REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI CATANIA
SEZIONE LAVORO
composta dai Magistrati:
ha emesso la seguente
SENTENZA 1027/2018 pubblicata il 05/12/2018
nella causa iscritta al n. R.G. vertente tra
INPS- ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
(), in persona del presidente p.t., anche quale mandatario della
XXX S.p.A., rappresentato e difeso dall’avv., domiciliato in Catania, presso l’ufficio legale della sede provinciale
Appellante e
YYY (), rappresentato e difeso dagli avv., elettivamente domiciliato in, presso lo studio legale
Appellato RISCOSSIONE ZZZ
Appellata- contumace
OGGETTO: appello– opposizione a cartella esattoriale
CONCLUSIONI DELLE PARTI: come in atti precisate.
IN FATTO E IN DIRITTO
1) on sentenza del 28 aprile 2015 il Tribunale di Catania, giudice del lavoro, pronunciando sull’opposizione proposta da YYY avverso cartella esattoriale, limitatamente alle somme iscritte a ruolo a titolo di contributi IVS eccedenti il minimale, anno 2004, dichiarava illegittima l’iscrizione a ruolo dei suddetti crediti, rivendicati dall’INPS, e per l’effetto annullava l’impugnata cartella nei limiti di quanto opposto. Rilevava il decidente che la cartella era fondata su un accertamento d’ufficio dell’Agenzia delle Entrate, notificato il 13 novembre 2009, in forza del quale era stato ritenuto un maggior reddito imponibile per l’anno d’imposta 2004. Detto accertamento era stato impugnato dinanzi alla Commissione Tributaria e il relativo giudizio, alla data d’iscrizione a ruolo dei contributi IVS, era ancora pendente. L’opponente aveva dedotto l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo nelle more della pendenza del giudizio tributario e la mancanza del presupposto contributivo. Indi, all’udienza del 14.04.2015, il YYY aveva documentato di aver aderito alla definizione della lite fiscale e che il giudice tributario aveva dichiarato l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere. Venuto meno, per il Tribunale, il presupposto della pretesa contributiva, esclusivamente basata sull’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, l’INPS, a carico del quale era il relativo onere, non aveva provato la ricorrenza di maggiori redditi cui ricondurre la pretesa maggiore contribuzione.
2) Avverso la suddetta sentenza proponeva appello l’ente previdenziale con atto del 14 ottobre 2015.
Ripristinatosi il contraddittorio, resisteva al gravame il YYY; rimaneva contumace anche in questo grado la società incaricata del servizio di riscossione.
All’udienza del 22 novembre 2018, all’esito della discussione orale, la causa è stata decisa come da separato dispositivo, in calce trascritto.
3) Con un primo motivo l’Istituto appellante, richiamato il disposto dell’art. 39, D.L. n. 98/11 convertito nella legge n. 111/11 – norma in base alla quale l’appellato aveva definito la lite fiscale -, nonché l’art. 16 della legge n. 289/02, rileva che oggetto della definizione agevolata è soltanto la lite fiscale, e non anche l’accertamento fiscale controverso; sicché va escluso che la domanda di definizione della lite fiscale possa avere effetti estintivi diretti nel presente giudizio, in base al principio dell’autonomia del rapporto contributivo (che esclude che eventuali accordi negoziali o transazioni tra l’Agenzia delle Entrate e il contribuente/lavoratore autonomo possano avere rilevanza nei confronti dell’ente previdenziale, soggetto terzo, titolare del rapporto contributivo).
Richiama, al riguardo, la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 48/E del 24.10.2011, la sentenza delle S.U. della Suprema Corte n. 3676/10 e alcuni arresti della giurisprudenza di merito. Il Tribunale ha errato nel ritenere la mancanza di prova del fatto costitutivo del maggior carico contributivo oggetto del ruolo opposto, atteso che il maggior reddito derivante dall’accertamento dell’Agenzia delle Entrate di Catania si è, al contrario, definitivamente consolidato, a seguito dell’estinzione del giudizio tributario conseguente alla definizione della lite fiscale.
3.1) Con un secondo motivo censura, in subordine, la sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto di addossare all’INPS l’onere probatorio, posto che il criterio di quantificazione del maggior reddito conseguente ad accertamento condotto alla stregua di studio di settore resta comunque fermo, sicché, la mancanza di elementi probatori di segno diverso (con onere di allegazione a carico di controparte) determina l’incontrovertibilità del presupposto dell’obbligazione contributiva.
3.2) Con ultimo motivo infine censura la statuizione sul riparto delle spese di lite, comunque decisa sulla base di un fatto (estinzione della lite fiscale conseguente alla domanda di definizione agevolata) avvenuto e documentato in corso di causa.
4) L’appello è fondato nei limiti che seguono.
Le argomentazioni del Tribunale, come sopra sinteticamente riassunte, non sono condivisibili.
Il potere di accertamento del reddito, sia a fini fiscali che previdenziali, è attribuito in via esclusiva all’Agenzia delle Entrate, in virtù delle previsioni contenute nei decreti legislativi numeri 241 e 462 del 1997; la notifica del verbale di accertamento fiscale è idonea, infatti, a interrompere la prescrizione anche dell’obbligazione contributiva (cfr. Cass. 4388/18; 13463/17; 17769/15).
L’ente previdenziale è viceversa privo del potere di accertamento sul reddito, limitandosi esso al recupero dei contributi a percentuale, accertati e calcolati nel loro ammontare dall’Agenzia delle Entrate (fermo restando che la cartella esattoriale e/o l’avviso di addebito per crediti contributivi vanno impugnati avanti al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, non avendo il legislatore del 1997 previsto alcuna deroga in materia di giurisdizione: Cass. S.U. 19523/18).
L’obbligazione contributiva viene meno solo in ipotesi di annullamento totale dell’accertamento unificato da parte del giudice tributario. La debenza e la misura dei contributi a percentuale o sopra il minimale rimane invece confermata se l’impugnazione avverso l’avviso di accertamento viene respinta.
Inoltre, l’obbligazione contributiva può subire una riduzione, non solo in caso di accoglimento parziale del ricorso avverso l’avviso di accertamento, ma anche in virtù della rideterminazione consensuale del reddito in sede d’accertamento con adesione (art. 2, comma 3, D.L.vo 218/97), mediazione obbligatoria (art. 17 bis, comma 8, DPR 602/73), conciliazione giudiziale (art. 46 D.L.vo 546/92), tutte ipotesi in cui è espressamente prevista dal legislatore la refluenza di tale rideterminazione sulla misura dei contributi previdenziali.
Ulteriori conferme della diretta incidenza delle vicende dell’obbligazione tributaria su quella previdenziale si rinvengono nella ritenuta applicabilità dell’art. 24, comma 3, del D.L.vo 46/99 in caso di impugnazione dell’avviso di accertamento avanti al giudice tributario (cfr. Cass.. 8379/14).
Ritiene il Collegio che proprio l’interferenza tra rapporto tributario e rapporto previdenziale, da un lato, e l’assenza di deroghe in punto di riparto di giurisdizione, dall’altro, porti a concludere che l’A.G.O. abbia giurisdizione solo sugli aspetti dell’obbligazione contributiva che non attengano alla determinazione della base imponibile – materia attribuita alla giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie – ossia, ad esempio, laddove l’opponente denunci errori di calcolo dei contributi o delle sanzioni ovvero contesti l’aliquota applicata o eccepisca fatti impeditivi o estintivi (decadenza, prescrizione, ecc.) della pretesa contributiva ovvero ancora la violazione dell’art. 24, terzo comma, del decreto legislativo n. 46/99.
In altre parole, i motivi di opposizione non devono riguardare l’entità della base imponibile, essendo il relativo potere accertativo demandato in via esclusiva all’Agenzia delle Entrate. Il complesso delle norme sopra citate evidenzia infatti che l’esistenza e la misura dell’obbligazione tributaria condiziona l’esistenza e la misura dell’obbligazione contributiva, a prescindere dalla non coincidenza tra titolare del credito e titolare del potere di accertamento nonché, in sede processuale, dalla diversità delle parti (con conseguente possibilità di opporre il giudicato all’ente previdenziale rimasto estraneo al giudizio tributario).
Passando ora ad affrontare il tema delle conseguenze della definizione della lite tributaria ex art. 39, comma 12, del D.L. 98/11 sui giudizi pendenti avanti all’A.G.O. aventi a oggetto i crediti contributivi, va premesso che il legislatore, al dichiarato fine di ridurre il numero dei giudizi pendenti avanti alle commissioni tributarie, ha attributo la facoltà di avanzare domanda di definizione della lite fiscale pendente mediante il pagamento di una percentuale variabile (10, 30 o 50 per cento) delle maggiori imposte accertate, a seconda dello stato del processo e dell’esistenza di una sentenza favorevole al contribuente, senza nulla disporre in merito ai contributi previdenziali.
La comunicazione degli Uffici, cui spetta il potere di controllo della regolarità delle istanze, stante il disposto del comma 8 dell’art. 16 della legge n. 289/02, cui rinvia l’art. 39, comma 12, cit., determina l’estinzione del giudizio tributario per cessata materia del contendere, rientrando la fattispecie a pieno titolo nelle previsioni dell’art. 46 del decreto legislativo n. 546/92, che contempla, appunto, tra l’altro, i casi di regolarizzazione.
Non si tratta tuttavia di una transazione, sia perché non vi è alcuna rideterminazione del reddito imponibile, come avviene in caso di accordo tra Agenzia delle Entrate e contribuente in sede di accertamento con adesione, mediazione obbligatoria o conciliazione ex art. 46 del decreto legislativo n. 546/92, sia perché non vi è alcuna discrezionalità in capo all’amministrazione finanziaria, che deve limitarsi a verificare se la lite è “definibile” in relazione all’importo dell’imposta accertata e se la percentuale che il contribuente intende pagare è quella corretta (10%, 30% o 50%).
Trattasi, dunque, di una mera riduzione dell’importo dell’imposta già calcolata sul reddito imponibile accertato nell’avviso di accertamento, a fini meramente deflattivi del contenzioso. Il contribuente rinuncia all’impugnazione del verbale di accertamento in cambio di uno “sconto” sull’imposta dovuta, ben consapevole che nel verbale di accertamento unificato sono stati calcolati anche i contributi previdenziali a percentuale e che il legislatore non ha esteso l’istituto alle liti aventi a oggetto le opposizioni a cartelle esattoriali e/o ad avvisi di addebito, né previsto l’estinzione o la riduzione dell’importo dei contributi previdenziali.
La definizione della lite tributaria pendente non può pertanto avere alcuna refluenza sulla posizione contributiva, che rimane ancorata al reddito imponibile accertato nell’avviso di accertamento, posto che il contribuente ha appunto rinunciato a coltivare il giudizio che avrebbe potuto condurre al suo annullamento totale o parziale.
In altre parole, la definizione ex art. 39, comma 12, così come quella di cui all’art. 16 della legge 298/02, ha solo l’effetto di elidere la res litigiosa avanti alle commissioni tributarie e non configura una transazione o una novazione, giacché manca l’origine bilaterale e volontaria tipica della materia contrattuale.
Né può ritenersi integrata un’ipotesi di caducazione automatica dell’avviso di accertamento, dovendosi al contrario concludere che l’accertamento è diventato definitivo per ciò che riguarda l’aspetto contributivo, non avendo il legislatore, diversamente dai casi sopra indicati, inteso estendere gli effetti della procedura deflattiva alla posizione contributiva.
Ha pertanto errato il Tribunale a ritenere non assolto l’onere della prova da parte dell’Inps, essendo viceversa il contribuente a esserne onerato.
La Suprema Corte ha, infatti, più volte chiarito che la procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata, di per sé, dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività -, ma nasce in esito al contraddittorio, da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento.
In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri, provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – a integrare la motivazione dell’atto impositivo, indicando le ragioni del suo convincimento. Tuttavia, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato e il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa, esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (cfr., da ultimo, Cass. 27617/18).
E poiché l’odierno appellato non ha lamentato la nullità dell’accertamento per omessa instaurazione del contraddittorio endo-procedimentale, né ha addotto e provato di aver fornito giustificazioni in sede amministrativa in tesi immotivatamente pretermesse dall’amministrazione finanziaria, il maggior reddito va ritenuto idoneamente provato, con conseguente debenza dei contributi a percentuale indicati nella cartella originariamente impugnata.
Ciò posto, deve darsi atto al contempo che, secondo i condivisi principi della giurisprudenza di legittimità, in tema d’iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali, l’art. 24, comma 3, D.L.vo 46/99, che prevede la non iscrivibilità a ruolo del credito previdenziale sino a quando non vi sia il provvedimento esecutivo del giudice, qualora l’accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all’autorità giudiziaria, va interpretato nel senso che l’accertamento, cui la norma si riferisce, non è solo quello eseguito dall’ente previdenziale, ma anche quello operato da altro ufficio pubblico come l’Agenzia delle Entrate, né è necessario, ai fini della non iscrivibilità a ruolo, che, in quest’ultima ipotesi, l’INPS sia messo a conoscenza dell’impugnazione dell’accertamento innanzi al giudice tributario (Cass. 8379/14).
Tuttavia, il giudice dell’opposizione alla cartella esattoriale che ritenga illegittima l’iscrizione a ruolo per difetto di un provvedimento giudiziale esecutivo sull’impugnazione dell’accertamento non può limitarsi a dichiarare tale illegittimità, ma deve esaminare nel merito la fondatezza della domanda di pagamento dell’istituto previdenziale, valendo gli stessi principi che governano l’opposizione a decreto ingiuntivo (Cass. 14149/12; conf. Cass. 17858/18; 19469/18), ferma restando l’impossibilità per l’ente di avvalersi del titolo esecutivo (Cass. 26395/13).
Conclusivamente, la sentenza impugnata va pertanto confermata solo nella parte in cui ha dichiarato l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo oggetto della cartella originariamente impugnata e l’appellato va condannato al versamento all’INPS dei contributi IVS eccedenti il minimale e relative somme aggiuntive afferenti all’anno 2004, indicati in cartella.
Le spese del doppio grado vengono interamente compensate tra le parti costituite, in considerazione delle oscillazioni giurisprudenziali sulla questione controversa.
Nulla per le spese processuali nei confronti della società incaricata del servizio di riscossione, contumace in entrambi i gradi.
P.Q.M.
LA CORTE DI APPELLO
definitivamente pronunciando: in parziale riforma della sentenza impugnata – che per il resto conferma -, condanna YYY al pagamento all’INPS dei contributi IVS eccedenti il minimale e relative somme aggiuntive afferenti all’anno 2004, indicati nella cartella esattoriale originariamente opposta; compensa le spese processuali di entrambi i gradi tra le parti costituite; nulla per le spese processuali nei confronti di Riscossione ZZZ
Così deciso in Catania, nella camera di consiglio del 22 novembre 2018.
Il Presidente est.
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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