LA CORTE D’APPELLO
DI VENEZIA Sezione III
Civile Composta dai magistrati:
Dr.ssa NOME COGNOME Presidente Dr.ssa NOME COGNOME Consigliere Dr.ssa NOME COGNOME Consigliere rel. ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._419_2025_- N._R.G._00002338_2022 DEL_06_03_2025 PUBBLICATA_IL_10_03_2025
Nella causa promossa in appello con citazione notificata il 15.12.2022 da:
in persona del legale rappresentante, con sede in Schio, INDIRIZZO, P.IVA , con il R.G. N. 2338/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
P. in Venezia-Mestre, INDIRIZZO e con il patrocinio degli Avv.ti NOME COGNOMEC.F.: e NOME COGNOME (C.F.: ), per procura allegata alla citazione d’appello, appellante contro: , in persona del legale rappresentante pro tempore , con sede in Torrebelvicino (VI), INDIRIZZO C.F: , nata a Thiene, il 20.11.1970, C.F. residente a Fara Vicentino, INDIRIZZO , nata a Schio, il 28.06.1974, C.F.: residente a Torrebelvicino, INDIRIZZO tutti con proc. dom. Avv. NOME COGNOMEcodice fiscale: C.F.: , PEC:
– fax NUMERO_TELEFONO, pec c), in Thiene (VI), INDIRIZZOper procura trasmessa in via telematica, appellata Oggetto: appello avverso la sentenza n. 1470/2022 emessa del Tribunale di Vicenza pubblicata in data 22.08.2022;
in punto:
contratti e obbligazioni varie.
Causa trattata all’udienza del 10.02.2025.
C.F. C.F. C.F. procuratore dell’appellante ha così concluso:
Nel merito:
In totale riforma dell’impugnata sentenza n. 1470/2022 – n. 6472/2019 R.G., emessa dal Tribunale di Vicenza in data 22.08.2022 rigettarsi l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 2120/2019 – n. 4276/2019 R.G., in quanto infondata in fatto e in diritto per i motivi esposti in atti, accertando e dichiarando che la e le sig.re , quest’ultime ai sensi e per gli effetti dell’art. 2304 c.c., sono debitori nei confronti de della somma in linea capitale di euro 5.074,02 (euro 2.521,06 a saldo della fattura n. 157/2018 ed euro 2.552,96 a saldo della fattura n. 172/2018 – all. B/3/1-2) oltre alla somma di euro 128,34 per gli interessi moratori scaduti al 10.04.2019 ed oltre agli ulteriori interessi legali (ai sensi dell’art. 5 d. l.vo n. 231/02) dovuti sull’importo capitale di euro 5.074,02 dal 11.04.2019 o, in subordine, dalla domanda al saldo effettivo e, conseguentemente, confermarsi e dichiararsi valido ed efficace il decreto ingiuntivo n. 2120/2019 – n. 4276/2019 R.G. In ogni caso: rigettarsi, in quanto infondata in fatto ed in diritto per i motivi esposti in atti, la domanda riconvenzionale proposta da dalle sig.re , accertando e dichiarando che ha esattamente adempiuto alle obbligazioni relative al contratto di compravendita di cui alle fatture monitoriamente e che tra le parti non era mai intercorso alcun rapporto di somministrazione ai sensi degli artt. 1559 ss. c.c. In via subordinata:
ridursi l’ammontare dei danni liquidati dal Tribunale di Vicenza nelle somme di euro 5.092,96 e di euro 5.004,56, per i motivi esposti in atti, in particolare per avere il Tribunale di Vicenza effettuato il conteggio su documenti di formazione ’utile d’impresa.
2. Condannarsi le convenute appellate, in solido tra di loro, alla restituzione delle somme versate dalla appellante in forza della sentenza di primo grado;
3. Spese e competenze di causa, di entrambi i gradi del giudizio, integralmente rifuse, con distrazione a favore dei sottoscritti avvocati che hanno anticipato le spese senza percepire il compenso.
In via istruttoria ci si oppone alle avverse istanze, in quanto tardive, irrilevanti e documentali.
Il procuratore delle appellate ha così concluso:
Nel merito:
1) Dichiararsi inammissibile l’appello per le ragioni indicate in comparsa di costituzione;
2) Rigettarsi l’appello perché infondato in fatto e in diritto e conseguentemente confermarsi la sentenza n. 1470/22 del Tribunale di Vicenza;
3) In ogni caso revocarsi, annullarsi, dichiararsi nullo e/o inefficacie il D.I. opposto per i motivi di cui in narrativa e comunque rigettarsi tutte le domande dell’Appellante;
conseguentemente confermarsi la condanna dell’Appellante a restituire a somma di € 6.398,30 pagata con riserva di ripetizione, per effetto della concessione della provvisoria esecutorietà del D.I. n. 2120/19;
4) In ogni caso accertare e dichiarare non dovuta la somma ingiunta o comunque alcuna somma all’Appellante per i motivi indicati in atti;
5) Accertare e dichiarare la non congruità del preavviso del recesso dal contratto di e conseguentemente condannare e lucro cessante, nella misura ritenuta di giustizia, anche mediante compensazione con quanto eventualmente dovuto da 5) Spese e competenze di causa di entrambi i gradi di giudizio rifuse.
In via istruttoria, le Appellate insistono per l’ammissione delle istanze istruttorie orali indicate in memoria ex art 183, 6° comma n. 2 c.p.c. e nella richiesta di CTU contabile.
Il procuratore delle COGNOME rinuncia alla concessione dei termini ex art 190 c.p.c. avendo già usufruito dei medesimi e si riporta a quanto esposto e dedotto in comparsa conclusionale e memoria di replica a comparsa conclusionale da aversi qui per riportate.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 1479/2022 emessa nel procedimento R.G. n. 6472/2019, pubblicata in data 22.08.2022, il Tribunale di Vicenza, definitivamente pronunciando nel giudizio promosso con citazione del 10.01.2020 da in proprio e quale legale rappresentante della società e da nei confronti di – di opposizione al decreto n. 2120/2019 con il quale lo stesso Tribunale ingiungeva a , in proprio e quale legale rappresentante pro tempore di e a il pagamento in favore di della somma di € 5.074,02 di cui alle fatture n. 157/2018 e n. 172/2018 relative al prezzo di forniture di pane, oltre interessi ex art 5 D.Lg. n. 231/2002 e le spese della procedura monitoria, cui le ingiunte si opponevano contestando l’inesistenza del credito azionato per la sussistenza tra le parti da oltre dodici anni di un rapporto di somministrazione di pane dal quale titolare di era receduto con soli tre giorni di preavviso, con ciò cagionando loro ingenti danni e perdita di clientela, per il tempo necessario al reperimento di un nuovo fornitore, nella di avere sospeso la consegna del pane, e non la fornitura, a causa dell’inadempimento contrattuale delle opponenti e per ragioni organizzative proprie; contestando il nesso causale tra l’interruzione del rapporto e i lamentati danni – accertava l’esistenza del credito di € 5.074,02 in favore di nei confronti delle opponenti e di un controcredito di queste ultime di € 10.155,61 per cui, operata la parziale compensazione, condannava al pagamento in favore delle opponenti della somma di € 5.081,59, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla domanda al saldo e alla restituzione della somma di € 6.398,30 pagata per la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo, oltre agli interessi legali successivi dal dovuto al saldo; rigettava ogni altra domanda e condannava a rifondere alle opponenti le spese di lite.
Avverso la sentenza – pronunciata nel contraddittorio delle parti e all’esito di un’istruttoria con acquisizioni documentali e prove testimoniali – ha proposto appello la società censurandola per i seguenti motivi:
1) errata qualificazione giuridica del contratto intercorso tra le parti;
2) errato accertamento dell’inadempimento contrattuale dell’ingiungente per effetto di un’errata comparazione delle prove;
3) errato accertamento della mancanza di congruità del termine di preavviso e della sussistenza della prova dei danni lamentati.
Le appellate si sono costituite in giudizio con comparsa del 24.03.2023 chiedendo in via preliminare dichiararsi l’inammissibilità dell’appello e chiedendone nel merito il rigetto e la conferma della sentenza e della revoca del decreto ingiuntivo.
Per l’udienza del 10.02.2025 le parti hanno depositato le note scritte di precisazione ai sensi dell’art. 190 c.p.c. e la causa è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nel giudizio di primo grado , in proprio e quale legale rappresentante di proponevano opposizione al decreto ingiuntivo n. 2120/019 del 17.07.2019 con il quale il Tribunale di Vicenza intimava alla società in solido con le socie illimitatamente responsabili , di pagare a la somma di € 5.074,02 a saldo delle fatture n. 157 del 31.10.2018 di € 2.521,06 e n. 172 del 30.11.2018 di € 2.552,96, oltre interessi moratori dal 10.04.2019 e ai successivi interessi ex art. 5 d.lgs. n. 231/2002 fino al saldo e oltre alle spese della procedura monitoria. RAGIONE_SOCIALE e le socie proponevano opposizione al decreto assumendo di nulla dovere a per il credito azionato.
Sostenevano che la società esercente attività di vendita al dettaglio di prodotti di panetteria, pasticceria da forno e generi alimentari vari e prevalentemente commercio al dettaglio di pane, fin dall’inizio della sua attività, ossia dal 23.02.2007, si era rifornita del pane e dei prodotti da forno da avvalendosi di un altro forno soltanto per l’acquisto di pane integrale e di avere aperto, nel mese di febbraio 2012, un punto vendita a Torrebelvicino (VI), oltre a quello originario posto nella frazione di Pievebelvicino, sempre rifornendosi da Alla fine di novembre 2018 legale rappresentante de comunicava che avrebbe interrotto, a decorrere dal successivo mese di dicembre, la in essere tra le parti, pur continuando a rifornire altri esercizi commerciali della zona. Tale recesso doveva ritenersi arbitrario ed illegittimo, anche in considerazione della costante puntualità delle stesse nei pagamenti dovuti, in quanto si erano trovate costrette a sopperire in tempi brevi all’interruzione della fornitura di pane acquistandone per una settimana prodotti da “ Il mutamento del fornitore aveva determinato la perdita di clienti abituali, in quanto il nuovo pane non era un prodotto artigianale ed aveva un prezzo superiore a quello in precedenza praticato, per cui successivamente si erano avvalse di altri forni, trovando solo alla fine di febbraio 2019 il forno artigianale “RAGIONE_SOCIALE” che realizzava prodotti di qualità simile a quelli dell’opposta. Avevano, pertanto, sospeso il pagamento delle ultime due fatture in attesa della quantificazione dei danni subiti a causa dell’illegittimo recesso di dal contratto di somministrazione, contestato a mezzo legale con pec del 07.02.2019.
Con tale comunicazione avevano chiesto il risarcimento di danni quantificati in € 11.000,00 per il mancato preavviso del recesso per il periodo di quattro mesi (€ 2.756,74 mensili x 4), durante il quale era stata costretta a sopportare maggiori costi per l’acquisto dei prodotti (circa € 58,09 a settimana x 4 settimane = € 232,00 mensili), con un mancato guadagno per il calo della vendita del pane (€ 15.278,87 annuo:
12 = € 1.273,24 mensili) e una perdita per la mancata vendita di prodotti esclusivi di (€ 15.013,74 annuo:
12 = € 1.251,14 mensili), e di ulteriori € 15.000,00 per i danni da perdita di avviamento e dei danni diretti e indiretti conseguenti al comportamento illegittimo dell’opposta.
Per tali motivi le opponenti chiedevano la revoca del decreto ingiuntivo;
in subordine rispetto a quella di ragione del beneficio di escussione del patrimonio sociale di cui all’art. 2304 Cod. Civ. per i soci di società in nome collettivo e in via riconvenzionale chiedevano la condanna dell’opposta al risarcimento dei danni subiti con eventuale compensazione degli importi delle due fatture azionate in via monitoria, se dovuti.
Si costituiva in giudizio chiedendo la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, la sua conferma e il rigetto della domanda riconvenzionale delle opponenti, precisando che il rapporto negoziale intrattenuto con.
non era riconducibile ad un contratto di somministrazione, mai sottoscritto tra le parti, ma costituiva un’ordinaria compravendita priva di clausole di esclusiva e di vincoli di durata.
Sosteneva di essersi trovata, nell’autunno 2018, in una situazione di difficoltà organizzativa, di non essere stata più in grado di sostenere il carico di lavoro ed essere stata costretta a comunicare ai clienti la necessità di sospendere con decorrenza dal 01.12.2018 la consegna a domicilio del pane, dichiarandosi però disponibile a proseguire la fornitura a condizione che i clienti provvedessero in autonomia al ritiro dei prodotti presso il suo laboratorio artigianale.
Le opponenti, diversamente da altre panetterie della zona, non accettavano di provvedere al ritiro delle forniture e si rifiutavano di riprendere la relazione commerciale con anche quando, nel mese di maggio 2019, veniva loro comunicato che sussistevano le condizioni per poter effettuare nuovamente le consegne a domicilio del pane.
Pertanto, non sussisteva alcun inadempimento contrattuale, essendo la situazione venutasi a creare frutto della libera scelta di e venivano concessi i termini per il deposito delle memorie istruttorie.
Con la sentenza impugnata il Tribunale, sulla base delle risultanze istruttorie, qualificava il rapporto oggetto di causa come contratto di somministrazione e, alla luce delle testimonianze acquisite, analizzate nella sentenza, riteneva sussistente la violazione da parte dell’opposta dell’art. 1569 Cod. Civ., non potendo ritenersi congruo il preavviso di soli tre o quattro giorni con il quale veva comunicato alle opponenti l’interruzione delle forniture, dal momento che il rapporto commerciale tra le parti proseguiva senza soluzione di continuità da circa dodici anni.
Con riferimento alla domanda riconvenzionale delle opponenti, il Tribunale riconosceva alle stesse il diritto al risarcimento dei danni subiti per il maggiore costo sostenuto per una settimana per l’acquisto del pane da “ per € 58,09 e per la perdita subita per il mancato guadagno conseguente al calo della vendita di pane registratosi nel 2019 rispetto all’anno 2018, nel corso del rapporto di somministrazione con l’opposta, ritenendo congrua la domanda di risarcimento formulata su quattro mensilità di mancato preavviso per complessivi € 5.092,96. Accoglieva la domanda risarcitoria per la perdita subita in conseguenza della mancata vendita di prodotti che era solita acquistare da nella quantificazione prospettata dalle opponenti per quattro mensilità di mancato preavviso rispetto al mancato fatturato annuo di € 15.013,74, in misura complessivamente pari a € 5.004,56 e rigettava la domanda di liquidazione dell’ulteriore importo di € 15.000,00 per danni perpetrati in situazione di abuso di dipendenza economia e abuso di diritto, in quanto non provati.
In parziale accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da e dalle alle stesse la somma complessiva di € 10.155,61, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dalla domanda al saldo e, operata la parziale compensazione tra i due contrapposti crediti fino all’importo di € 5.074,02, condannava la società opposta al pagamento della somma di € 5.081,59 oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dalla domanda al saldo e alla restituzione della somma di € 6.398,30 pagata nelle more del giudizio per la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo. Così inquadrati i fatti, deve preliminarmente respingersi l’eccezione dell’appellata di inammissibilità dell’appello ai densi dell’art. 342 c.p.c., atteso che l’atto di impugnazione consente di individuare le ragioni del gravame e le statuizioni impugnate, sì da consentire al giudice di comprendere il contenuto delle censure ed alle controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva.
Va, invero, osservato che “la specificità dei motivi, ex art. 342 cod. proc. civ., per la rituale proposizione dell’atto di appello, esige, anche quando la sentenza di primo grado sia stata integralmente censurata, che, alle argomentazioni in essa svolte, vengano contrapposte quelle dell’appellante volte ad incrinarne il fondamento logico-giuridico poiché la parte volitiva dell’appello deve accompagnarsi ad una componente argomentativa diretta a confutare e contrastare le ragioni addotte dal primo giudice” (Cass. n. 22781 del 27.10.2014; cfr. anche Cass. ord. n. 13535 del 30.05.2018).
E ciò è senz’altro ravvisabile nella specie.
Nel merito, l’appello si profila meritevole di accoglimento per quanto di seguito specificato.
Con il primo motivo l’appellante lamenta l’errata qualificazione giuridica del contratto intercorso tra le parti sostenendo che il Tribunale lo avrebbe inquadrato nell’ambito La doglianza non merita accoglimento.
Deve osservarsi che il Tribunale ha qualificato la fattispecie contrattuale oggetto di causa come contratto di somministrazione valutando tutti gli elementi che ha preso in esame nella motivazione della sentenza, avendo riguardo alla durata del rapporto e all’interesse delle parti.
Con l’ordinanza n. 31319 del 06.12.2024, la Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione ha chiarito la differenza tra vendita a consegne ripartite e somministrazione ribadendo che la vendita a consegne ripartite si caratterizza per l’unicità della prestazione:
la quantità di beni è predeterminata, ma la consegna avviene in più riprese per agevolare l’esecuzione o il ricevimento.
Al contrario, nella somministrazione la fornitura è frazionata nel tempo per soddisfare un fabbisogno periodico del somministrato e la quantità complessiva di beni può essere solo stimata, evidenziando che questo criterio ha rilevanza pratica poiché incide sulla disciplina contrattuale applicabile e sul regime degli interessi di mora.
Per la qualificazione giuridica del contratto il Tribunale si è uniformato a tali criteri esattamente escludendo l’ipotesi di vendita, non potendo l’interesse delle opponenti essere soddisfatto anche in un’unica soluzione dal momento che “la quantità complessiva della prestazione (fornitura di pane) non poteva essere determinata a priori, ma diventava determinabile di volta in volta, in relazione alle esigenze della panetteria che provvedeva a comunicare gli ordinativi….
essendo le singole prestazioni volte a soddisfare il medesimo bisogno reiterato e durevole di parte opponente”.
Con riferimento alla forma, la sentenza impugnata ha specificato che la ricorrenza di un contratto di somministrazione non è esclusa dalla mancanza di un accordo scritto e che nella specie la fornitura quotidiana si era pacificamente protratta per circa dodici pane pari a 700 – 750 kg. al mese.
Tale circostanza ha trovato conferma nelle fatture prodotte in giudizio dalle appellate (cfr. docc. 41-52 primo grado appellate) e l’attività di esecuzione delle forniture mediante il trasporto dei prodotti nei punti vendita delle appellate, cui l’appellante aveva sempre provveduto a propria cura fino alla fine di novembre 2018, è risultata provata in sede testimoniale ed è stata ammessa dallo stesso appellante.
La tesi secondo la quale l’attività di fornitura ricomprendesse anche la consegna da parte dell’appellante ha trovato ampia conferma istruttoria, dovendo concordarsi anche sull’irrilevanza, ai fini dell’esclusione della fattispecie contrattuale individuata dall’appellante, dell’acquisto da parte delle appellate di pane integrale presso altro fornitore, essendo risultata provata la quantità irrisoria di tale acquisto.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20267 del 14.07.2023, ha ribadito che per la ricorrenza del contratto di somministrazione non occorre il requisito della forma scritta, neppure a fini probatori, in quanto l’art. 1325 Cod. Civ. tra gli elementi costitutivi del contratto indica la forma identificandola come lo strumento attraverso il quale si manifesta la volontà delle parti, in ossequio al principio della libertà delle forme secondo il quale la forma scritta costituisce causa di nullità soltanto se prescritta espressamente dalla legge. La qualificazione giuridica del contratto da parte del Tribunale deve, pertanto, trovare conferma.
Con il secondo motivo l’appellante lamenta l’errato accertamento dell’inadempimento contrattuale dell’ingiungente per effetto di un’errata comparazione delle prove.
Secondo l’appellante il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato il contenuto del dal 01.12.2018 non avrebbe più fornito il pane, e non avrebbe tenuto conto del messaggio whatsapp inviato dal signor alla signora “Ciao. Dal 1 dicembre verrà sospesa la consegna per problematiche interne” (cfr. docc. B/5 e B/6 primo grado appellante).
Il Tribunale avrebbe anche omesso di valorizzare le dichiarazioni rese dai testi secondo le quali la comunicazione effettuata con il messaggio del 26 o 27.11.2018 era riferita ad una sospensione temporanea della fornitura, che sarebbe ripresa dopo che l avesse risolto le sue emergenze organizzative, avendo infatti la stessa ripreso il servizio di consegna nella zona di Torrebelvicino.
La critica è infondata.
Il Tribunale ha correttamente ritenuto le dichiarazioni rese dai testi di parte opposta contrastanti con le risultanze documentali sottolineando l’irrilevanza di quelle del teste di parte appellante (cfr. testi ud. 18.05.2021) in quanto sia dal messaggio cartaceo, sia da quello riprodotto al doc. 5 dell’opposta poteva ricavarsi l’intenzione dell’appellante di cessare non soltanto l’attività di consegna a domicilio ma l’esecuzione per il futuro delle forniture, contenendo lo scritto anche il ringraziamento finale al cliente per la fiducia accordata fino ad allora, senza alcun riferimento alla possibilità di proseguire le forniture con il ritiro dei prodotti presso la sede della società appellante. Esattamente il Tribunale ha ritenuto che la sospensione temporanea delle consegne non emergesse neppure dallo scambio di messaggi whatsapp intercorso tra e i titolari di “ ”, dal quale si ricava la definitività della decisione del signor di sospendere le consegne del pane (oltre al chiaro disappunto manifestato da parte Il Tribunale ha anche evidenziato che l’allora opposta, pur avendo indicato come testimoni i titolari degli esercizi commerciali che avrebbe contattato telefonicamente per concordare la prosecuzione delle forniture con la sola interruzione del servizio di consegna a domicilio, non li ha poi chiamati a testimoniare tale circostanza. Deve confermarsi logica e coerente anche la valutazione di inattendibilità della deposizione di sia per il legame familiare e lavorativo con il legale rappresentante di sia per la mancanza di riscontri documentali, sia in quanto i testimoni delle opponenti, fornitori e clienti dell’esercizio, hanno tutti confermato le circostanze dalle stesse dedotte (cfr. teste , ud. 18.05.2021 e testi ud. 02.11.2021).
Il Tribunale ha anche esattamente valorizzato il contenuto del messaggio del 31.12.2018 indirizzato dal titolare di :
“Amareggiato per la scelta… ma si è dimostrata provvidenziale, visto il susseguirsi di problematiche, tipo il malore di “piccolo ictus” sembra” (cfr. doc. 83 primo grado appellate e doc. 7 primo grado appellante), dal quale si comprende la definitività della cessazione delle forniture.
Condivisibile anche la decisione del Tribunale in ordine alla mancanza di prova dell’esistenza di una giusta del recesso di dal rapporto di somministrazione senza congruo preavviso per la mancanza della prova che i dipendenti avessero rassegnato dimissioni immediate o improvvise per sopraggiunti problemi di salute, essendo emerso che il dipendente era all’epoca dei fatti già in pensione e che le condizioni di salute di si erano manifestate in epoca successiva alla comunicazione del recesso dal contratto di somministrazione ogni caso, il Tribunale ha precisato che era mancata la consensuale modifica dell’originario accordo tra le parti riguardante l’adempimento dell’obbligazione di consegna del pane ai sensi dell’art. 1569 Cod. Civ. in ragione del preavviso di soli tre/quattro giorni con il quale aveva comunicato alle opponenti l’interruzione delle forniture. Con la censura oggetto del terzo motivo l’appellante lamenta in primo luogo l’iniquità della valutazione di congruità del termine per il recesso operata dal Tribunale, sostenendo che le forniture di pane avrebbero potuto essere facilmente sostituite, trattandosi del prodotto più comune in commercio, e che la stessa appellata avrebbe dichiarato di avere a fine febbraio 2019 cominciato a servirsi del forno artigianale RAGIONE_SOCIALE che realizzava prodotti simili a quelli forniti dall’appellante.
Sotto questo profilo deve condividersi la tesi del Tribunale che ha ritenuto non congruo in relazione al disposto dell’art. 1569 Cod. Civ. il preavviso di soli tre/quattro giorni con il quale ha comunicato l’interruzione delle forniture, tenuto conto della durata ultradecennale del rapporto commerciale con le appellate e della difficoltà dalle stesse incontrate nel trovare una diversa soluzione per il rifornimento del pane da offrire alla clientela, che il Tribunale ha correttamente considerato ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento dell’appellante tenendo conto delle risultanze istruttorie. Il Tribunale ha esattamente tenuto conto del fatto che il fatturato dell’appellata successivamente all’inizio delle forniture dal RAGIONE_SOCIALE è tornato ad essere pari a quello realizzato all’epoca dell’acquisto dei prodotti da l soltanto nel mese di agosto 2019 (cfr. docc. 14 e 26 primo grado appellata) e del fatto che dall’altro fornitore l’appellata acquistava soltanto il pane integrale, censure vanno invece accolte con riferimento all’errata quantificazione dei mancati guadagni.
Riguardo alla critica secondo la quale il prospetto degli incassi mensili prodotto dall’appellata (cfr. doc. 29 primo grado appellata) sarebbe inidoneo a provare il nesso causale tra il calo di fatturato e il recesso dell’appellante, in quanto documento di provenienza unilaterale e contestato, va evidenziato che l’appellata, in aggiunta ai prospetti di cui alle tabelle contestate (cfr. docc. 2-14, 25-31, 34 primo grado appellata), ha prodotto in giudizio i registri dei corrispettivi giornalieri degli ultimi dieci anni riferiti sia all’esercizio di Torrebelvicino sia a quello di Pievebelvicino (cfr. docc. 57-69 primo grado appellata), i registri degli acquisti (cfr. docc. 15-22 e 53 -56 primo grado appellata) e le fatture (cfr. docc. doc. 41-52 primo grado appellata). Con riferimento alla perdita di fatturato nell’anno 2019 rispetto all’anno 2018 determinata dal Tribunale sulla base del prospetto di cui al doc. 29 di primo grado deve osservarsi che da tale, riferito all’andamento degli incassi mensili della vendita di pane negli ultimi sei anni, il Tribunale ha esattamente ricavato un calo di vendite nel 2019 rispetto al 2018 di € 15.278,87 che, all’esito dell’istruttoria, ha ricollegato al cambio del fornitore del pane rilevando che dall’analisi delle vendite di altri prodotti di panetteria acquistati dall’appellata da altri fornitori non emerge un corrispondente calo di fatturato (cfr. docc. 30 e 31 primo grado appellata) anche tenendo conto delle risultanze del confronto tra il bilancio dell’appellata dell’anno 2018 (cfr. doc. 80 primo grado appellata) e il prospetto economico dell’anno 2019 (doc. 81 primo grado appellata). Nel prospetto di cui al doc. 34 dell’appellata sono stati riportati i prodotti acquistati esclusivamente da con l’indicazione dei prezzi di acquisto e dei prezzi di vendita al pubblico applicati, estrapolati dalle bolle di accompagnamento, dalle nelle dichiarazioni rese dai testi (cfr. teste , ud. 18.05.2021).
Sulla base di tali valutazioni, con riferimento alla perdita di incasso per la vendita di pane di € 15.278,87, pari ad € 1.273,24 mensili (cfr. doc. 29 primo grado appellata), il Tribunale ha ritenuto equa la quantificazione del danno di € 5.092,96 e per la mancata vendita di altri prodotti di € 5.004,56, per complessivi € 10.097,52 (cfr. doc. 34 primo grado appellata), respingendo la domanda di liquidazione dell’ulteriore importo forfettario di € 15.000,00 preteso per danni per perdita di avviamento, non adeguatamente provati. Il Tribunale ha tuttavia omesso di considerare che dalla somma complessivamente liquidata avrebbero dovuto essere detratti i costi di esercizio e che dalla somma così determinata avrebbero dovuto detrarsi le imposte versate;
considerata l’incidenza presuntiva dei costi, dalla somma di € 10.097,52 va dedotto circa il 30%, per un totale di € 7.068,27;
su detta somma vanno calcolate le imposte, pari al 23% in base all’aliquota minima all’epoca vigente, per un totale dovuto di complessivi € 5.442,57.
Sulla base dei criteri sopra indicati la compensazione del credito dell’appellante di € 5.074,02 andava quindi operata con la somma di € 5.442,57 riconosciuta come dovuta alle appellate, per un totale a credito delle stesse di € 368,55.
La sentenza va, pertanto, riformata sul punto.
Tenuto conto della revoca del decreto ingiuntivo e dell’esiguità del residuo credito delle appellate per le voci liquidate nella sentenza, le spese di entrambi i gradi devono essere interamente compensate tra le parti.
La Corte d’Appello di Venezia, in parziale accoglimento dell’appello e in riforma dei , così provvede:
1) accertata e dichiarata l’esistenza, per le causali esposte in narrativa, di un credito in linea capitale di € 5.074,02 in favore di nei confronti di e delle socie e di un controcredito di queste ultime nei confronti di di € 5.442,57, operata la parziale compensazione tra i due contrapposti crediti fino all’importo di € 5.074,02, condanna in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di e delle socie della somma di € 368,55, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data della domanda al saldo effettivo, nonché alla restituzione della somma di € 6.398,30 (comprensiva di capitale ed interessi) pagata nelle more del giudizio a causa della concessa provvisoria esecutività dell’impugnato decreto ingiuntivo, oltre ai successivi interessi legali dal dovuto al saldo; 2) compensa interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.
Così deciso in Venezia, 03 marzo 2025.
La Presidente Dott. NOME COGNOME Il Consigliere Estensore Dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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