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Codice Civile
Codice Penale

Simulazione relativa soggettiva, compravendita immobiliare

Simulazione relativa soggettiva, contratto di compravendita immobiliare, prova dell’accordo simulatorio partecipazione del terzo contraente.

Pubblicato il 24 August 2018 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE TREDICESIMA CIVILE

In persona della dott.ssa ha emesso la seguente

SENTENZA N. 16604/2018

nella causa civile di primo grado, iscritta al n. del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2014, posta in deliberazione all’udienza di precisazione delle conclusioni dell’8.5.2018, vertente

TRA

XXX, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’Avv., che la rapp.ta e difende giusta procura in atti

ATTRICE

E

YYY

CONVENUTO CONTUMACE

Oggetto: responsabilità professionale
CONCLUSIONI

all’udienza di precisazione delle conclusioni dell’8.5.2018 il procuratore della parte attrice concludeva come in atti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, XXX conveniva in giudizio, dinanzi all’intestato Tribunale, l’YYY al quale nel 2010 si era rivolta per il tramite della di lei sorella, che ne aveva personale conoscenza da oltre venti anni, onde affidargli diversi incarichi giudiziali e stragiudiziali e, dunque, per conferirgli alcuni mandati fiduciari, al fine di essere tutelata nelle cause da avviare nei confronti del coniuge separato, ZZZ, sia in proprio che nella qualità di amministratore della società JJJ e KKK, delle quali l’attrice stessa è socia con quote pari, rispettivamente, al 50% ed al 25%.

La vicenda storica dunque origina dalla sottoscrizione, da parte dei suddetti coniugi, nelle more del procedimento di separazione coniugale consensuale, del verbale di accordo del 3.8.1995, stipulato per trovare una soluzione ai problemi economici sorti in relazione alla gestione degli esercizi commerciali di cui sopra e per salvaguardare gli interessi patrimoniali, personali e comuni, oltre a quelli dei figli, in vista della separazione.

In tale accordo, tra i beni riconosciuti in proprietà comune dei coniugi al 50%, ma intestati unicamente a ZZZ, venivano indicati, tra gli altri, il locale uso negozio, sito in Roma, con accesso da Via ***, da *** e da *** ed il locale sito in Roma, Via ***.

In tale accordo si sottoscriveva, tra l’altro: “il presso della compravendita degli immobili è stato versato mediante l’utilizzazione dei risparmi dell’attrice e del convenuto in parti sostanzialmente uguali, provenendo gli stessi dalle loro attività commerciali. E’ infatti vero che le parti hanno profuso pari contributo lavorativo per la creazione, l’avviamento e lo sviluppo delle aziende di famiglia con l’intesa che, in futuro, anche la contitolarità dei diritti sarebbe stata formalizzata”.

“I coniugi decidono di comune accordo di porre in vendita tutti i beni facenti parte del patrimonio, sulla base dei valori risultanti dalle perizie giurate, onde far fronte alla immediata priorità di risolvere i rapporti con le banche e l’estinzione delle fideiussioni e delle ipoteche…e subito dopo di provvedere al pagamento degli altri creditori”. “…le parti procederanno alla divisione del patrimonio, attraverso l’assegnazione alla sig.ra XXX della quota di competenza in beni (con preferenza sulla quota residua dell’immobile di Fregene, se invenduto), e conguagli in denaro;

“il sig. ZZZ, amministratore di tutte le aziende, si impegna a fornire alla moglie tutte le informazioni relative alla gestione tutte le informazioni relative alla gestione delle stesse e ad ottenerne il consenso, per gli atti di maggiore impegno economico”;

“dal mese di settembre 1995 i proventi delle attività commerciali e delle operazioni di risanamento delle stesse verranno versati su appositi conti correnti bancari intestati alle relative aziende a firma congiunta dei coniugi. I proventi delle vendite dei beni patrimoniali dei coniugi verranno versati su apposito conto corrente bancario intestato a entrambi i coniugi ed a firma congiunta”.

In data 7.11.1994, la sig.ra XXX aveva già provveduto alla trascrizione presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Roma dell’atto di citazione, notificato al ZZZ il 7.11.1994 ed avente ad oggetto l’accertamento della comproprietà dei seguenti immobili: negozio concesso in locazione alla Banca ***, sito in Roma, con accesso da Via ***, da Piazzale *** e da Circonvallazione ***. Locale posto al piano terra sito in Roma con accesso da Via ***.

La comproprietà di tali immobili, peraltro, trovava conferma nella successiva bozza del contratto preliminare di vendita redatto nel luglio 2007 e nel contratto di compravendita del 18.2.2008 in cui si specificava : “i predetti immobili benchè alla Conservatoria dei Registri Immobiliari siano formalmente iscritti intestati soltanto al Sig. ZZZ, di fatto sono di proprietà della quota del 50% indivisa, anche della Sig.ra XXX”.

Parallelamente alla stipula dell’accordo del 1995, veniva iscritto, dinanzi al Tribunale Civile di Roma, al numero di R.G., il giudizio di separazione consensuale, e, quindi, i coniugi comparivano dinanzi al Presidente del Tribunale il 6.11.1997 e con provvedimento del 27.11.1997 il giudice omologava le condizioni di separazione: la casa familiare, allora di proprietà dell’INPDAI, veniva assegnata all’odierna attrice con tutto quanto in essa contenuto ; il ZZZ veniva obbligato a corrispondere un assegno mensile di lire 5.000.000 entro il giorno 5 di ogni mese ed a provvedere al mantenimento del figlio ***. Il predetto provvedimento non veniva trascritto presso la Conservatoria dei RR.II. e nel 2008 veniva richiesta, da parte della XXX, su sollecito del ZZZ, la cancellazione della registrazione dell’atto di citazione concernente l’accertamento della comproprietà degli immobili di Via ***, Piazzale *** e C.ne *** e di Via ***, come riportato nei su indicati contratti preliminari di compravendita.

Neppure veniva trascritto in Conservatoria l’atto di citazione, successivamente notificato in data 4.8.2010, per conto della XXX, rappresentata dall’Avv. YYY, per l’accertamento della proprietà del suddetto complesso immobiliare. Sicchè, in assenza di preventiva informativa e di accordo con l’odierna attrice, il ZZZ, per atto del Notaio Dott. *** n. rep. *** n. racc. ***, in data 13.7.2011, cedeva in compravendita ad *** la citata unità immobiliare (attualmente locata a ***), al prezzo di euro 3.815.000,00.

In relazione a tale compravendita, peraltro, l’attrice rappresentava che il ZZZ, in data 28.11.2013, era stato imputato, dinanzi al Tribunale di Roma, Sez. Penale, per il reato di cui agli artt. 646 e 61, n. 7, c.p., per essersi appropriato della somma di euro 1.907.500 spettante alla ex coniuge in relazione al verbale di accordo del 3.8.1995, successivamente omologato dal Tribunale di Roma.

Il predetto e venduto bene immobile, stante la sua natura commerciale, poteva essere alienato, secondo gli accordi intercorsi tra le parti, solo al fine di attuare il piano di risanamento economico concordato con il verbale del 3.8.1995 e, per di più, in relazione a tale vendita, il ZZZ non provvedeva ad assegnare la metà della quota spettante alla XXX, trattenendo l’intera somma, in violazione, quindi, del predetto accordo del 1995. Su tale vicenda, stante il grave danno provocato alla XXX, era tutt’ora pendente un giudizio dinanzi al Tribunale Civile di Roma, Sez. X, Dott.ssa ***, n. ***, incardinato con atto di citazione notificato al ZZZ il 16.1.2013.

Ciò posto, la XXX si rivolgeva all’Avv. YYY, a partire dal 2010, per definire tutte le vicende ed i conflitti sorti con il coniuge legalmente separato ed in particolare: con mandato del 24.11.2010 il predetto Avvocato veniva incaricato per l’assistenza e la rappresentanza processuale nel giudizio incardinato da ZZZ, con ricorso depositato il 6.5.2010, per la dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio; con mandato del 16.7.2010, lo stesso legale veniva delegato per avviare un giudizio di accertamento della comproprietà nei confronti del ZZZ ed in capo alla XXX, del 50% dei beni immobili, riconosciuti di comune proprietà in sede di verbale di omologazione della separazione consensuale, non essendo stata preliminarmente e debitamente richiesta la trascrizione del suddetto verbale presso la Conservatoria dei RR.II.;

con separato mandato, l’Avv. YYY veniva officiato dell’assistenza e rappresentanza processuale nel procedimento penale, a carico dell’attrice, dapprima indagata e successivamente imputata, su denuncia del ZZZ, per pretesa appropriazione indebita; sempre all’Avv. YYY veniva conferito mandato di predisporre un ricorso di lavoro (mai depositato) nei confronti della ZZZ s.n.c. e di ZZZ in proprio avverso il licenziamento alla stessa comminato il 10.9.2010.

In tali occasioni, l’Avv. YYY mostrava sin da subito, a dire dell’attrice, di interessarsi alle necessità giudiziarie dell’esponente solo apparentemente e superficialmente, pur essendo a conoscenza della complessità delle sopra illustrate vicende iniziate nel 1994.

Anche in sede di udienza, infatti, l’Avv. YYY incaricava difensori di volta in volta diversi e spesso occasionali, senza, peraltro, informarli circa l’andamento della causa, sulla sussistenza di paralleli giudizi pendenti, sulle vicende connesse ad ogni singolo procedimento e senza istruirli sui provvedimenti od istanze da richiedere al giudice. Per di più, la XXX, ripetutamente, chiedeva all’Avv. YYY di presenziare alla trattazione delle diverse cause, ma il medesimo, puntualmente, senza, peraltro, fornire alcuna motivazione, non vi acconsentiva, lasciando, come già detto, la gestione delle udienze ai colleghi di volta in volta incaricati, sicchè in ogni singola trattazione l’iniziativa processuale, in corso di udienza, veniva puntualmente lasciata al difensore della controparte ZZZ.

Inoltre l’Avv. YYY redigeva atti difensivi (atto di citazione, comparse e ricorsi) dal contenuto carente ed inidoneo a sostenere in giudizio le ragioni della XXX, commettendo, peraltro, anche errori processuali di estrema gravità, addirittura in ordine al rispetto del termine di decadenza, provocando, conseguentemente, gravi ed irreparabili danni, anche processuali a carico dell’assistita. Quanto alla cessazione degli effetti civili del matrimonio:

tale giudizio traeva origine dal ricorso presentato nei confronti della XXX il 6.5.2010 da ZZZ, il quale chiedeva sia la dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio che l’accertamento dell’inesistenza del diritto all’assegno divorzile alla stessa spettante e già riconosciuto, quale assegno di mantenimento, in sede di separazione, nella misura pari ad euro 2.500,00 oltre rivalutazione monetaria con indici ISTAT.

L’odierna attrice, per il tramite dell’Avv. YYY e di altro Avvocato come da procura alle liti (Avv. ***), si costituiva deducendo che il ZZZ aveva riconosciuto la comproprietà degli immobili come concordato nel verbale di accordo del 3.8.1995 e nel processo verbale dell’udienza del 6.11.1997, ma richiedendo al giudice solamente la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato il 4.8.1965 e l’attribuzione di un assegno divorzile di importo pari ad euro 2.874,00 come riportato nei relativi verbali di udienza. In altri termini, nonostante fossero stati preliminarmente concordati, non venivano richiesti l’incremento del predetto importo e la divisione del patrimonio immobiliare riconosciuto di proprietà di entrambi i coniugi nei suddetti verbali di accordo e nell’atto di omologazione della separazione consensuale.

In particolare, con riferimento all’importo dell’assegno di mantenimento, come si evince dalla memoria di costituzione e come successivamente dedotto dal nuovo difensore nella comparsa conclusionale, all’udienza di comparizione delle parti del 24.11.2010, in sede presidenziale, l’attrice, “presa da uno stato di naturale tensione ed emotività, veniva indotta ad interlineare la somma richiesta ed indicata nella memoria di costituzione, sostituendo l’importo originariamente indicato di euro 5.000,00 con l’importo di euro 2.784,00, ossia la misura dell’assegno di mantenimento già in essere , somma, poi, riconosciuta dal Presidente con ordinanza del 20.7.2011. Tale azione avveniva alla presenza del procuratore comparso in udienza in sostituzione dell’Avv. YYY, il quale non aveva istruito il suo delegato sui fatti sottesi alla causa. Tale circostanza recava gravi danni agli interessi dell’attuale attrice, in quanto avendo il ZZZ, in sede di divorzio, dichiarato di aderire alla ridotta richiesta di alimenti, a lui stesso più favorevole, il Presidente con la menzionata ordinanza del 20.7.2011 riteneva superflua la concessione dei termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., i quali, nel caso di specie, dovevano essere richiesti in quanto necessari, appunto, per spiegare compiutamente le ragioni dell’errore provocato dal proprio sostituto, si ripete, non adeguatamente istruito, dall’Avv. YYY, in sede presidenziale.

In seguito la XXX comunicava sia all’Avv. YYY che all’Avv. ***, presente in procura con l’Avv. YYY stesso, pur non conoscendola personalmente, la revoca di ogni mandato difensivo civile, rispettivamente con racc. a mano anticipata via fax dell’11.4.2011 e con racc. a.r. del 19.4.2011. L’attuale attrice conferiva, quindi, per il giudizio di divorzio, il mandato difensivo all’attuale legale Avv. *** che in data 15.4.2011 si costituiva in definitiva sostituzione. Il giudizio, previo il deposito della sentenza non definitiva n. 15615/2011 per la sola dichiarazione di cessazione degli effetti civili, si concludeva con sentenza non definitiva n. 15567/2012 con il riconoscimento di un contributo mensile spettante all’odierna attrice pari ad euro 4.000,00 rispetto all’originario importo richiesto in memoria di euro 5.000,00.

Il maggiore importo di euro 4.000,00 rispetto alla richiesta di euro 2.874,00, formalizzata in sede presidenziale divorzile, era ottenuto per effetto della corretta ricostruzione dei fatti, offerta dal nuovo difensore costituito, in sede conclusionale di primo grado. Tale sentenza veniva appellata dal ZZZ e in via incidentale dalla XXX ed attualmente il relativo giudizio pende dinanzi alla Corte di Appello di Roma (n.R.G. ***, Cons. ***).

Quanto al giudizio di accertamento della comproprietà (Tribunale Civile di Roma, Sez. V, Dott. ***, R.G.)

Tale giudizio veniva avviato dinanzi al Tribunale civile di Roma ed iscritto al n. R.G., dall’Avv. YYY per conto dell’attuale attrice nei confronti del ZZZ per l’accertamento di comproprietà al 50% di tutti i beni immobili e relativi frutti, riconosciuti di comune proprietà in sede di richiamato verbale di accordo del 1995 e di verbale di separazione consensuale.

Tuttavia, tale atto di citazione non veniva trascritto presso la Conservatoria dall’Avv. YYY e, per l’effetto, in corso di causa, il ZZZ con atto per Notaio n. rep., n. racc., in data 13.7.2011, cedeva in compravendita ad *** gli immobili siti in Via ***, Piazzale *** e Circonvallazione *** ed in Via *** al prezzo di euro 3.815.000,00.

Veniva proposto, comunque, ricorso in corso di causa ex art. 671 c.p.c., depositato il 6.10.2011, per ottenere il sequestro conservativo del 100% dell’importo del canone di locazione del predetto immobile, locato, invero, a ***, nonché il sequestro delle quote di pertinenza del ZZZ.

Anche in relazione a tale giudizio l’Avv. YYY inseriva nella procura alle liti un ulteriore difensore (Avv. ***) che, addirittura, autenticava la procura a margine dell’atto giudiziario ed al quale l’odierna attrice revocava ogni mandato con fax del 28.10.2010.

In ogni caso l’Avv. YYY, per la trattazione delle udienze, puntualmente, delegava colleghi diversi, ad esempio l’Avv. *** del Foro di. Il ricorso per sequestro conservativo veniva rigettato con ordinanza del 25.11.2010 e, successivamente, nel merito non veniva depositata da parte dell’Avv. YYY alcuna delle memorie di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c.

Revocato il mandato all’Avv. YYY con il suddetto fax, si costituiva, in sua definitiva sostituzione l’attuale difensore della XXX, ma la domanda veniva rigettata non potendo riconoscersi nella scrittura ricognitiva del 1995 e nel verbale di udienza della separazione consensuale la prova della proprietà rivendicata dall’attrice, poiché l’efficacia probatoria delle stesse “non può essere più estesa di quella prevista per la confessione, che ha riguardo solamente ai fatti, produttivi di situazioni o rapporti giuridici, sfavorevoli al dichiarante, mentre non può riguardare il semplice riconoscimento di questi rapporti, essendo tale effetto espressamente stabilito dalla legge solo con riferimento ad atti tipicamente considerati, mentre in tema di proprietà nessun effetto la legge attribuisce all’atto ricognitivo, per cui deve escludersi che quest’ultimo, ove sia riferito al suddetto diritto reale, possa assumere valore di prova circa l’esistenza del medesimo diritto”.

Sosteneva l’attrice che il rigetto della domanda dipendeva dall’erronea impostazione in diritto della stessa da parte dell’Avv. YYY, il quale avrebbe dovuto altresì tenere conto che precedentemente era stata proposta dall’attrice, per il tramite dell’Avv. ***, domanda ex art. 2932 c.c. per ottenere il trasferimento del 50% del diritto di proprietà dei beni di cui all’accordo del 1995, domanda anch’essa rigettata. Sul processo penale

Il Giudizio veniva avviato a carico dell’attrice su denuncia, presentata presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma, da parte del ZZZ il 7.10.2010, con richiesta di immediato sequestro delle somme di denaro trattenute sul c/c alla stessa intestato, onde impedirne qualsiasi movimento, di tutta la documentazione bancaria, nonché di ogni conto corrente riferito all’indagata e su cui sarebbero stati trasferiti importi di denaro asseritamente sottratti alla ZZZ due.

In data 13.12.2010 veniva trasmesso l’avviso della conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 c.p.p., emesso nell’ambito del procedimento penale R.G. n. (P.M. Dott.), nei confronti dell’indagata la quale aveva nominato come difensore l’Avv. YYY.

La stessa XXX risultava indagata del delitto di cui agli artt. 81, 646, 61, n. 11 c.p. perché con più azioni criminose dirette ad eseguire il medesimo disegno criminoso, per la somma di euro 43.182,81, in relazione al periodo ricompreso tra il 20.1.2009 ed il 13.8.2010 e per euro 9.037,89 con riferimento al lasso temporale dal 30.8.2010 al 22.9.2010, nella qualità di socio della ZZZ due s.n.c., si sarebbe appropriata indebitamente dell’incasso e degli introiti giornalieri di altre cassiere senza l’autorizzazione del socio amministratore.

Nonostante il mandato fiduciario e posta la gravità dei fatti contestati, l’Avv. YYY non esercitava la facoltà di prendere visione degli atti o di estrarne copia, di presentare, nei 20 giorni successivi, memorie, documenti o depositare la documentazione relativa alle investigazioni del difensore, ma neppure presentava richiesta al P.M. per il compimento di atti di indagine, per la dichiarazione dell’indagata e per la sottoposizione della stessa all’interrogatorio. Tra l’altro, il predetto avviso non veniva notificato alla XXX ma solamente al suo difensore, Avv. YYY, sulla scorta del depositato atto di nomina a difensore di fiducia.

In data 29.3.2011 la medesima, quale persona sottoposta ad indagini preliminari, veniva invitata a sottoporsi ad interrogatorio ai sensi dell’art. 375 c.p.p., per atto proprio delegato dal P.M. inquirente, presso gli Uffici del Comando Stazione dei Carabinieri di Roma Trionfale per il giorno 18.4.2011 con l’assistenza del suo Avvocato.

In tale occasione compariva, tuttavia, ancora una volta e come sempre, compariva in sostituzione dell’Avv. YYY, l’Avv. ***.

Successivamente l’attrice, con due racc. a.r. anticipate via fax il 16.6.2011, revocava il mandato conferito all’Avv. YYY e nominava altro difensore di fiducia.

Tuttavia, veniva imputata per i predetti delitti e citata con decreto emanato ex artt. 550 e ss. c.p.p. del 25.1.2013, giudizi in cui attualmente è assistita da altro difensore, il quale assumeva l’incarico dopo che l’impianto difensivo era ormai compromesso. Sul ricorso di lavoro.

Tale ricorso avrebbe dovuto essere avviato nei confronti della ZZZ due s.n.c. e di ZZZ in proprio avverso il licenziamento comminato all’odierna attrice, ma per esclusiva volontà dell’Avv. YYY, non veniva depositato. Più precisamente il suddetto difensore, dopo aver fatto predisporre la redazione dei conteggi da allegare al ricorso da un consulente di sua fiducia, con studio in Viterbo, ove la stessa attrice si recava per rendere le opportune informative, e dopo il fallimento del tentativo di conciliazione, presso la Commissione Provinciale di Conciliazione delle Controversie Individuali di Lavoro, del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, alla cui discussione l’Avv. YYY delegava un sostituto, ossia l’Avv. ***, nonostante i solleciti della XXX del 18.5.2011 e del 20.5.2011, al fine di poter prendere visione del ricorso, anche per farlo esaminare, come da preventivo accorso, in ambito sindacale, in un’ottica di leale e normale collaborazione nel rapporto tra Avvocato e cliente, non consentiva, sin dall’inizio, né la lettura, né l’inserimento degli opportuni commenti, nel predetto atto difensivo. Pertanto, a fronte della condotta omissiva dell’Avv. YYY, l’attrice non sottoscriveva la procura a margine dell’atto in questione e restava priva di tutela a fronte del subito ed ingiusto licenziamento, così come imposto da ZZZ. In ogni caso, anche la procura a margine di detto ricorso in materia di lavoro conteneva il mandato difensivo in favore dell’Avv. YYY e di altro difensore, sconosciuto all’attrice. Ciò posto, con riferimento alla gestione delle singole cause da parte dell’odierno convenuto riconducibile anche a fattispecie di illeciti previsti nel Codice deontologico, l’odierna attrice a fronte di una difesa inadeguata, veniva costretta a rivolgersi all’attuale difensore, con inevitabili conseguenze rispetto ai giudizi ormai pesantemente compromessi ed in relazione agli esborsi da dover corrispondere per l’attività professionale da svolgere onde rimediare, nei limiti del possibile, ai precedenti errori difensivi commessi dall’Avv. YYY.

La condotta scorretta dell’Avv. YYY nei confronti della XXX emergeva anche, indirettamente, in ordine al modo di relazionarsi con il successivo ed attuale difensore, così come si evince dalla corrispondenza avente ad oggetto le modalità di accordo per il ritiro della documentazione a seguito della revoca dei mandati e dei successivi conferimenti all’esponente. Anche per tale ragione venivano presentati due esposti al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, rispettivamente il 20.3.2012 ed il 12.4.2012, dalla XXX. I procedimenti disciplinari si sono conclusi con declaratoria di avvenuta prescrizione quinquennale .

Deve aggiungersi che l’Avv. YYY pretendeva che l’odierna attrice gli rilasciasse tre assegni di importo pari ad euro 15.000,00, a fronte, tuttavia, di una liquidazione di onorari-competenze-spese, cui gli stessi si riferivano, già avvenuta a mezzo di bonifico bancario di importo pari ad euro 15.000,00 sul c/c della s.r.l. ** del 6.8.2010. In relazione a tale bonifico bancario la XXX indicava come causale “pagamento spese legali” e chiedeva, quindi, il rilascio della relativa fattura, mai trasmessa. Solo successivamente alla comunicazione, ex art. 22 del previgente Codice deontologico, dell’attuale Avvocato *** del 5.3.2012 l’Avv. YYY, con lettera del 12.3.2012, riconsegnava soltanto due dei tre assegni e la notula dei propri e pretesi compensi professionali depositandoli presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di ***. Ciò posto, l’attrice chiedeva accertarsi la responsabilità professionale dell’Avv. YYY : Quanto alla cessazione degli effetti civili del matrimonio:

Per la mancata comparizione personale all’udienza presidenziale dell’Avv. YYY, sostituito da un suo collega, mentre l’attrice, “presa da un naturale stato di tensione e di emotività”, era stata indotta ad interlineare la somma richiesta ed indicata di 5.000,00 euro sostituendola con l’importo di 2.874,00 euro , sicchè con ordinanza del 15.7.2011, depositata il 20.7.2011, in via provvisoria, il giudice aveva riconosciuto l’attribuzione di un assegno divorzile pari alla predetta somma di euro 2.874,00 anziché di euro 5.000,00 come, al contrario, preventivamente concordato con l’Avv. YYY.

L’attrice chiedeva pertanto la differenza tra la somma liquidatale con ordinanza provvisoria del 20.7.2011 sino alla sentenza n. 15567/12 del 31.7.2012“ e dunque euro 2.126,00 per 12 mensilità per un totale di euro 25.512,00”;

per il periodo ricompreso tra la data di deposito della predetta sentenza n. 15567 del 31.7.2012 sino ad oggi e, dunque, considerando le mensilità ricomprese tra agosto 2012 e marzo 2014, la differenza era pari ad euro 1.000,00 per ogni singola mensilità, per un totale di euro 19.000,00.

Il tutto, dunque, per un totale di euro 44.512,00

Sul giudizio di accertamento della comproprietà

Anche in relazione a tale giudizio, si configura un danno da perdita di chances, causato dalla mancata opportuna tutela della XXX in relazione alla cessione in compravendita dell’immobile di Via ***, Piazzale *** e Circonvallazione *** e di Via *** da parte del ZZZ, per atto del Notaio Dott. *** n. rep. , n. racc. 31255, in data 13.7.2011, al Sig. ***, al prezzo di euro 3.815.000,00, interamente trattenuto dal ZZZ, nonostante la precedente manifestazione di volontà di riconoscimento della comproprietà. Tale circostanza avrebbe determinato, infatti, nei confronti dell’attrice un pregiudizio economico, sempre da qualificarsi in termini di danno da chance, almeno pari alla metà del prezzo di vendita e cioè di euro 1.907.500,00.

La mancata disponibilità di tale somma ha impedito all’attrice di estinguere il debito con Equitalia *** S.p.a., saldando la rateizzazione della cartella di pagamento n. *** di euro 177.512,94, la richiesta della quale era stata accolta il 13.8.2008 per un totale di 72 rate mensili. Inoltre la disponibilità del suddetto importo avrebbe “sicuramente permesso all’attuale attrice di estinguere la successiva iscrizione ipotecaria di Equitalia *** S.p.a. del 17.5.2011 per la somma di euro 598.517,50”. Sul giudizio penale

“Gli inadempimenti a causa della mala gestio nell’ambito del giudizio penale hanno sicuramente prodotto un danno da perdita di chance nei confronti dell’odierna attrice, la quale, non avendo commesso il fatto per cui è stata imputata, se correttamente difesa, non sarebbe stata rinviata a giudizio. L’attrice ha chiesto pertanto liquidarsi tale voce di danno in via equitativa, tenendo conto del fatto che ella è un’imprenditrice che ha subito notevoli riduzioni del suo patrimonio e che ha perso ogni favorevole possibilità di incremento patrimoniale, oltre al danno per il patema d’animo patito a causa della pendenza di un ingiusto giudizio.

Sul ricorso del lavoro.

Anche il mancato deposito del ricorso di lavoro ha, indubbiamente, comportato nei confronti dell’attrice un danno da perdita di chance, di cui si chiede il risarcimento del danno in termini equitativi, “considerando sempre l’abbattimento del reddito e la perdita di ogni favorevole possibilità di incremento patrimoniale, patiti dall’attrice, la quale, si ripete, è un’imprenditrice. Infatti, se l’Avv. YYY avesse correttamente impugnato il licenziamento illegittimo l’attuale attrice, anche in via presuntiva e secondo un’analisi probabilistica, avrebbe ottenuto il vantaggio consistente nel riconoscimento dei danni patiti a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro, ai sensi e per gli effetti dell’art. 18 della L. n. 300/1970. Del resto, l’INPS ha, separatamente, riconosciuto i contributi previdenziali obbligatori in relazione all’attività lavorativa svolta da parte dell’attuale attrice presso la ZZZ s.n.c. dal 1996 al 2010.

Sulla restituzione dei compensi.

Inoltre, a seguito della mancata osservanza degli obblighi derivanti dai mandati ad esso conferiti, l’attrice ha chiesto la restituzione di tutti i compensi richiesti al convenuto, pari a totali 30.000,00 euro.

In subordine, laddove il Tribunale dovesse qualificare i danni subiti dall’attrice come danni emergenti, ha chiesto, altresì, il riconoscimento del lucro cessante, quale conseguenza immediata rispetto alla mancata disponibilità economica delle predette somme da parte dell’attuale attrice, in considerazione del fatto che la medesima è, comunque, un’imprenditrice commerciale che ha perso, ormai, ogni possibilità di investimento e tenuto conto della preclusa possibilità di estinguere i menzionati debiti tributari”.

Inoltre, l’attrice rivendicava il riconoscimento di tutti i danni non patrimoniali subiti, morali ed esistenziali, da liquidarsi in via equitativa, “tenuto conto del significativo quadro patrimoniale che interessa l’attrice e che si è vista compromettere a causa delle colpevoli condotte dell’Avv. YYY”, che non aveva mai correttamente tutelato le sue ragioni in tutti i mandati allo stesso conferiti, che l’aveva portata ad essere rinviata a giudizio per appropriazione indebito ed a ritrovarsi senza un’occupazione, non essendo stato impugnato il licenziamento illegittimo ed, a seguito della mancata trascrizione, ex art. 2653, comma 1, n. 1, c.c., dell’atto di citazione di accertamento della comproprietà, e della conseguente vendita dell’immobile di cui sopra, era stata privata di un bene di cui era stata riconosciuta comproprietaria nel 1995, nonché della metà dell’importo del prezzo di vendita, al contrario trattenuto interamente dal ZZZ. Tali circostanze avevano prodotto nell’attrice un danno non patrimoniale, sia in termini di danno morale, quale pregiudizio della sua sfera emotiva, che come danno esistenziale, stante il significativo peggioramento della sua vita quotidiana. Chiedeva che tale tipo di danno venisse liquidato in via equitativa, tenendo conto del fatto che l’attrice aveva compiuto da poco 70 anni e dunque era una persona ormai quasi priva della possibilità di ricostruire la propria serenità di vita, nonché in grado di ripristinare la sua qualità di vita come se l’evento non si fosse mai verificato. Ciò, tanto più, tenuto conto del fatto che la mancata disponibilità della somma di euro 1.907.500,00 le aveva precluso la possibilità di estinguere il debito con Equitalia *** S.p.a, saldando la suddetta rateizzazione, nonché la successiva possibilità di estinguere l’iscrizione ipotecaria sempre di Equitalia *** S.p.a. Era da considerare, inoltre, il danno esistenziale patito dall’attrice per affrontare ulteriori giudizi a mezzo di successivi e sostituiti difensori, ivi comprese le ulteriori somme corrisposte a questi ultimi a titolo di compensi per la difesa da intraprendere in cause ormai totalmente compromesse in virtù delle inadempienze dell’Avv. YYY.

L’attrice pertanto chiedeva la condanna dell’Avv. YYY:

– al risarcimento della somma di euro 44.512,00 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, ovvero al pagamento delle somme ritenute di giustizia, per il pregiudizio economico subito dall’attrice in relazione al giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio;

– al risarcimento della somma di euro 1.907.500,00 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, ovvero al pagamento delle somme ritenute di giustizia, a titolo di danno da chance, per il pregiudizio economico patito dall’attrice in relazione al giudizio di accertamento della comproprietà, per i motivi esposti in narrativa;

– al risarcimento di euro 30.000,00 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria quale ripetizione dell’importo corrisposto dall’attrice a titolo di compenso, ovvero al pagamento delle somme minori o maggiori ritenute di giustizia, per tutti i motivi indicati in narrativa;

– il tutto per un totale di euro 1.982.012,00 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, ovvero la maggiore o minore somma ritenuta di giustizia,

– gli ulteriori danni da chance in sede penale patiti dall’attrice e per la mancata impugnazione del licenziamento illegittimo comminatole, da calcolarsi in via equitativa, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria;

– per l’effetto, condannarsi l’Avv. YYY al risarcimento di tutti i danni non patrimoniali, morali ed esistenziali, subiti dalla XXX, da calcolarsi in via equitativa; in subordine, condannarsi il convenuto al risarcimento delle somme di euro 44.512,00 e di euro 1.907.500,00 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria ovvero al pagamento delle somme minori o maggiori ritenute di giustizia a titolo di danno emergente con conseguente riconoscimento del lucro cessante.

All’udienza dell’8.5.2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il Giudice che, sostanzialmente, la pretesa attorea volta alla dichiarazione della responsabilità professionale dell’Avv. YYY sia fondata, risultando provato come più volte il legale, pur nominato, abbia delegato sostituti che non hanno difeso adeguatamente la XXX: per esempio all’udienza presidenziale di declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella quale il codifensore dell’attrice, seppure in delega, ha avallato lo sbarramento della cifra di euro 5.000,00 richiesta a titolo di mantenimento sostituita con quella di euro 2.874,00. Tuttavia, sotto tale aspetto, nessun danno può essere ascrivibile all’Avv. YYY poiché, come si legge nella sentenza definitiva del 22.6.2012, l’Avv. ***, “costituitosi tempestivamente con comparsa depositata in data 15.4.2011, ben avrebbe potuto proporre domanda riconvenzionale e non risulta essere incorso in errore incolpevole”; peraltro il Collegio, considerata la durata del matrimonio e la scrittura privata siglata dalle parti il 3 agosto 1995, dalla quale risultava emergere il contributo economico e lavorativo fornito dalla moglie alla formazione del patrimonio comune e di quello dei coniugi, risulta aver rideterminato l’assegno mensile in euro 4.000,00, sicchè, anche sotto tale profilo, alcun danno è riconducibile alla condotta dell’Avv. YYY.

Quanto alla domanda di accertamento della comproprietà al 50% dei beni formalmente intestati al solo ZZZ e venduti da quest’ultimo in spregio della scrittura privata del 3.8.1995, nonostante l’Avv. YYY non abbia provveduto alla trascrizione della stessa, la medesima non è risultata meritevole di accoglimento, sia per l’inesistenza di una interposizione reale e di un negozio fiduciario tra le parti con conseguente obbligo di ritrasferimento a carico del ZZZ, per il fatto che né nella scrittura privata, né negli accordi di separazione, vi era l’assunzione da parte del marito di un obbligo di trasferimento di una quota dei beni; inoltre la citata scrittura privata non è stata ritenuta dimostrativa della simulazione nell’intestazione dei beni, in quanto è pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui “l’interposizione fittizia di persona postula la imprescindibile partecipazione all’accordo simulatorio non solo del soggetto interponente e di quello interposto, ma anche del terzo contraente, chiamato ad esprimere la propria adesione all’intesa raggiunta dai primi due (contestualmente od anche successivamente alla formazione dell’accordo simulatorio) onde manifestare la volontà di assumere diritti e obblighi contrattuali direttamente nei confronti dell’interponente, secondo un meccanismo effettuale analogo a quello previsto per la rappresentanza diretta…Ne consegue che, dedotta in giudizio la simulazione relativa soggettiva di un contratto di compravendita immobiliare, la prova dell’accordo simulatorio deve, necessariamente, consistere nella dimostrazione della partecipazione ad esso anche del terzo contraente” (così Cass. n. 6541 del 18 maggio 2000, sulla falsariga di Cass. n. 4911 del 15 maggio 1998). Da ciò deriva l’ulteriore conseguenza che – poiché “ai fini della domanda diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità per simulazione relativa di un contratto di compravendita immobiliare e l’accertamento che il compratore effettivo è persona diversa da quella indicata nel contratto, è indispensabile che l’accordo simulatorio risulti da atto scritto a norma dell’art. 1350 c.c., salvo il caso di perdita incolpevole del documento ovvero l’ipotesi di impugnazione da parte dei creditori del dissimulato acquirente – “una controdichiarazione (pur cpur consacrata in atto scritto) proveniente dal solo soggetto interposto non spiega alcuna utile funzione dimostrativa della asserita simulazione soggettiva, essendo priva di qualsiasi contenuto probatorio della partecipazione del terzo contraente all’accordo simulatorio” (così Cass. n. 4911 del 15 maggio 1998). La prova della proprietà rivendicata pro quota dalla ricorrente non può, peraltro, rinvenirsi in modo immediato nell’atto ricognitivo del 3.8.1995 e nel verbale di udienza della separazione consensuale, poiché l’efficacia probatoria di questi ultimi non può invero essere più estesa di quella prevista per la confessione, che ha riguardo solamente ai fatti, produttivi di situazioni o rapporti giuridici, sfavorevoli al dichiarante, mentre non può riguardare il semplice riconoscimento di questi rapporti, essendo tale effetto espressamente stabilito dalla legge solo con riferimento ad atti tipicamente considerati, mentre in tema di proprietà nessun effetto la legge attribuisce all’atto ricognitivo, per cui deve escludersi che quest’ultimo, ove sia riferito al suddetto diritto reale, possa assumere valore di prova circa l’esistenza del diritto medesimo. Per costante giurisprudenza (tra le tante v. Cass. n. 2611/1996; Cass. 4653/1981; n. 7274/1983) il negozio di accertamento, avendo la funzione di fissare il contenuto di un rapporto giuridico preesistente con effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione al riguardo, non costituisce fonte autonoma degli effetti giuridici da esso previsti e, pertanto, per la regolamentazione della situazione controversa deve farsi capo in ogni caso alla fonte precettiva originaria. Da tale principio discende che il negozio di accertamento postula l’esistenza di un rapporto giuridico tra le parti e non crea nuovi rapporti, ma elimina soltanto le incertezze della situazione giuridica preesistente. L’acquisto derivativo della proprietà di un bene immobile postula un contratto, a contenuto traslativo, intervenuto con il precedente titolare del diritto e soggetto alla forma scritta ad substantiam, mentre, in difetto di questo, non può discendere da un negozio di mero accertamento, il quale può eliminare incertezze sulla situazione giuridica, ma non sostituirne il titolo costitutivo. L’atto di ricognizione, previsto dall’art. 2720 c.c., ha un’efficacia probatoria limitata ai fatti, produttivi di situazioni o rapporti giuridici, sfavorevoli al dichiarante e non può spiegarsi al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge: pertanto deve escludersi che esso, riferito al diritto di proprietà o (al di fuori dei casi espressamente previsti) ad altri diritti reali, assuma valore di prova circa la esistenza di tali diritti (Cass. n. 2088/1992; v. anche Cass. n. 13625/2007). Per tali motivi il Tribunale di Roma, con sentenza n. 21227/2013, ha concluso che la pretesa della XXX volta alla declaratoria della comproprietà dei beni immobili di cui alla scrittura del 3.8.1995 non fosse fondata e di conseguenza non si potesse configurare un suo credito per i frutti civili, in base alla prospettazione della domanda. Pertanto, anche ove la stessa fosse stata trascritta, non può configurarsi un danno da perdita di chances dell’attrice, sotto tale profilo.

Quanto ai compensi corrisposti all’Avv. YYY, risulta agli atti il bonifico di euro 15.000,00 versato alla Società *** S.r.l del 6.8.2018 (cfr. doc. 60 fasc. att.); risultano in atti poi una parcella per 15.000,00 euro dell’Avv. YYY del 16.6.2011(cfr. doc n. 53 fasc. att.) e copie scarsamente leggibili, riprodotte solo nella parte frontale, di due assegni intestati alla ** S.r.l. dell’importo, rispettivamente, di euro 5.000,00 e 15.000,00, che l’Avv. YYY ha dichiarato di non avere mai incassato, oltre alle mere copie delle matrici di tre assegni che sarebbero stati versati all’Avv. YYY. Anche sotto tale profilo, la domanda non può essere accolta se non la restituzione della minor somma di euro 15.000,00.

Merita, invece, accoglimento la domanda di condanna dell’Avv. YYY per non aver diligentemente difeso la propria assistita in sede penale, delegando per il suo interrogatorio un sostituto; sotto tale profilo, la quantificazione del danno non patrimoniale può che effettuarsi in via puramente equitativa, in euro 20.000,00 al valore attuale, comprensiva di rivalutazione e lucro cessante. Nulla può riconoscersi all’attrice per il mancato deposito del ricorso di lavoro, non risultando provato che sia stato conferito al professionista alcun mandato in tal senso.

In definitiva, la domanda attorea può essere accolta limitatamente alla somma di euro 35.000,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. Le spese di lite seguono la soccombenza entro i limiti dell’accolto con distrazione in favore dell’Avv. ***, dichiaratosi antistatario.

p.q.m.

definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: in accoglimento, per quanto di ragione, della domanda attorea, condanna l’YYY al pagamento, in favore di XXX, a titolo risarcitorio del danno, della somma di euro 35.000,00 oltre interessi come indicati in motivazione;

condanna l’YYY alla rifusione delle spese di lite anticipate per parte attrice che liquida in euro 1.688,00 per esborsi ed in euro 7.254,00 per onorari, oltre rimb. forf., IVA e CPA come per legge, che distrae in favore dell’Avv. ***, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 22 agosto 2018.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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