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Sospensione della prescrizione, occultamento del debito

Sospensione della prescrizione, doloso occultamento, omessa compilazione, dichiarazione dei redditi, parte relativa ai proventi della propria attività.

Pubblicato il 04 January 2021 in Diritto Previdenziale, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA

sezione controversie di lavoro e  di previdenza ed assistenza composta dai magistrati:

Riunita in camera di consiglio, all’udienza del 19 novembre 2020, fissata ai sensi dell’art.83, comma 7, lettera h) del Decretolegge n. 18 del 17 marzo 2020 convertito con modificazioni in Legge n. 27 del 24 aprile  2020; lette le note illustrative, ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 279/2020 pubblicata il 22/12/2020

nella causa iscritta al n. /2019  R.G. sez. lav.

TRA

I.N.P.S. – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – in persona del Presidente p.t., in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.p.a., rappr.to e difeso dall’Avv., con cui elettivamente domicilia in, come da procura generale alle liti

APPELLANTE

E

YYY, rappr.to e difeso per procura in atti dall’Avv. del Foro di

APPELLATO

Conclusioni come in atti

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Ascoli Piceno in funzione di giudice del lavoro YYY  proponeva opposizione all’avviso di addebito notificatogli dall’Inps il 29 gennaio 2019 relativo all’omesso versamento di contributi alla Gestione Separata INPS per l’anno 2011 nella misura di complessivi euro 12.488,63; l’opponente deduceva l’insussistenza del vantato credito contributivo sia per l’ormai maturata prescrizione quinquennale, sia perché, a far data dall’1 gennaio 2010, risultava pre-iscritto alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (C.N.P.A.D.C.) e nell’anno 2011 aveva esercitato l’attività di praticante commercialista ed aveva provveduto al versamento del contributo obbligatorio alla predetta Cassa; l’INPS instava per il rigetto della domanda.

L’adito Giudice con sentenza del 15 ottobre 2019, in accoglimento dell’eccezione sollevata dall’opponente, dichiarava non dovute le somme vantate dall’Inps al titolo in questione per intervenuta prescrizione del credito e compensava le spese di lite fra le parti.

Con ricorso depositato il 18 febbraio 2020 l’Inps ha impugnato la predetta sentenza, deducendo l’errore del primo giudice nell’interpretare la normativa di riferimento in tema di prescrizione estintiva, ed in particolare nell’individuare come dies a quo di decorrenza del relativo termine la data di scadenza fissata per il versamento dei contributi a carico degli Iscritti alla gestione Separata Inps, coincidente con il termine previsto per il saldo delle imposte dovute per l’anno di riferimento (18 giugno 2012, prorogato con DPCM del 6 giugno 2012 sino al 9 luglio 2012), invece che la data di presentazione della dichiarazione dei redditi (28 settembre 2012), unico momento a partire dal quale poteva considerarsi sorta la giuridica possibilità di  conoscenza dei redditi da lavoro autonomo percepiti dal dichiarante.

Ha chiesto, pertanto, in riforma della sentenza impugnata, rigettarsi la domanda avanzata dal ricorrente in primo grado.

L’appellato ha insistito per il rigetto del gravame.

All’esito dell’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello è fondato e va accolto per i motivi di seguito esposti.

Emerge dagli atti di causa e dal complessivo tenore delle difese dell’originario opponente la circostanza incontestata che costui, in qualità di preiscritto alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili dal gennaio 2010, per l’anno 2011 ha effettuato alla predetta Cassa il versamento del contributo obbligatorio ex art. 20 bis del Regolamento di disciplina, senza, tuttavia, mai iscriversi successivamente alla Cassa stessa.

Invero, ai sensi del chiaro disposto del sesto comma dell’invocato art. 20 bis del Regolamento di disciplina del regime previdenziale della Cassa, “…La contribuzione versata negli anni di preiscrizione concorre esclusivamente alla formazione di annualità di iscrizione utili a tutti gli effetti ai fini previdenziali e confluisce nel montante individuale di cui all’art. 10, c. 1, del presente Regolamento – con effetto dalla data di ciascun versamento e con rivalutazione ai sensi dell’art. 10, c. 2 del presente Regolamento – soltanto nel caso in cui, entro il secondo anno successivo al termine della pre-iscrizione, il soggetto presenti domanda di iscrizione ordinaria alla Cassa ai sensi dell’art. 22 L. 21/86.”

Il primo comma dell’art. 22 l.n.21/86 a sua volta impone come obbligatoria l’iscrizione alla Cassa dei dottori commercialisti iscritti all’albo professionale che esercitano la libera professione con carattere di continuità, mentre  definisce facoltativa l’iscrizione per i dottori commercialisti iscritti a forme di previdenza obbligatoria o beneficiari di altra pensione, in conseguenza di diversa attività da loro svolta, anche precedentemente alla iscrizione all’albo professionale.

Si deve, pertanto, ritenere che l’espressione “iscrizione ordinaria alla cassa”, di cui al sesto comma del citato art.20 bis del Regolamento, faccia riferimento all’iscrizione contemplata come obbligatoria, perché preordinata all’esercizio in via continuativa della libera professione per la quale è, altresì, richiesta l’iscrizione all’Albo.

Alla stregua di quanto innanzi chiarito, è esonerato dall’iscrizione alla Gestione Separata INPS esclusivamente il tirocinante che, una volta conseguita l’abilitazione all’esercizio della Professione, si iscriva all’Albo entro un determinato termine dall’avvenuta preiscrizione, e nel contempo perfezioni l’iscrizione ordinaria alla Cassa professionale; ciò in quanto l’istituto della  preiscrizione alla Cassa dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili è stato introdotto proprio al fine di consentire ai tirocinanti, durante il periodo di pratica obbligatoria preordinato al conseguimento dell’abilitazione professionale, di anticipare, rispetto al momento di iscrizione all’Albo, l’inizio dei versamenti contributivi presso la Cassa che verosimilmente diverrà la Gestione previdenziale di appartenenza, una volta ultimato il percorso di formazione ed abilitazione professionale, in tal modo evitandone la dispersione presso altre gestioni previdenziali.

In altri termini, attraverso l’istituto della preiscrizione i tirocinanti Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili iniziano a maturare l’anzianità contributiva e ad accumulare il montante contributivo sul quale verrà calcolata la futura pensione, ma l’esonero dall’iscrizione presso altre forme di gestione previdenziale sussiste alla sola condizione che divenga effettivo e si attualizzi, entro un preciso lasso temporale, l’esercizio –  solo ipotizzabile come futuro ed eventuale durante il praticantato – dell’attività professionale richiedente l’iscrizione all’Albo professionale e l’obbligatoria iscrizione alla Cassa, ai sensi del primo comma della legge n. 21/86.

Tanto chiarito, difettano al caso di specie i presupposti di esonero dall’iscrizione alla Gestione separata Inps, così che legittimamente l’Istituto odierno appellante pretende i versamenti contributivi di cui all’avviso di addebito notificato, in quanto i redditi prodotti nell’anno 2011 dall’originario opponente non sembrano, alla stregua dei soli elementi acquisiti agli atti, riconducibili ad attività professionale per la quale sia stata versata altra forma di contribuzione utile a tutti gli effetti ai fini previdenziali e che confluisca nel montante individuale di cui all’art. 10, c. 1, del citato Regolamento.

In proposito, va detto che la L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, ha previsto, per quanto qui interessa, che “sono tenuti all’iscrizione presso una apposita Gestione separata, presso l’INPS, e finalizzata all’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorchè non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, e successive modificazioni ed integrazioni”.

Pertanto, ai fini della sussistenza dell’obbligo di iscrizione (e contribuzione) alla Gestione separata I.N.P.S. la L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, opera un riferimento eteronomo e supportato esclusivamente dalle disposizioni di carattere fiscale ivi richiamate, di talchè l’obbligazione contributiva dell’iscritto è basata sostanzialmente sulla mera percezione di un reddito e può essere o unica (in quanto corrispondente all’unica attività svolta), oppure complementare a quella apprestata dall’altra gestione a cui l’iscritto è assicurato in relazione all’ulteriore attività lavorativa espletata (così Cass. S.U. n. 3240/ 2010).

Ne è conferma il D.M. n. 281 del 1996, art. 6 che, nel recare la prima disciplina delle modalità e dei termini per il versamento dei contributi dovuti ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, ha espressamente chiarito che “non sono soggetti alla contribuzione di cui al presente decreto i redditi già assoggettati ad altro titolo a contribuzione previdenziale obbligatoria”.

E’ in questo quadro generale che va esaminata la disposizione di cui al D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12, (conv. con L. n. 111 del 2011), il quale, nell’interpretare la L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26 cit., ha previsto che “i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo tenuti all’iscrizione presso l’apposita gestione separata INPS sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti e ordinamenti”, stabilendo altresì che “resta ferma la disposizione di cui al D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103, art. 3, comma 1, lett. d) ” (ossia la possibilità che tali enti possano deliberare l’inclusione della categoria di cui sono esponenziali nell’ambito della gestione separata): trattandosi di una disposizione recante interpretazione di un’altra disposizione vigente, essa è infatti sprovvista di una propria autonomia precettiva ed è volta piuttosto a costruire un rapporto tra le proprie previsioni e quelle proprie della disposizione interpretata, tale che – come accade in genere per le disposizioni aventi carattere interpretativo – le une e le altre si saldino, dando luogo ad un precetto normativo unitario (così Corte cost. n. 397 del 1994).

Tenuto conto del rinvio operato dal D.L. n. 98 del 2011, cit., art. 18, comma 12, agli enti previdenziali di cui al precedente comma 11 (vale a dire agli enti previdenziali gestori delle forme di previdenza dei lavoratori autonomi e professionisti di cui ai D.Lgs. n. 509 del 1994 e D.Lgs. n. 103 del 1996) tale precetto unitario, per quanto qui rileva, può essere agevolmente ricostruito nel senso che l’iscrizione alla gestione separata è obbligatoria per i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché  non esclusiva, attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 49 (ora 53), comma 1, l’esercizio della quale non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali ovvero, se subordinato all’iscrizione ad un albo, non sia soggetto ad un versamento contributivo agli enti previdenziali di riferimento che sia suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata posizione previdenziale.

“…Una diversa interpretazione, infatti, finirebbe per tradire la finalità universalistica dell’istituzione della gestione separata e si porrebbe in contrasto con la sua tipica modalità di funzionamento, che come si è detto – collega l’obbligazione contributiva alla mera percezione di un reddito e mette capo ad una posizione previdenziale che può essere unica oppure complementare a seconda l’iscritto svolga o meno un’ulteriore attività lavorativa (cfr. Cass. S.U. n. 3240 del 2010, già cit.)….”  (così, in motivazione,  Cass. Civ., sez. lav. n.  30344 del 2017).

Così ricostruito il combinato disposto della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, e del D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12, giova ricordare che la Suprema Corte si è di recente pronunciata  anche per la categoria dei Dottori Commercialisti, affermando il principio  secondo cui costoro, allorquando, per essere iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie ovvero per non aver raggiunto la soglia reddituale che rende obbligatoria l’iscrizione alla Cassa del corrispondente Ordine Professionale, versino a questa “…..esclusivamente un contributo integrativo di carattere solidaristico, in quanto iscritti all’albo professionale, cui non segue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio, sono tenuti comunque ad iscriversi alla gestione separata presso l’INPS, in virtù del principio di universalizzazione della copertura assicurativa, cui è funzionale la disposizione di cui all’art. 2, comma 26, della l. n. 335 del 1995, secondo cui l’unico versamento contributivo rilevante ai fini dell’esclusione di detto obbligo di iscrizione è quello suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata prestazione previdenziale. (vedi Cass., Sez. Lav., Sentenza n. 32508 del 14/12/2018).

Di conseguenza, la circostanza che l’odierno appellato non abbia dimostrato di essere tenuto al versamento del “contributo soggettivo”, alla Cassa, né abbia provato di avere versato, per i redditi in contestazione, versamenti contributivi ad altre gestioni previdenziali, per ciò stesso non lo esime dall’iscrizione alla gestione Separata Inps rispetto allo svolgimento di attività lavorativa nell’anno in questione, la quale in caso contrario non sarebbe soggetta ad alcuna contribuzione previdenziale.

Infine, nessuna prescrizione estintiva  è maturata in danno dell’Inps rispetto al credito di cui si discute, considerato che l’Istituto appellante è stato messo nella condizione di conoscere  il lavoro autonomo svolto dall’odierno appellato nell’anno 2011 soltanto con la dichiarazione dei redditi dallo stesso presentata il 28 settembre 2012, così che il decorso del termine prescrizionale quinquennale è stato utilmente interrotto rispettivamente con la comunicazione di avvenuta iscrizione d’ufficio alla Gestione del 4 agosto 2017, ricevuta il 30 agosto 2017, con cui l’Inps richiede il pagamento dei contributi al titolo in questione, per l’anno in discorso (cfr. produzione Inps di primo grado).

Non si adatta al caso di specie l’affermazione secondo cui “…pur sorgendo il credito sulla base della produzione del reddito, la decorrenza del termine di prescrizione dipende dall’ulteriore momento in cui la corrispondente contribuzione è dovuta e quindi dal momento in cui scadono i termini di pagamento di essa, in armonia del resto con il principio generale in ambito di assicurazioni obbligatorie secondo cui la prescrizione corre appunto dal momento in cui «in cui i singoli contributi dovevano essere versati» (art. 55 r.d.l. 1827/1935),” (cfr. Cass.n.27950/2018).

Ed infatti, il generale principio normativo, che aggancia il dies a quo di decorrenza della prescrizione alla scadenza del termine per effettuare il versamento contributivo, muove dall’implicito, nondimeno imprescindibile, presupposto che in capo al soggetto chiamato ad effettuare il versamento esista un preciso obbligo in tal senso; la fonte di tale obbligo non può che essere il c.d. “rapporto contributivo”, il quale a sua volta sorge con l’iscrizione del soggetto all’ente previdenziale.

E’ evidente che soltanto dal momento della presentazione della dichiarazione dei redditi l’Istituto è stato posto in condizione di conoscere la circostanza che il dichiarante fosse percettore di un reddito da lavoro autonomo per il quale non effettuava versamenti contributivi ad altre gestioni; prima di tale momento, in applicazione del disposto dell’art.  2935 cod. civ., l’I.N.P.S. non aveva alcuna possibilità di far valere il credito, perché, non essendo a conoscenza dello svolgimento, da parte del professionista, di un’attività lavorativa autonoma non sottoposta ad alcuna contribuzione, non aveva elementi per iscriverlo d’ufficio alla gestione separata, dunque non poteva pretendere da quest’ultimo alcun versamento. Tali considerazioni trovano autorevole conforto anche nella Giurisprudenza di Legittimità (cfr. sul punto Cass. Ord.n.7836/2016).

In altri termini, la regola generale sancita a suo tempo dall’art. 55 r.d.l.1827/1935 e poi richiamata in analoghe disposizioni di legge successive, presuppone che il debitore sia assicurato, ossia iscritto ad una determinata gestione previdenziale, o quantomeno che vengano adeguatamente esteriorizzate le circostanze di fatto per le quali egli debba essere assicurato presso una determinata gestione previdenziale, per tale motivo tenuto ad effettuare periodicamente i versamenti contributivi ad essa afferenti, e che non vi provveda alla scadenza del termine all’uopo fissato. E’ evidente, in tal caso, che l’inerzia dell’ente previdenziale nell’esigere il credito non troverebbe alcuna giustificazione.

Viceversa, allorquando, come nella specie, il soggetto esercente una determinata attività lavorativa di carattere autonomo non abbia provveduto ad iscriversi alla corrispondente gestione dell’ente previdenziale, dunque non abbia consentito il sorgere del rapporto previdenziale, l’ente non ha titolo alcuno per esigere il versamento contributivo; esso può provvedere d’ufficio all’iscrizione del soggetto nella gestione di competenza allorché venga a conoscenza dell’attività lavorativa dal medesimo svolta; né si può ragionevolmente pretendere che la conoscenza delle attività di lavoro autonomo, esercitate dai privati in forma non imprenditoriale, venga acquisita attraverso fonti informative diverse dalla dichiarazione dei redditi.

D’altro canto, in seno alla motivazione della sentenza della Corte di Cassazione n.13463/2017, cui si sono uniformate le successive pronunce dei giudici di legittimità richiamate dal primo giudice (Cass.Sent.n.27950 del 31.10.2018; Cass. Ord.n. 4329 del 14.02.2019),  è chiaro il riferimento all’ipotesi – affatto differente da quella all’odierno vaglio – in cui l’obbligazione tributaria e l’obbligazione contributiva, la cui genesi ivi viene immediatamente ricollegata al fatto economico rilevante della produzione di un certo reddito, sia stata già in parte eseguita dal contribuente, nella minore misura in cui quest’ultimo riteneva di essere tenuto, e ciò spiega la valenza meramente ricognitiva attribuita dal Supremo Collegio all’atto amministrativo, ossia all’accertamento tributario “di maggior reddito”, definito per l’appunto procedimento amministrativo con cui gli uffici competenti intervengono per verificare la correttezza dell’importo pagato. E’, dunque, evidente che l’enunciato della Suprema Corte riposa sul presupposto della preesistenza di un rapporto tributario o contributivo, in forza del quale il contribuente sa di essere tenuto – in forza di preesistente iscrizione – ad eseguire i versamenti ad un determinato titolo e li effettua, tuttavia in misura inferiore al dovuto, così che l’accertamento, ossia l’atto ammnistrativo con valore meramente ricognitivo, non investe l’an della specifica obbligazione tributaria o contributiva, bensì esclusivamente il quantum.

Insomma, il momento genetico dell’obbligazione contributiva da “maggior dovuto” è diverso perché inerisce esclusivamente all’entità dei versamenti da effettuare, non all’esistenza in sé dell’obbligo di effettuare tali versamenti, e ciò spiega la natura meramente ricognitiva dell’accertamento amministrativo, rispetto al fatto generatore dell’obbligo, costituito dal maggior reddito prodotto, rispetto a quello denunciato.

Del resto, non è un caso che l’art. 1 l.n.233/1990 – ossia la norma cui fa riferimento la Corte di  Cassazione nella sentenza n. 13463/2017, allorché aggancia la genesi dell’obbligazione contributiva sottoposta al suo vaglio all’avvenuta produzione di un determinato reddito da parte lavoratore autonomo – sotto la rubrica “Finanziamento delle gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali” , faccia univoco riferimento, al primo comma, all’ammontare del “…contributo annuo dovuto per i soggetti iscritti alle gestioni dei contributi  e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali, titolari, coadiuvanti e coadiutori….”.

Al contrario, ove il soggetto, percettore di reddito in base all’espletamento di un certo tipo di attività lavorativa, ometta di denunciare l’attività dal cui svolgimento detto reddito proviene, e di conseguenza non provveda all’iscrizione presso la Gestione Previdenziale di competenza, egli inibisce in tal modo il sorgere del rapporto contributivo con l’ente impositore, impedendo, altresì, il sorgere del credito in capo a quest’ultimo.

Non è, infatti, seriamente discutibile il carattere costitutivo, non certo meramente dichiarativo, del provvedimento in forza del quale un soggetto acquista la qualità di “iscritto” ad una particolare Gestione Previdenziale, e con essa i diritti e gli obblighi inerenti a tale status; provvedimento che, quindi, determina, esso solo, l’instaurarsi della nuova relazione giuridica qualificabile come “rapporto contributivo”, nel cui esclusivo ambito l’iscritto acquista la titolarità della posizione assicurativa e previdenziale, e l’ente previdenziale acquista il correlativo diritto di credito avente ad oggetto i versamenti contributivi.

Non vale a contrastare il suesposto ordine di argomenti la considerazione circa l’efficacia retroattiva che acquista l’iscrizione medesima, in quanto essa è voluta dal legislatore a tutela dell’iscritto ed allo scopo di creare in suo favore quella continuità di versamenti contributivi necessaria a garantirgli la regolare posizione previdenziale ed assicurativa.  Siffatta fictio iuris non può tradursi in una fictio facti, ossia non può neutralizzare la realtà del fatto storico-materiale rappresentato dall’adozione, non prima di una certa data, del provvedimento di iscrizione d’ufficio, idoneo al perfezionarsi della fattispecie complessa oggetto di causa, ed esso solo implicante la giuridica possibilità per l’Inps di vantare la pretesa creditoria.

Pertanto, opera nel caso di specie il generale principio contra non valentem agere non currit praescriptio.

Anche a voler disattendere i surriferiti argomenti, secondo il più recente orientamento della Giurisprudenza di legittimità l’odierna fattispecie integra gli estremi dell’evasione contributiva e non della mera omissione, proprio in virtù della circostanza, evincibile dagli atti, che l’interessato non ha denunciato all’Inps la percezione di un reddito non altrimenti assoggettato a contribuzione, in tal modo sottraendosi all’obbligo di iscrizione alla gestione separata; ne discende che l’intenzione di sottrarsi alla contribuzione è insita nella mancata richiesta di iscrizione alla gestione separata, laddove la mera omissione avrebbe comportato la richiesta di iscrizione, quindi la regolare instaurazione del rapporto previdenziale, pur se seguita dal mancato versamento del contributo alla scadenza prevista.

Ed infatti, al riguardo la Suprema Corte si è espressa affermando che “In tema di sospensione della prescrizione, costituisce doloso occultamento del debito contributivo verso l’ente previdenziale, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2941, n. 8 c.c., la condotta del professionista che ometta di compilare la dichiarazione dei redditi nella parte relativa ai proventi della propria attività, utile al calcolo dei contributi per la gestione separata (quadro RR del modello)”. (per tutte, Cass., Sez. Lav., Ord. n. 6677 del 7 marzo 2019)

Ne discenderebbe, in ogni caso, in virtù della sospensione, il mancato decorso del termine dell’eccepita prescrizione estintiva alla data della notifica dell’avviso bonario.

Peraltro, la regola della sospensione della prescrizione codificata all’art. 2941 c.c. risulta essere specifica applicazione –  a determinate ipotesi, ivi tassativamente individuate, in seno alle quali rileva il particolare atteggiarsi dei rapporti tra creditore e debitore, anche sotto il profilo, affatto peculiare, dell’elemento psichico che governa la relazione – del medesimo principio “contra non valentem agere non currit praescriptio” sancito in termini generali dal primo comma dell’art.2935 c.c., poiché l’esame delle citate disposizioni di legge mette in luce l’identica ratio ad esse sottesa, finalizzata a tutelare la posizione di quei creditori che, per espressa volontà della legge o per altre ragioni, non possano azionare il proprio diritto nei confronti dei rispettivi debitori.

All’accertamento della legittimità del recupero a contribuzione consegue l’accoglimento dell’appello, con integrale riforma della sentenza appellata.

In virtù degli arresti giurisprudenziali innanzi richiamati (cfr. Cass. Ord. n. 6677/2019), la questione all’odierno vaglio non presenta più carattere di novità, così che nulla osta al governo delle spese di lite, liquidate in dispositivo, secondo il principio della soccombenza

P.Q.M.

La Corte così provvede: 1) Accoglie l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, rigetta l’opposizione proposta in primo grado da YYY; 2) condanna l’appellato alla rifusione delle spese del doppio grado, che liquida in favore dell’Inps in complessivi euro 1900,00 per il primo grado ed in complessivi euro 2.100,00 per i presente grado, oltre rimborso forfetario nella misura del 15% ed oltre Iva e cpa come per legge

                          Ancona, 19 novembre 2020

     Il Consigliere est.                                                                                       Il Presidente

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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