REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE VI CIVILE
Il Tribunale di Milano, VI sezione civile, in composizione monocratica, in persona della dott.ssa, ha emesso la seguente
SENTENZA n. 5688/2023 pubblicata il 07/07/2023
nella causa civile iscritta al N. 62360/2019 R.G. promossa da:
XXX & C., (C.F. 04632100964), corrente in Reggio Calabria (RC), in persona del legale rappresentante Sig. ***, rappresentata e difesa, giusto mandato alle liti in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore, dall’Avv. Alfonso Quintarelli, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Cristina Reina in Milano, via Santa Sofia n. 22.
ATTORE CONTRO
BANCA YYY S.p.A., C.F. e P. IVA
CONVENUTA
OGGETTO: contratti bancari
I procuratori delle parti hanno assunto le seguenti:
CONCLUSIONI
Per parte attrice XXX & C.:
“Piaccia all’Ill.mo Tribunale:
A) – In via principale, nel merito:
• Accertare la inesistenza e/o la nullità, totale o parziale, del contratto di conto corrente oggetto di causa per i motivi in atti e dunque l’invalidità della determinazione ed applicazione degli interessi debitori, delle commissioni di massimo scoperto e delle commissioni di affidamento e di istruttoria veloce, delle spese, dei costi, competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese.
• Accertare che sul conto corrente oggetto di causa sono stati applicati interessi non dovuti.
• Accertare, in ogni caso, come l’istituto avverso abbia agito in dispregio della L. 108/96, applicando interessi usurari al rapporto di conto corrente n. 18400/4304.
• Accertare l’illegittima applicazione dell’anatocismo degli interessi a far data dall’1.01.2014 e sino alla estinzione del rapporto.
• Accertare, in ragione dell’elaborato peritale allegato e delle argomentazioni sviluppate in narrativa, che la YYY S.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, è debitrice nei confronti della XXX & C. (C.F./P. IVA), corrente in, in persona del legale rappresentante pro tempore Sig. ***, della somma di € 202.818,14 o della maggiore o minor somma che dovesse emergere in corso di causa alla data dell’espletanda CTU o altra data ritenuta di giustizia.
• Per l’effetto, rideterminare l’esatto saldo del conto corrente n. 18400/4304 nonché l’esatto rapporto di dare/avere tra le parti, in ragione delle risultanze peritali allegate o comunque della maggiore o minor somma che dovesse emergere in corso di causa.
• Condannare, in ragione dell’elaborato peritale allegato e delle argomentazioni sviluppate in narrativa, la YYY S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, alla restituzione in favore dell’attrice della somma di € 202.818,14 o della maggiore o minore somma che dovesse emergere alla data del deposito dell’espletanda CTU o altra data ritenuta di giustizia, il tutto in ogni caso oltre interessi attivi e rivalutazione monetaria.
B) – In via istruttoria
• Ammettere Consulenza Tecnica d’Ufficio al fine di determinare il legittimo ed effettivo saldo del conto, dopo l’epurazione di tutte le poste illegittime.
C) Rigettare la domanda riconvenzionale e l’istanza ex articolo 186 ter c.p.c. avanzate da YYY S.p.A. In ogni caso, con vittoria di compensi, spese anche generali del presente 14 giudizio, oltre accessori di legge”.
Per parte convenuta Banca YYY S.p.A.:
“Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis,
1) in via pregiudiziale, rilevare la nullità dell’atto di citazione ex art. 164, comma 4, c.p.c. in quanto carente del requisito di cui all’art. 163, comma 4, c.p.c. nonché generico, inidoneo a raggiungere il proprio scopo e ostativo della possibilità di elaborare una puntuale linea difensiva;
2) in via preliminare, accertare e dichiarare l’intervenuta prescrizione del diritto alla ripetizione delle rimesse solutorie effettuate da parte attrice e, per l’effetto, respingere la domanda attorea di ripetizione;
3) sempre in via preliminare, emettere ordinanza di ingiunzione ex art. 186 ter c.p.c. a carico della società XXX & C., in persona del legale rappresentante pro tempore Sig. ***, P.IVA / C.F., corrente in, nonché in via solidale, a carico del socio accomandatario Sig. ***, C.F., in favore di Banca YYY S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in per l’importo di € 204.942,67 quale scoperto di c/c n. 18400/4304, oltre interessi convenzionali e/o in subordine legali maturati e maturando dal 07.11.2020 al saldo, come risulta dall’estratto conto certificato ai sensi dell’art. 50 T.U.B.
4) in via principale, nel merito, respingere integralmente le domande formulate da parte attrice, in quanto infondate in fatto ed in diritto per le ragioni esposte in narrativa e, per l’effetto, accertare e dichiarare che nulla di quanto ex adverso richiesto è dovuto da YYY S.p.A. a parte attrice;
5) in via riconvenzionale, condannare la società XXX & C., in persona del legale rappresentante pro tempore Sig. ***, P.IVA / C.F., nonché in via solidale, a carico del socio accomandatario Sig. ***, C.F. al pagamento di € 204.942,67 quale scoperto di c/c n. 18400/4304, oltre interessi convenzionali e/o in subordine legali maturati e maturando dal 07.11.2020 al saldo, come risulta dall’estratto conto certificato ai sensi dell’art. 50 T.U.B.
6) in ogni caso, con vittoria di spese, diritti e onorari di causa.
7) in via istruttoria, rigettare la richiesta di CTU per le motivazioni esposte in narrativa”.
ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Premessa
Con atto di citazione ritualmente notificato in data 17.12.2019, XXX & C. ha convenuto in giudizio Banca YYY S.p.A. avanti il Tribunale di Milano, al fine di ottenere una pronuncia di accertamento della nullità, totale o parziale, del contratto di conto corrente n. 18400/4304 acceso nel 2004 presso la filiale di Milano Ag. 4, per illegittima applicazione – da parte della banca – di interessi debitori, commissioni di massimo scoperto, spese, costi, competenze e di interessi usurari e conseguentemente una pronuncia di rideterminazione del saldo del conto corrente e di condanna della convenuta alla restituzione a favore dell’attrice dell’importo di € 202.818,14 o della diversa somma maggiore o minore che dovesse risultare all’esito dell’espletamento della CTU oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Parte attrice a fondamento delle proprie domande ha dedotto:
➢ di avere sottoposto l’intera documentazione relativa al rapporto di conto corrente e agli affidamenti accordati all’esame di un perito contabile, il quale ha preso in esame gli estratti conto dal 4.01.2005 al 31.03.2014 comprensiva di scalare dal 4.01.2005 al 31.12.2013;
➢ che il perito ha rilevato il superamento del tasso soglia in alcuni e ben determinati trimestri (dal 2005 al 2011) per cui non sono dovuti interessi, spese e commissioni sul c.c. in quanto usurario;
➢ che il perito ha evidenziato che nel corso del rapporto di conto corrente intercorso fra il 4.1.2005 sino al 31.12.2013 la YYY ha addebitato alla Fingedi S.a.s. competenze pari ad € 202.818,14 gravate da tassi usurari che devono essere restituiti alla società oltre all’applicazione illegittima della CMS.
Tanto premesso in fatto, la società attrice in diritto ha richiamato l’art. 644 c.p. e l’art. 2 comma 4 della legge 108/1996 per fondare la propria pretesa restitutoria.
Si è costituita la Banca YYY S.p.a., la quale ha eccepito, preliminarmente in rito, la nullità dell’atto di citazione per genericità ed indeterminatezza del petitum per violazione dell’art. 163, comma 4, n. 4 e 5 c.p.c. e, sempre in via preliminare, ha sollevato eccezione di prescrizione decennale del diritto alla ripetizione di somme relative ad operazioni di addebito interessi, commissioni o spese anteriori all’anno 2009 (data di notifica dell’istanza di mediazione); con particolare riferimento a tale contestazione, l’istituto ha precisato che il conto corrente ordinario n. 18400/4304 non era assistito da alcuna apertura di credito, da ciò derivando la natura solutoria di tutte le rimesse eseguite su detto rapporto, con conseguente prescrizione di ogni addebito contabilizzato nel periodo antecedente e, dunque, di ogni diritto ed azione di ricalcolo/rettifica del saldo relativo al detto periodo, restando detti addebiti intangibili; nel merito, ha dedotto l’infondatezza della doglianza di usura da cui risulterebbe affetto il contratto di conto corrente e della doglianza di illegittimità della commissione di massimo scoperto ritenendo, peraltro, che gli estratti conto regolarmente ricevuti non erano stati contestati dal correntista con conseguente approvazione del saldo e preclusione di ogni contestazione. In via riconvenzionale, la convenuta ha chiesto la condanna della società attrice in solido con il sig. ***, socio accomandatario, al pagamento della somma di € 204.942,67 quale scoperto del c/c. n. 18400/4304 oltre interessi convenzionali maturati dal 7.11.2020 al saldo come risulta dall’estratto conto certificato ex art. 50 TUB, concludendo per il rigetto delle domande attoree.
Assegnati i termini istruttori, la causa è stata istruita con produzioni documentali e con una consulenza tecnica d’ufficio, volta a rideterminare il rapporto dare/avere tra Fingedi S.A.S. e Banca YYY S.p.a.
All’udienza del 28.02.2023, la causa è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti, previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.
Tanto premesso, si osserva quanto segue.
2. Eccezione di nullità dell’atto di citazione
In via preliminare è opportuno soffermarsi sull’eccepita nullità dell’atto introduttivo sollevata da parte convenuta. Invero, nel costituirsi in giudizio la banca ha dedotto la nullità dell’atto di citazione siccome carente delle prescrizioni imposte a pena di nullità dall’art. 163, comma 4, n. 4 e 5 c.p.c., assumendo l’incompletezza della domanda attorea e la pretestuosità delle pretese ex adverso avanzate.
Di contro, nella prima memoria istruttoria la società attrice ha contestato che l’art. 164 c.p.c. ricollega la sanzione della nullità dell’atto di citazione solo alla assoluta indeterminatezza o omessa indicazione della cosa oggetto della domanda, ovvero alla mancata esposizione dei fatti costituenti le ragioni della medesima domanda. Altresì, ha osservato che, ai fini della valida introduzione del giudizio, è sufficiente che l’atto di citazione enunci un nucleo di fatti su cui l’attore basa la sua pretesa, ed in relazione al quale il convenuto deve esser posto in grado di approntare la propria difesa ed il giudice di individuare i temi del processo.
L’assunto di parte attrice è fondato. Invero, si ritiene che l’atto introduttivo del presente giudizio esponga compiutamente le pretese in concreto azionate (nullità del contratto conto corrente, invalidità delle condizioni convenute ed applicate) e le ragioni invocate dall’attrice a fondamento delle stesse (usurarietà dei tassi debitori, illegittimità delle commissioni di massimo scoperto, spese, competenze). Discende che non può accogliersi l’eccezione di nullità dell’atto introduttivo sollevata dall’istituto di credito, in quanto da un esame complessivo della domanda giudiziale è possibile individuare sia il “petitum” che la “causa petendi” delle pretese azionate nei confronti della convenuta, del pari non potendo condividersi l’assunto di parte convenuta secondo cui l’atto introduttivo attoreo sarebbe ostativo della possibilità di elaborare una puntuale linea difensiva.
3. Rapporto contrattuale dedotto in giudizio e onere della prova
L’attore agisce per la ripetizione dell’indebito facendo valere una serie di invalidità del rapporto contrattuale di conto corrente n. 18400/4304 acceso in data 17.12.2004 ed estinto in data 26.9.2016 con saldo “zero” che sin dall’origine risulta essere affidato, come emerge dalla documentazione depositata sia da parte attrice ( doc. n. 2 fascicolo attoreo) che da parte convenuta (doc. 4 fascicolo convenuta) e rilevato anche dal CTU.
Il correntista che agisce per la ripetizione dell’indebito, ha l’onere di provare i fatti costituivi della pretesa dedotta in giudizio, vale a dire l’insussistenza della causa debendi.
La giurisprudenza della Suprema Corte è consolidata nel ritenere che nei rapporti bancari in conto corrente, laddove si debba escludere la validità, per mancanza dei requisiti di legge, di alcune clausole contrattuali, ove sia il correntista ad agire per l’accertamento giudiziale del saldo o per la ripetizione delle somme indebitamente riscosse dall’istituto di credito, è tale soggetto a doversi far carico della produzione degli estratti conto (tra le altre, Cass. 13 ottobre 2016, n. 20693; Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948; Cass., 28 novembre 2018 n. 30822): con tale produzione, difatti, il correntista assolve all’onere di provare sia gli avvenuti pagamenti che la mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi. Pertanto, nel denunciare la nullità delle varie clausole contrattuali (interessi, usura, valute, anatocismo), sul correntista incorre nell’onere di allegare dettagliatamente le clausole contrattuali di cui deduce la nullità e di depositare il contratto di conto corrente, al fine di dimostrare che tali clausole sono effettivamente nulle (cfr. Cass. n. 22872/2010; Cass. n. 5896/2006; Cass. n. 17146/2003; Cass. n. 11029/2000).
Spetta quindi all’attore correntista produrre sia il contratto di conto corrente, sia gli estratti conto integrali inerenti al rapporto in contestazione.
Tale regime probatorio deve ritenersi applicabile non soltanto alle azioni di ripetizione di indebito promosse dal cliente (cfr. ex multis, Css 7501/2012), ma anche alle azioni di accertamento negativo Cass 9201/2015).
Solo la produzione del contratto di conto corrente, infatti, consente di ravvisare l’assenza di pattuizioni scritte che la legge richiede ad substantiam (come nel caso di interessi ultralegali), nonché di valutare se le commissioni indicate negli estratti conto corrispondano a quelle pattuite nel contratto stipulato e se le commissioni di massimo scoperto pattuite siano determinate o determinabili ai sensi dell’art. 1346 c.c..
Gli estratti conto, invece, quali documenti contenenti la dettagliata indicazione dei movimenti del rapporto, sono indispensabili per la verifica delle poste che sono state addebitate e accreditate in conto e quindi della determinazione del saldo finale.
Ebbene, nel caso di specie, la società attrice ha prodotto in giudizio il contratto del conto corrente il contratto di conto corrente del 17.12.2004 con le condizioni economiche e gli estratti c/c dal 4/01/2005 al 31/03/2014, mentre parte convenuta ha prodotto gli estratti conto dal 31.3.2005 al 26.9.2016 data di chiusura del conto corrente. Al riguardo va osservato che il debito rappresentato da interessi, commissioni e spese, se non si fonda su clausole validamente pattuite nel rispetto degli obblighi di cui sopra, sarà inesistente, sicché indebito sarà il relativo pagamento di cui gli estratti conto danno prova. L’onere della prova dell’esistenza di un rapporto di apertura di credito (che, peraltro, era a forma libera prima dell’entrata in vigore dell’art. 3 della L. n. 154 del 1992, come nel caso di specie), compete quindi al cliente, anche se il giudice è tenuto a “valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito purché ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perché la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto” (Cass., 6 dicembre 2019 n. 31927). In questa prospettiva assumono rilevanza anche diversi indici fattuali, idonei a provare, sia pure indirettamente, l’esistenza di un contratto di apertura di credito, quali, ad esempio, l’indicazione negli estratti conto dell’applicazione di diversi tassi, intra fido e ultra-fido.
Con riferimento, quindi, alle contestazioni sollevate dalla banca in merito alla insussistenza di aperture di credito di cui parte attrice non avrebbe fornito dimostrazione, va osservato che sin dall’atto di citazione parte attrice ha allegato che il c.c. n. 18400/4304 era stato assistito da un affidamento e nella memoria depositata ai sensi dell’art. 183 VI comma n. 1 c.p.c. afferma: “sin dalla prima movimentazione del 4.01.2005 è applicata al rapporto la commissione del 0,375% per “SCOPERTO TRANSITORIO PREVENTIVAMENTE AUTORIZZATO”, successivamente ripetuto tralaticiamente sino al 4.07.2006, quando si trasforma in “UTILIZZO FACILITAZIONI” e, quindi, dal gennaio 2009 “diritti di istruttoria pratica affidamento…Successivamente, sono documentati limiti dell’affidamento, dapprima fino a € 100.000,00, poi fino a € 150.000,00.”. Il Ctu nel verificare le operazioni contabili ha utilizzato gli affidamenti desunti dagli estratti conto ( vedi pag. 15 elaborato del CTU).
Tanto premesso, le domande proposte dall’attore possono essere accolte nei limiti di seguito esposti.
4. Prescrizione
L’eccezione proposta dalla convenuta di prescrizione delle pretese attoree per le operazioni avvenute sul conto corrente in data anteriore al 10.7.2009, decennio antecedente all’atto interruttivo rappresentato dalla comunicazione dell’istanza di mediazione, è ammissibile e fondata.
Nel costituirsi in giudizio promovendo eccezione di prescrizione, la banca ha allegato che il conto corrente ordinario n. 18400/4304 non era né è assistito da alcuna apertura di credito, sicché tutte le rimesse eseguite su detto conto devono considerarsi solutorie, con conseguente prescrizione di ogni addebito contabilizzato nel periodo antecedente e, dunque, di ogni diritto ed azione di ricalcolo/rettifica del saldo relativo al detto periodo, restando detti addebiti intangibili.
In risposta a tale contestazione e aderendo all’insegnamento pretorio che grava il correntista dell’onere di provare l’esistenza di un affidamento atto a qualificare il versamento come mero ripristino della disponibilità accordata, la società attrice in sede di prima memoria istruttoria ha eccepito l’assunto della convenuta che risulta smentito documentalmente dagli estratti di conto corrente versati in causa (doc. 4 depositato dalla YYY; doc. 2 fascicolo attoreo), dai quali si ricavano elementi volti a presumere la presenza di un affidamento sin dall’inizio del rapporto. In tale prospettiva l’attrice ha precisato che dal 31.12.2005 la commissione di massimo scoperto è applicata in due differenti aliquote, rispettivamente 0,375% sino a 100.000 Euro, cioè entro fido, e 0,750% cioè extra fido; dal 6.07.2008 la commissione di massimo scoperto è applicata in due aliquote, rispettivamente 0,750% sino a 150.000 Euro, cioè entro fido, e 0,750% cioè extra fido.
Ebbene, in merito all’eccezione di prescrizione, occorre preliminarmente osservare che l’azione di cui all’art. 2033 c.c. è soggetta ad un termine di prescrizione decennale. Tanto chiarito, occorre richiamare la sentenza n. 24418/2010 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella quale si evidenzia che il dies a quo del suddetto termine di prescrizione cambia a seconda della natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse. Più in particolare, la Suprema Corte ha statuito che detto termine decorre dalla data del pagamento, per i versamenti di natura solutoria, mentre, per i versamenti di natura ripristinatoria, esso decorre dalla data di estinzione del conto; non ogni rimessa accreditata in conto corrente costituisce infatti pagamento, cioè determina uno spostamento patrimoniale definitivo dal correntista alla Banca: se il conto corrente è affidato ed il saldo debitore è contenuto nei limiti dell’affidamento, la riduzione del saldo debitore non implica uno spostamento patrimoniale definitivo e la rimessa si limita a ricostituire la disponibilità del fido. In altre parole, sussiste pagamento e la rimessa è solutoria, quando il conto non è affidato, oppure è affidato, ma il saldo debitore è oltre il limite del fido alla data in cui viene eseguita la rimessa; all’inverso, non sussiste pagamento e la rimessa è ripristinatoria, se il conto è affidato e presenta un saldo debitore contenuto nei limiti del fido alla data in cui viene eseguita la rimessa.
Dunque, i versamenti effettuati dal correntista durante lo svolgimento del rapporto potranno considerarsi pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione, quando abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca, e cioè quando siano stati eseguiti su un conto in passivo (o “scoperto”) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento. Per converso, allorché il passivo non abbia superato il limite dell’affidamento concesso, i versamenti in conto fungono unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere, rispetto ai quali la prescrizione decennale decorre non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.
La Suprema Corte ha poi chiarito che l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un’apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie (Cassazione civile, sez. un., 13/06/2019, n. 15895).
In simile contesto, è stato altresì affermato che, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi il versamento come mero ripristino della disponibilità accordata (Cass. 2660/2019).
In merito, si è osservato che tale prova può essere fornita sia con la produzione del contratto di apertura di credito in conto corrente, sia attraverso altri elementi rivelatori dell’esistenza di un affidamento, purché univoci e concludenti. Invero, la mancanza del contratto scritto di apertura di credito non preclude l’accertamento di un affidamento di fatto allorquando vi siano una serie di elementi che, nel loro complesso, consentono di ritenere l’esistenza di linee di credito. Per dimostrare l’esistenza di un fido di conto corrente, è sufficiente, infatti, che dagli estratti conto si evinca una situazione di scoperto conto senza alcuna pattuizione scritta tra le parti (cfr., tra le altre, Tribunale Napoli Nord 10 settembre 2021; Appello Bari n.81/2022). Tra gli argomenti idonei all’ammissibilità del fido di fatto la giurisprudenza ha affermato che l’esistenza del contratto di apertura di credito non debba essere necessariamente provata con la forma scritta, in quanto le nullità in materia bancaria sono di protezione, potendo, dunque, essere fatte valere solo dal cliente, sicché è nella facoltà di questi rinunciare a far valere la predetta nullità e chiedere l’esecuzione del contratto bancario privo della forma scritta.
Pertanto, se al cliente è accordata la possibilità di chiedere l’esecuzione del contratto privo della forma scritta ad substantiam, conseguentemente non può essergli preclusa ex art. 2725 c.c. la possibilità di provare l’esistenza del contratto; prova che può essere fornita anche presuntivamente, evidenziando indici sintomatici gravi, precisi e concordanti idonei a dimostrare in modo univoco l’esistenza dell’affidamento.
L’onere della prova dell’esistenza di un rapporto di apertura di credito compete quindi al cliente, anche se il giudice è tenuto a “valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito purché ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perché la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto” (Cass., 6 dicembre 2019 n. 31927). In simile prospettiva, assumono rilevanza anche diversi indici fattuali, idonei a provare, sia pure indirettamente, l’esistenza di un contratto di apertura di credito, quali, ad esempio, l’indicazione negli estratti conto dell’applicazione di diversi tassi, intra fido e ultra-fido.
Se dunque astrattamente non può ritenersi preclusa la prova della conclusione di un contratto di affidamento per facta concludentia, si pone il problema di accertare l’esistenza e la misura del fido allorquando il rapporto non sia consacrato in un documento scritto.
Quanto alla prova dell’esistenza del fido la giurisprudenza di merito ha indicato una serie di indici sintomatici della concessione di fatto dell’affidamento, rimessi al prudente apprezzamento del giudice; a titolo esemplificativo:
– la stabilità e non occasionalità dell’esposizione a debito (pluriennale) correlata;
– la mancata richiesta di rientro del cliente dallo scoperto di conto corrente;
– l’entità del saldo debitore;
– la previsione di una commissione di massimo scoperto;
– l’indicazione della Banca nella centrale rischi della soglia di affidamento; – la mancata segnalazione negli anni in centrale rischi per sconfino o sofferenza; – la previsione e l’applicazione di distinti tassi debitori.
Occorre tuttavia evidenziare che la presenza di tali indici non consente sempre di identificare la misura dell’affidamento.
Conformemente ai rilievi che precedono, considerata ritualmente proposta l’eccezione di prescrizione alla stregua dei criteri sopra emarginati, nel caso di specie, il CTU, le cui conclusioni meritano di essere pienamente condivise, in quanto basate su un obiettivo, approfondito e coerente studio della documentazione tecnica prodotta e pienamente rispondente ai quesiti sottoposti, ha verificato la presenza di affidamenti a valere sul c/c oggetto di esame, valorizzando i dati evincibili dagli estratti conto bancari.
5. Usura
Con riferimento al rapporto di conto corrente oggetto di giudizio, parte attrice lamenta l’applicazione usuraria da parte della banca di un TAEG superiore ai tassi soglia (usura oggettiva). Tale esubero, nella prospettazione attorea peraltro suffragata dall’allegata perizia, ha interessato segnatamente il IV trimestre 2007; il I-II-III-IV del 2008; il I-II-III-IV trimestre del 2008; il I-II-III-IV del 2009; il I-II-III-IV trimestre del 2010 e il I trimestre del 2011 (cfr. citazione pag. 8).
Di contro, l’istituto di credito ha eccepito la mancata contestazione giudiziale e ante causam degli estratti conto ricevuti, nonché di tutta la documentazione informativa inerente al rapporto, rimarcando che “gli estratti conto non contestati dal correntista costituiscono, infatti, piena prova del credito della Banca relativamente alle rappresentate movimentazioni debitorie e creditorie ove, come nel caso di specie, il correntista non li assoggetti ad alcuna specifica e circostanziata contestazione (cfr. Cass. Civ. n. 6258/2002 e Cass. Civ. n. 8650/03)” (cfr. pag. 9 comparsa di costituzione). Parte convenuta ha, quindi, dedotto che la mancata contestazione dei documenti contabili conduce alla approvazione tacita della corrispondenza delle poste annotate alla realtà storica dei rapporti intervenuti, con conseguente acquiescenza circa le annotazioni afferenti al rapporto e preclusione di qualsivoglia contestazione a riguardo.
Tanto premesso, la contestazione afferente all’illegittimo conteggio di interessi usurari è infondata. In primo luogo, va respinta la tesi della banca sulla incensurabilità delle poste addebitate sui conti a cagione della mancata contestazione degli estratti conto.
Costituisce infatti principio di diritto ormai consolidato quello per cui “nel contratto di conto corrente, l’approvazione anche tacita dell’estratto conto, ai sensi dell’art. 1832, primo comma, c.c., preclude qualsiasi contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazioni ai rapporti obbligatori dai quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell’estratto conto, ma non impedisce di sollevare contestazioni in ordine alla validità ed all’efficacia dei rapporti obbligatori dai quali derivano i suddetti addebiti ed accrediti, e cioè quelle fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità, in relazione al titolo giuridico, dell’inclusione o dell’eliminazione di partite del conto corrente” (Cass. 30000/2018); detto altrimenti, “ai sensi dell’art. 1832 c.c., la mancata contestazione dell’estratto conto e la connessa implicita approvazione delle operazioni in esso annotate riguardano gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, nonché la verità contabile, storica e di fatto delle operazioni annotate (con conseguente decadenza delle parti dalla facoltà di proporre eccezioni relative ad esse), ma non impediscono la formulazione di censure concernenti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti” (Cass. 23421/2016).
Quanto all’asserita usura in relazione ai trimestri dal 2005 al 2009, la doglianza è infondata, l’attore avendo omesso di effettuare il raffronto con tasso soglia determinato dalla Banca D’Italia; in relazione, invece, ai trimestri dal 2010 e 2011. Il CTU, richiamate le disposizioni di cui alla l. 7/03/1996 n. 108, ha proceduto a confrontare il tasso effettivo globale (TEG) con il tasso soglia così come definito dalla legge predetta, calcolando il primo secondo le “istruzioni della Banca d’ Italia per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura”, e il secondo in base alle rilevazioni trimestrali del TEGM che il Ministero del Tesoro effettua sulla base dell’ art 2 –1° co della l nr 108/96, attestando e concludendone che non è emerso alcun superamento dei tassi soglia per tutto il periodo di durata del rapporto di conto corrente oggetto della presente vertenza.
6. Anatocismo
Con riguardo al contratto di conto corrente n. 18400/4304, parte attrice ha dedotto nella memoria depositata ai sensi dell’art. 183 VI comma n. 1 c.p.c., poi, l’illegittima capitalizzazione degli interessi anatocistici dall’1.01.2014 sino alla chiusura del conto in data 26.09.2016.
In merito a tale censura, deve chiarirsi, anzitutto, che il negozio de quo è stato stipulato nel 2004. Come noto, in tale periodo la capitalizzazione degli interessi era consentita in base al vigente testo dell’art. 120 TUB, come modificato dall’art. 25, d.lgs. n. 342/1999 e secondo le modalità indicate dalla delibera CICR 9.02.2000.
L’art. 1, comma 629, legge n. 147/2013 (legge di stabilità), ha poi nuovamente modificato, con effetto dal 1.01.2014, il comma 2 dell’art. 120 TUB. Il testo aggiornato prevede che:
“2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”. In precedenza, la norma in vigore fino al 31.12.2013 era del seguente tenore:
“2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”.
Dal raffronto tra le due norme risulta agevole cogliere la rilevante novità.
Mentre in precedenza la norma primaria ha delegato all’organo amministrativo di stabilire le modalità per la produzione di interessi sugli interessi – nel che consiste l’anatocismo ex art. 1283 c.c. –, adesso la norma si limita ad incaricare il CICR di stabilire le modalità di produzione degli interessi nelle operazioni bancarie. È sparito, quindi, il riferimento alla produzione di interessi sugli interessi. Tenuto conto che nel nostro ordinamento vige un divieto generale di anatocismo posto dall’art. 1283 c.c. – salve limitate eccezioni – la logica conseguenza è che anche nelle operazioni bancarie non è più consentito calcolare interessi su interessi.
La norma, nella lettera b), contiene per due volte il riferimento alle operazioni di capitalizzazione, il che ha fatto sorgere qualche dubbio interpretativo circa la sua reale portata.
In proposito si osserva, in primo luogo, che la stessa lettera b) in esame è comunque molto chiara nell’affermare che i successivi interessi sono calcolati solo sulla sorte capitale, il che è perfettamente coerente con il divieto di anatocismo.
Per quanto riguarda il riferimento alle operazioni di capitalizzazione si osserva che, mentre in ambito giuridico tale termine è utilizzato come sinonimo di portare in conto gli interessi e quindi unirli al capitale, in matematica finanziaria è diffuso l’uso di tale espressione come sinonimo di interessi maturati, giunti a scadenza di pagamento. In particolare, nel settore dei mutui si parla di periodo di capitalizzazione per indicare il tempo in cui matura la rata infra-annuale di rimborso, quando il mutuatario deve pagare la quota capitale e la quota interessi, la quale ultima quindi entra nella disponibilità del mutuante al pari del capitale reso.
In tale accezione tecnica la norma è perfettamente coerente, perché gli interessi periodicamente capitalizzati non sono altro che gli interessi maturati alla scadenza prevista nel rapporto.
A conferma di tale interpretazione, si noti che il citato comma 629 riproduce fedelmente la proposta di legge n. 1661 presentata alla Camera dei Deputati il 4.10.2013. Nella relazione introduttiva si legge molto chiaramente che l’intenzione perseguita è quella di “stabilire l’illegittimità della prassi bancaria in forza della quale vengono applicati sul saldo debitore, generalmente a scadenza trimestrale, i cosiddetti <<interessi composti>> (o interessi sugli interessi)”.
Ancora, si consideri che in materia era intervenuto il governo, con il decreto-legge 24.06.2014, n. 91 (c.d. decreto competitività), il quale all’art. 31 incaricava il CICR di stabilire le modalità per la produzione di interessi sugli interessi, con periodicità non inferiore ad un anno.
Ma tale norma è stata soppressa dalla legge di conversione n. 116/2014.
In tal modo, quindi, il legislatore ha ancora una volta inequivocabilmente manifestato una volontà contraria alla reintroduzione dell’anatocismo.
conclusione, quindi, tutti gli elementi di valutazione e interpretazione conducono univocamente all’affermazione che in forza del nuovo disposto dell’art. 120, comma 2, TUB l’anatocismo nelle operazioni bancarie è vietato dal 1.01.2014, data di entrata in vigore della citata legge di stabilità, seppur con possibilità di deroga a fronte di un’apposita autorizzazione del correntista. La nuova disciplina ha, dunque, vietato in radice la possibilità che al termine dell’anno o del periodo di capitalizzazione previsto, gli interessi maturati potessero andare a costituire capitale soggetto a sua volta ad applicazione di interessi. Sugli interessi calcolati a partire dal 2014 non sono più applicabili ulteriori interessi nei trimestri successivi a quello di maturazione o comunque nei periodi successivi alla capitalizzazione. Trattandosi di norma non retroattiva, questa trova applicazione anche per i contratti conclusi prima del 31.12.2013, ma opera con riferimento alle operazioni compiute a partire dal 1.1.2014.
In considerazione di quanto sopra esposto, è stato chiesto al Consulente tecnico di ufficio di espungere dal conteggio del saldo finali gli interessi anatocistici applicati in data successiva al 1.01.2014 (cfr. punto 5. del quesito peritale di cui all’ordinanza del 16.02.2022).
Orbene, il Consulente ha provveduto a eliminare la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi a partire dall’1.01.2014 di modo che gli stessi venissero solo calcolati sugli importi capitale.
7. Commissione di massimo scoperto
L’attrice deduce, con riferimento al contratto di conto corrente la mancata pattuizione della clausola relativa alla Commissione di Massimo Scoperto (CMS), sebbene applicata dalla banca per tutta la durata del rapporto.
In merito a tale censura, occorre chiarire, anzitutto, che deve ritenersi superata ogni questione relativa all’elemento causale della CMS, alla luce sia degli interventi normativi operati dal legislatore nel biennio 2008-2009 (ci si riferisce, in particolare, al D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, nella Legge 28 gennaio 2009, n. 2, e al D.L. 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, nella Legge 3 agosto 2009, n. 102), con i quali si è dato ufficiale riconoscimento a tale onere aggiuntivo, nonché della pronuncia n. 870/2006 della Corte di Cassazione, ove lo stesso è stato definito come «la remunerazione accordata alla Banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista, indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma impiegata per riequilibrare i costi sostenuti dalla Banca per approvvigionarsi del denaro da mettere a disposizione del cliente».
Per quanto attiene, invece, al requisito della determinatezza o determinabilità, è opinione sufficientemente consolidata in giurisprudenza quella secondo la quale la clausola relativa alla CMS è valida solo allorquando contenga la puntuale indicazione di tutti gli elementi necessari alla sua applicazione (percentuale, base di calcolo, criteri, periodicità dell’addebito e tempo minimo di durata). In mancanza di tali elementi, la pattuizione in commento deve considerarsi nulla, giacché si risolve in un’imposizione unilaterale dell’Istituto di credito e non consente il raggiungimento di un consenso consapevole e, quindi, di un valido accordo tra le parti (in questi termini, App. Milano n. 628/2019). L’eccezione di illegittimità degli addebiti a titolo di commissione di massimo scoperto risulta fondata. In particolare, parte attrice si duole dell’illegittimo addebito di poste passive a titolo di commissioni di massimo scoperto e dal 2009 di commissioni sull’affidamento. Esaminando il contratto di apertura di conto corrente (doc. n. 3 fascicolo attoreo) tra le principali condizioni economiche compare : “Commissione massimo scoperto: Commissione sul massimo saldo debitore registrato nel periodo non superiore a 0,750%” , tale commissione è indeterminata in quanto non prevede la periodicità dell’addebito, ma unicamente la percentuale da applicare al saldo debitore, pertanto la pattuizione è nulla.
Osserva il Tribunale che l’istituto in disamina assolve alla funzione causale di assicurare alla banca un corrispettivo per lo sforzo economico organizzativo assunto con la stipula di un’apertura di credito, rappresentato dalla necessità di accantonare e tenere a disposizione l’intera somma oggetto dell’affidamento, in modo da poter adempiere all’obbligazione contratta con il cliente di mettere a sua disposizione tale importo, in tutto o in parte, per il solo fatto che e nella misura in cui questi decida di farne utilizzo.
Nel caso di specie, la commissione, così come individuata nel contratto di conto corrente, risulta priva di tali requisiti, con conseguente e necessaria decurtazione dei relativi addebiti in sede di ricalcolo del rapporto di dare/avere. Invero, le condizioni economiche del contratto di conto corrente per cui è causa si limitano a prevedere la percentuale di calcolo della C.M.S. («commissione sul massimo saldo debitore registrato nel periodo non superiore a 0,750»), a ciò conseguendo che la relativa clausola deve considerarsi nulla per indeterminatezza dell’oggetto, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c. Coerentemente all’impostazione prospettata, al Consulente tecnico d’ufficio è stato chiesto di espungere gli addebiti per c.m.s. e spese non pattuite fino alla data in cui sono state pattuite o se non pattuite fino alla chiusura del conto in data 23.09.2016 e questi vi ha provveduto epurando dal saldo le poste conteggiate a titolo di commissioni di massimo scoperto non dovute. Invero, il CTU, in considerazione delle osservazioni svolte dal difensore di parte attrice sulla C.M.S., di tenore affine rispetto a quelle sopra svolte siccome riproduttive del difetto di specificità e di determinatezza richiesto dalla giurisprudenza per clausole siffatte (cfr. osservazioni alla bozza di ctu di parte attrice, all. 12 Ctu, pag. 3) ha formulato uno scenario alternativo e ha ricalcolato il saldo espungendo le C.M.S. per la parte non prescritta pervenendo all’accertamento di un saldo finale a debito della correntista nei confronti della banca pari a € 2.771,17, con un minor debito pari a € 128.864,24 rispetto a quello evidenziato dalla banca nel passaggio a sofferenza del rapporto.
8. conclusioni del CTU
In particolare, l’analisi contabile ha acclarato che le competenze addebitate sul conto ordinario n. 18400/4304, anteriormente alla data del 10 luglio 2009, per l’ammontare pari ad € 117.265,70 (interessi passivi € 54.156,52, cms € 23.293,55 e spese/commissioni € 39.815,63), a seguito dell’individuazione delle rimesse solutorie, sono risultate essere non ripetibili, cioè prescritte, mentre per l’ammontare di € 10.359,11 (interessi passivi € 6.214,10, cms € 2.406,53 e spese/commissioni € 1.738,48), sono risultate essere ripetibili, cioè non prescritte. Inoltre, il CTU ha rielaborato gli estratti conto bancari ( vedi pag. 16 e 17 dell’elaborato) e ha espunto le spese e commissioni non pattuite, per la parte non prescritta, per l’ammontare di € 30.357,87 e gli interessi passivi sono stati espunti per la parte non prescritta e ricalcolati al tasso nominale minimo dei BOT emessi nei 12 mesi precedenti lo svolgimento dell’operazione per l’ammontare di € 7.444,30 ed è stata eliminata la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dal 1.1.2014 e a seguito delle osservazioni del CT di parte attrice ha elaborato anche il calcolo alternativo per la determinazione del saldo finale espungendo le C.M.S. per l’ammontare di € 2.403,56. Peraltro parte convenuta tramite il proprio CTP non ha sollevato alcuna contestazione alle risultanze della CTU affermando “di non avere osservazioni di carattere meramente tecnico sul calcolo effettuato”.
Alla luce di tutto quanto sopra considerato e del ricalcolo compiuto secondo i criteri sinora evidenziati, che inducono ad attribuire rilevanza, tra le ipotesi di calcolo elaborate dal CTU, a quella che ha escluso le C.M.S., in parziale accoglimento delle domande avanzate dall’attrice e tenuto conto che nessuna osservazione è stata effettuata dal CT di parte convenuta, il saldo del c/c n. 18400/4304, titolo delle domande attoree, va rideterminato nella somma di € 2.771,17 a debito della correntista alla data del 26.09.2016.
Trattandosi di saldo comunque debitore per l’attrice, non vi è luogo evidentemente per una condanna alla restituzione di somme in favore della stessa, mentre la domanda riconvenzionale proposta dalla banca deve essere accolta per l’ammontare di € 2.771,17 oltre agli interessi legali dal 7.11.2020 al saldo. Di conseguenza, essendosi ridotto in maniera cospicua il debito a carico della società correntista rispetto a quanto dalla convenuta prospettato, si ritiene ricorrano i presupposti di cui all’art. 92, secondo comma, c.c. per una parziale compensazione delle spese processuali. Pertanto, tenuto conto che l’attore sebbene sia condannato a pagare l’importo di € 2.771,17 a favore della banca ha visto grandemente diminuito il proprio debito nei confronti banca che aveva chiesto la condanna del cliente al pagamento dell’importo di € 204.942,67, le spese di giudizio vanno compensate per la misura dei due terzi e poste nella misura di un terzo a carico di parte attrice e si liquidano in dispositivo, secondo il D.M. 55/2014, come aggiornato dal d.m. n. 147\2022, tenuto conto del valore della causa determinato ai sensi dell’art. 5 del decreto, della complessità delle questioni trattate e dell’attività effettivamente svolta. In particolare, si ritiene di applicare il principio del “decisum” nella liquidazione delle spese secondo i valori minimi indicati nei citati parametri e così: euro 425,00 per la fase di studio, euro 425,00 per la fase introduttiva, euro 851,00 per la fase istruttoria ed euro 851,00 per la fase decisionale e si pone a carico dell’attore il pagamento di un terzo di tale importo pari ad € 850,70. Le spese di CTU liquidate con decreto del 7.11.2022 vanno poste definitivamente a carico di parte attrice per l’importo di € 2.670,00 e per la restante parte sono poste a carico della banca convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale, in persona della dott.ssa, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da XXX & C. contro Banca YYY S.p.a., e sulla domanda riconvenzionale proposta da Banca YYY nei confronti di XXX &C. così provvede:
a. accerta la nullità, per violazione, degli artt. 1284, comma 3, c.c., 1346 c.c. e 1283 cc, delle clausole di determinazione dei tassi d’interesse ultralegale, delle commissioni di massimo di massimo scoperto e degli ulteriori oneri e spese non previsti dalla legge nonché delle clausole di capitalizzazione degli interessi contenute nel contratto che ha regolamentato il rapporto di conto corrente n. 18400/4304 stipulato tra XXX & C. e Banca Nazionale del Lavoro S.p.a.;
b. ridetermina il saldo del conto corrente n. 18400/4304 stipulato tra le parti alla data dell’ultimo estratto conto in atti del 23.09.2016 in € 2.771,17 a debito del correntista;
c. condanna XXX &C. a corrispondere alla Banca Nazionale del Lavoro S.p.a. la somma di € 2.771,17 oltre agli interessi legali dal 7.11.2020 al saldo;
d. compensa per i due terzi le spese processuali e condanna XXX &C., al pagamento, in favore di Banca YYY S.p.a., delle spese processuali che liquida nella somma di euro 850,70 per compenso di avvocato, oltre rimborso forfetario per spese generali, nella misura del 15% del compenso, oltre ad IVA e CPA come per legge;
e. pone definitivamente le spese di CTU liquidate con decreto del 7.11.2022 a carico di parte attrice per l’importo di € 2.670,00 e per il restante importo a carico di parte convenuta.
Milano, 7 luglio 2023
Il Giudice
dott.ssa
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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