento I.Stat. del canone, di per sé fissato in € 460,00 al mese;

mentre, in caso contrario, il canone sarebbe stato automaticamente aggiornato ogni anno e senza necessità di richiesta specifica nella misura del 75% della variazione I.Stat.- Come risulta dall’elenco specifico del conteggio di dare/avere allegato all’intimazione per sfratto (doc. 2), la morosità era stata prospettata, in quella sede, sulla base di un canone di € 460,00.

Era, infatti, stato denunciato un debito complessivo di € 2.180,00 così determinato:

(-) quanto a € 800,00, per il pagamento di 40 euro in meno rispetto al dovuto nel periodo 16.12.2020/16.8.2022, così che, facendosi riferimento a pagamenti di € 420,00 (documentati), il canone era considerato, appunto, in € 460,00, privo di qualsiasi aumento I.Stat.;

(-) quanto a € 1.380,00 per l’omissione dei tre canoni dal 17.8.2022 al 16.9.2022, dal 17.9.2022 al 16.10.2022 e dal 17.10.2022 al 16.11.2022, che corrispondono proprio a € (460,00 x 3=) 1.380,00;

(-) v’erano poi gli oneri accessori, non oggetto di contestazione.

Si constata, dunque, che l’intimazione denunciava una morosità che non teneva in alcun conto gli aumenti I.Stat. , ma si basava sul canone originario.

Il Tribunale, con accertamento non contestato da alcuna delle parti, ha stabilito che « alla notifica le conduttrici fossero morose per € 1.340,00 » (pag. 5):

misura questa, che di poco inferiore a quella denunciata, faceva ovviamente riferimento a un canone non aumentato.

Sol per questo, si potrebbe concludere che il tema dell’aumento I.Stat. è, addirittura, irrilevante nella causa d’appello, quanto meno rispetto all’azione risolutoria (che, come si è già avuto modo di constatare, è l’unica che il motivo di gravame investe), perché nel momento in cui l’azione fu avviata, le conduttrice erano morose per un importo equivalente a quasi tre mensilità, un inadempimento che, frustrando gravemente l’interesse principale del locatore, era più che sufficiente a sciogliere il contratto per fatto e colpa della conduttrici, la cui condotta successiva, nei limiti in cui possa rilevare, non ha certo alleggerito la loro posizione, visto che esse, dopo avere versato somme nelle more dell’udienza (senza, peraltro, sanare la morosità, come pure accertato in modo incontestato dal Tribunale), hanno smesso di pagare, accumulando una morosità pari a quella poi oggetto di condanna, così rivelando retrospettivamente che il parziale pagamento effettuato dopo la ricezione della intimazione non era segno di resipiscenza, ma verosimilmente un mezzo per ottenere – come hanno ottenuto – il rigetto dell’ordinanza di rilascio immediato. 6.4.b Per completezza e, soprattutto, per poter poi meglio valutare l’istanza ex art. 96 c.p.c. della parte appellata, si osserva che, sin dall’intimazione, aveva chiesto la condanna delle conduttrici al pagamento anche dei canoni (da intendersi anche quale indennità ex art. 1591 c.c.) a scadere sino all’effettivo rilascio dell’immobile.

Con la comparsa conclusionale autorizzata depositata il 10.11.2023 (pag. 8, ove è contenuto un elenco dettagliato, da aversi qui per riportato), il locatore, detratti i pagamenti ricevuti (dei quali il Tribunale ha pure tenuto conto), aveva riepilogato l’ulteriore morosità maturata nel corso del giudizio.

È in questo periodo che è stato conteggiato l’aumento I.Stat. (con un canone asceso da € 460,00 mensili a € 498,98) e ciò perché, come dedotto, si doveva tener conto « della revoca dell’opzione della cedolare secca comunicata al debitore in data 02/01/2023 con raccomandata A/R (Doc. 9), » (ivi, pag. 8).

La circostanza che, fruendo della pattuita facoltà inserita nel già richiamato art. 4 del contratto, abbia mutato il regime fiscale e ne abbia dato comunicazione alle chiedendo il pagamento dell’I.Stat. al 75%, è incontestata e, comunque, documentata (doc. 9, racc. con avviso di ricevimento;

la quale, fra l’altro, conteneva un calcolo dettagliato dell’aumento I.Stat. , nella misura del 75%, pari a € 38,98).

Fermo restando che questa parte di credito – unica interessata dall’aumento I.Stat.

– non ha più di tanto rilievo ai fini della risoluzione, ma solo della condanna al pagamento dei canoni scaduti (e, dunque, per come il motivo è formulato, si può considerare addirittura irrilevante), è ovvio che le doglianze sono prive di qualsiasi fondamento.

Il diritto all’aumento I.Stat. non solo è lecito in base all’art. 32 della L. 392/1978, ma era stato addirittura espressamente previsto nel contratto di locazione, salva la rinuncia del sin quando avesse mantenuto il regime fiscale della cedolare secca.

È ovvio che, dopo che egli ha comunicato il mutamento di quel regime e ha espressamente richiesto l’aumento I.Stat.

(doc. 9 citato), questo gli era dovuto e, a tal fine, avrebbe semmai la parte appellante dovuto contestare che egli avesse abbandonato il sistema della cedolare secca, ciò che mai ha fatto né prima, né durante il processo.

Il riferimento all’art. 79 L. 392/1978 è quanto mai incongruo;

esso pare richiamare il tema della nullità del patto con il quale – peraltro nelle locazioni commerciali e non abitative – si prevedano aumenti in costanza di rapporto intesi a eludere i limiti dell’art. 32 co. 2^ L. 392/1978;

un tema, dunque, che non ha diritto di cittadinanza in questa causa.

6.5

In conclusione, non solo la questione dell’aumento I.Stat.

dedotta con l’appello non influisce sulla domanda risolutoria, ma essa, comunque, è infondata.

Ne discende che l’asserita insussistenza dei requisiti per la risoluzione automaticamente smentita:

essa, come si è già mostrato, sussisteva al momento dell’intimazione in misura tale da costituire grave inadempimento;

e s’è aggravata in corso di causa, nella misura poi oggetto della statuizione condannatoria.

7. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

Il mezzo, nella stringata formulazione che s’è avuto cura di trascrivere pressoché integralmente (supra, § 2.3), non ha attinenza coi dati processuali.

7.1 Risulta dal fascicolo telematico di primo grado che il 24.11.2023 si è celebrata la udienza di discussione ed è stata emessa la sentenza:

il verbale, che si conclude dando atto che « Dopo breve discussione orale, il Giudice si ritira per deliberare.

Le parti autorizzano il Giudice alla lettura del dispositivo in loro assenza, che sarà depositato in pct », è seguito, in unico atto digitale, dalla sentenza contestuale, completa di motivazione, che reca il seguente dispositivo:

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:

accertato l’assolvimento da parte dell’opposto dell’onere di attivazione del procedimento di mediazione obbligatoria accertato l’inadempimento delle conduttrici al proprio obbligo di pagamento del canone di locazione per loro esclusivo fatto e colpa accertato che i canoni dovuti, a seguito di formale comunicazione, devono intendersi quelli con aggiornamento ISTAT dalla data della comunicazione dichiara la risoluzione del contratto locativo abitativo tra sottoscritto in data 17/12/2018 relativo all’immobile sito in Monte San Savino (Ar) in INDIRIZZO Condanna in solido al pagamento in favore di dei canoni scaduti, pari ad € 4.568,78, nonché dell’indennità di occupazione dalla sentenza fino all’effettivo rilascio dell’immobile pari mensilmente al canone ex art 1591 cc Condanna altresì in solido al pagamento in favore di delle spese di lite, che si liquidano in € 512,00 per compensi della fase di convalida ed € 1.591,00 per compensi della fase di merito (DM 55/2014 scaglione 1.100 / 5.200 valore medio) oltre 15% per spese generali, € 120,00 per anticipazioni, c.p.a. ed i.v.a. come per legge Sentenza pubblicata mediante lettura alle parti ed allegazione al verbale. Arezzo, 24.11.23 Il GOP dott. Il verbale e la sentenza sono firmati digitalmente dal giudice Il 27.11.2023 – sempre seguendo lo svolgersi del fascicolo telematico – depositato istanza di correzione di errore materiale, affinché il dispositivo fosse integrato con la indicazione – mancante – della data per il rilascio.

Il Tribunale, ricostituito il contraddittorio, ha accolto la istanza e ha integrato il dispositivo.

7.2 È quindi della massima evidenza che il dispositivo non è stato cambiato rispetto a quello letto, assieme alla sentenza, in udienza;

ma è stato corretto con la rituale procedura degli artt. 287 e segg. c.p.c.- Il motivo, come si può constatare leggendo le otto righe di cui si compone (appello, pag. 35), non investe la procedura di correzione, del cui svolgimento neppure dà atto, ma si sostanzia nell’affermazione che il dispositivo, nel rito lavoro, è immodificabile:

conclusione sulla quale il collegio concorda, con la precisazione, però, che, così come esso non può essere modificato da parte del giudice che l’ha emesso, può invece essere corretto seguendo, come qui è stato fatto, il relativo procedimento.

Esula invece dal sindacato rimesso a questa corte, perché il motivo non ne tratta, di valutare se sussistessero le condizioni per operare la correzione;

ciò che, peraltro, non influirebbe mai sulla validità della intera sentenza, ma, se del caso, della sola parte emendata.

8.

Anche il quarto motivo è manifestamente infondato, se non pretestuoso.

Si è già dato atto che verbale e udienza sono contenuti in un unico atto digitale che risulta inserito nel fascicolo telematico il 24.11.2023 (come attestato dallo Storico del fascicolo:

“sentenza a verbale con numero 1129/2023”).

La consecuzione del verbale e della sentenza non lasciano dubbio alcuno sulla lettura avvenuta in udienza e, comunque, nell’unico contesto della udienza di discussione del 24.11.2023, come attestato dal fascicolo telematico.

Peraltro, l’attestazione nel verbale che Le parti autorizzano il Giudice alla lettura del dispositivo in loro assenza, che sarà depositato in pct fa fede sino a querela di falso, laddove l’appellante si è limitato a farne una contestazione generica e, per di più, priva di qualsiasi appiglio istruttorio.

9. Le appellanti, secondo soccombenza, devono rimborsare al le spese del grado.

Esse, in difetto di nota, si liquidano in base al D.M. 55/2014, come modificato dal D.M. 147/2022, § 12, parametri medi (ove non diversamente indicato).

Il valore di causa non è quello indicato, a fini fiscali, dalle appellanti (5mila euro), poiché, ai sensi dell’art. 12 c.p.c. (Cass. sez. 6^ civ. ord. 19.7.2019 n. 19606 rv 654623-01), esso è dato dalla somma degli importi dei canoni non pagati sino alla mensilità di ottobre 2023, già accertati dal Tribunale in € 4.568,78;

e di quelli che sarebbero scaduti dalla sentenza sino al termine fisiologico del contratto (16.12.2023, essendo stato il contratto stato stipulato per tre anni sino al 16.12.2021, con tacito rinnovo per altri due anni:

art. 1 del contratto), ossia con l’aggiunta delle mensilità di novembre e dicembre 2023, per € (498,98 x 2=) 997,96 (scaglione, dunque, sino a 26mila euro).

Pertanto:

€ 1.134,00 fase 1, € 921,00 fase 2, € 921,50 fase 3 (così dimezzato il parametro medio, per la modestia dell’attività di trattazione in concreto svolta) ed € 1.911,00 fase 4, in tutto € 4.887,50.

Sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato.

Il Cancelliere provvederà, se del caso, a esigere il maggior contributo unificato dovuto in relazione al diverso valore di causa qui accertato.

10. La Corte deve, ai sensi dell’art. 96 co. 3^ c.p.c. e assorbita l’istanza della parte, condannare le due appellanti, in solido, a pagare la somma, equitativamente determinata nella metà dei compensi liquidati, di € (4.887,50 : 2=) 2.443,75.

È agevole desumere dalla precedente trattazione che l’appello è costituito, per lo più, da questioni pretestuose, come quella sulla mediazione (1^ motivo) o sulla regolarità formale della sentenza (3^ e 4^ motivo);

e, per il resto (2^ motivo), da critiche comunque manifestamente infondate.

L’impugnazione è stata dunque sicuramente proposta e coltivata, quanto meno, con colpa grave.

La Corte d’Appello di Firenze, sezione terza civile, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa, così provvede:

1. rigetta l’appello proposto da nei confronti di avverso la sentenza n. 1129/2023 emessa dal Tribunale di Arezzo e pubblicata il 24/11/2023, che integralmente conferma;

2. condanna in solido, a rimborsare a le spese processuali del presente grado, che liquida in complessivi € 4.887,50 per compensi professionali di avvocato, oltre al 15% per rimborso forfettario di spese generali, nonché oltre cap e iva secondo legge;

3. condanna in solido, a pagare a ai sensi dell’art. 96 c.p.c., la somma di € 2.443,75;

4.

dà atto che ricorrono nei confronti delle appellanti le condizioni per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13 co.

1 quater d.P.R. 115/02 e dispone che il Cancelliere provveda a esigere, se del caso, il maggior contributo unificato dovuto in relazione al diverso valore di causa, rispetto a quello dichiarato, accertato in causa.

Firenze, 19 marzo 2025.

Il Presidente est. NOME COGNOME Nota La divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell’ambito strettamente processuale, è condizionata all’eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.

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