REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di BARI
Sezione lavoro
Il Tribunale, nella persona del giudice designato Dott., alla udienza del 25/05/2020 ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 1341/2020 pubblicata il 25/05/2020
contestuale ex art. 429 cpc a seguito di trattazione scritta ex art. 83 co. 7 lett H del D.L. 18 / 2020 previa verifica della regolarità delle comunicazioni di cancelleria nella causa di lavoro di I grado iscritta al N. /2018 R.G. promossa da:
XXX elettivamente domiciliato in presso l’avv. con gli avv.ti
RICORRENTE
contro:
A.S.L. *** elettivamente domiciliato presso la sede legale, rappresentato e difeso dall’avv. giusta procura in atti
RESISTENTE
FATTO e DIRITTO
Con ricorso depositato in data 7.12.2018 XXX, , quale dipendente della ASL *** dal 5.9.2007 con mansioni di infermiera, addetta all’attualità al reparto di medicina generale del presidio ospedaliero di ***, ha convenuto avanti al Giudice del Lavoro del Tribunale di Bari la Asl *** esponendo :
che nello svolgimento delle mansioni la datrice di lavoro impone l’utilizzo della divisa ,composta da camici, casacche, pantaloni e calzature antiscivolo, sia a fini di igiene sia di riconoscibilità , e a tal fine i dipendenti sono tenuti a utilizzare l’apposito spogliatoio dove vengono indossate e dimesse le divise, la cui igiene è a cura della ASL; tuttavia il tempo necessario a tali operazioni, pari a 15 minuti circa sia in entrata che in uscita, non è computato nell’orario di lavoro e retribuito ;
pertanto ,ritenendo di aver osservato il maggiore orario di 30 minuti al giorno rispetto al turno contrattuale di 6 ore ovvero 3 ore , e calcolando la paga oraria per 369 ore complessive per il periodo 1.1.2013-31.12.2016, come da conteggio analitico, parte ricorrente ha chiesto la condanna della convenuta al pagamento della somma di € 4807,98 per il maggior tempo lavorativo non retribuito, oltre alla regolarizzazione contributiva per le ore effettivamente lavorate.
La ASL ha rilevato l’inesistenza della eterodirezione aziendale circa le modalità di vestizione osservando che l’indossare la divisa rientra nell’attività propedeutica al lavoro in assenza di specifica disciplina in merito, e che comunque, in caso di attività di vestizione compiuta durante l’orario di lavoro, era stata pagata la relativa retribuzione.
La causa, istruita mediante escussione dei testimoni, è stata decisa all’odierna udienza come da sentenza ex art. 429 c.p.c., all’esito della trattazione scritta ai sensi art. 83 co. 7 lett H del D.L. 18 / 2020 ; entrambe le parti hanno depositato note conclusive
Ai fini della presente decisione, giova premettere che è pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui il tempo impiegato dal dipendente per la vestizione e svestizione della divisa (cd. tempo-tuta) deve essere considerato come tempo di lavoro, anche ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a), del D. Lgs. 8 aprile 2003, n. 66 (che ha recepito le Dir. 93/104/CE e 00/34/CE), e quindi autonomamente retribuito, ogni qual volta tale attività sia eterodiretta dal datore di lavoro, che stabilisca i tempi o le modalità della sua esecuzione.
Sul punto, la Cassazione ha, infatti, costantemente affermato che “nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo necessario a indossare l’abbigliamento di servizio (“tempo tuta”) costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione, in difetto della quale l’attività di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore e non dà titolo ad autonomo corrispettivo” (cfr. Cass. 7 giugno 2012, n. 9215; in senso conforme si v. anche Cass. 8 settembre 2006, n. 19273; Cass. 22 luglio 2008, n. 20179; Cass. 10 settembre 2010, n. 19358; Cass. 8 aprile 2011, n. 8063). Su questa base, “il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale, ancorché relativo a fase preparatoria del rapporto, deve essere autonomamente retribuito ove la relativa prestazione, pur accessoria e strumentale rispetto alla prestazione lavorativa, debba essere eseguita nell’ambito della disciplina d’impresa e sia autonomamente esigibile dal datore di lavoro, il quale può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria (cfr. Cass. 15 gennaio 2014, n. 692).
Con specifico riferimento al requisito dell’eterodirezione, la stessa giurisprudenza ha precisato, inoltre, che “l’eterodirezione può derivare dall’esplicita disciplina d’impresa o risultare implicitamente dalla natura degli indumenti, o dalla specifica funzione che devono assolvere, quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell’abbigliamento, o dalla specifica funzione che devono assolvere e così dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene riguardanti sia la gestione del servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto” (cfr. Cass. 26 gennaio 2016, n. 1352 – va sottolineato che in detta ultima sentenza la corte di merito aveva accertato che i dipendenti erano tenuti a timbrare il badge dopo aver indossato la divisa e aveva, quindi, correttamente riconosciuto la retribuzione del cd. tempo tuta in quanto compreso nell’orario di lavoro). Da tanto se ne deriva che l’attività di vestizione per cui è causa deve essere qualificata come attività lavorativa sia nel caso in cui sia eterodiretta dal datore di lavoro (che ne stabilisca i tempi e le modalità di attuazione), sia laddove – in ragione della tipologia di attività esercitata – l’obbligo di vestire la divisa risulti imposto da prioritarie esigenze di igiene e sicurezza pubblica (cd. eterodirezione implicita o in re ipsa).
Ciò posto, la questione deve essere risolta applicando le ordinarie regole in tema di riparto dell’onere probatorio, che incombe su parte ricorrente ai sensi dell’art. 2697 c.c., dovendo quest’ultima provare sia l’eterodirezione dell’attività in esame, sia la sua effettiva esecuzione e durata (prima e dopo l’orario di lavoro) per tutto l’arco temporale oggetto di causa, e tanto in conformità alle più recenti pronunce giurisprudenziali sul tema (cfr. da ultimo Trib. Bari sez. lav., 04.02.2020, n.623, secondo cui “qualora il dipendente configuri la vestizione e la svestizione della divisa come un’attività aggiuntiva rispetto a quella che lo stesso dipendente assume come effettivamente retribuita dal datore (e corrispondente, cioè, alla prestazione dell’attività attività lavorativa in favore del datore), in applicazione della regola generale di cui all’art. 2697, comma 1, c.c., è specifico onere del dipendente il dimostrare sia l’esecuzione di tale attività di vestizione e svestizione (rispettivamente, prima e dopo l’orario di lavoro) sia la durata di tale attività di vestizione e svestizione”).
Ebbene, venendo all’accertamento del requisito dell’eterodirezione nella fattispecie in esame, deve essere preliminarmente rilevato che il nuovo CCNL Comparto Sanità Pubblica 2016-2018, sottoscritto il 21.05.2016, ha per la prima volta espressamente normato la questione del cd. tempotuta, prevedendo all’art. 27 che quando le operazioni di vestizione e svestizione della divisa debbano avvenire all’interno della sede di lavoro “l’orario di lavoro riconosciuto comprende fino a 10 minuti complessivi destinati a tale attività, tra entrata e uscita, purché risultanti dalle timbrature effettuate”. Tale disposizione non può che intendersi nel senso che, per le prestazioni lavorative rese in epoca successiva all’entrata in vigore del citato CCNL, il cd. tempo-tuta è già compreso nell’orario contrattuale, donde la retribuzione percepita dal lavoratore riguarda necessariamente anche il tempo impiegato per indossare e poi togliere la divisa.
Talché occorre verificare la fondatezza della domanda per i soli periodi pregressi rivendicati in ricorso.
Sul punto, va anzitutto osservato che la ASL *** non ha mai emanato disposizioni di servizio relative al cd. tempo-tuta fino al 14.12.2017, quando con deliberazione n. del Direttore Generale è stato approvato il “Regolamento per la disciplina dell’orario di lavoro del personale di comparto”, in vigore dal 1.01.2018, a norma del quale “il tempo necessario per il passaggio delle consegne e la vestizione, di norma 15 minuti in entrata e in uscita, sarà considerato come orario di servizio”. Nella pacifica precedente assenza di disposizioni aziendali, va quindi esclusa ogni eterodirezione esplicita dell’attività oggetto del presente giudizio (che concerne il periodo fino al 31.12.2016).
Deve premettersi che nel caso di specie è la stessa parte ricorrente a spiegare che la divisa viene indossata dopo aver fatto ingresso in ospedale ; successivamente ha inizio il turno , secondo l’orario prestabilito .Al termine del turno avvengono le operazioni di svestizione della divisa, che viene poi lasciata nello spogliatoio per le opportune operazioni di lavaggio , con impiego complessivo di 15 minuti per operazione ( punti 8 e 9 del ricorso )
Nulla viene detto in ricorso circa il momento della timbratura del cartellino marcatempo, che tuttavia, per quello che è emerso dalle prove testimoniali espletate risulta aver luogo subito dopo l’ingresso in ospedale , mentre la divisa viene indossata dopo la timbratura ; solo successivamente ha inizio il turno in reparto secondo l’orario prestabilito; al termine del turno avvengono le contrarie operazioni di svestizione della divisa e successiva timbratura del badge in uscita. In tal guisa, la ricostruzione in parola conferma l’assenza di etorodirezione – anche implicita – dell’attività per cui è causa, non essendo imposti al lavoratore una particolare modalità o un preciso orario in cui indossare la divisa, che ben può essere indossata anche assai prima dell’ingresso nel reparto. Infatti, l’unico obbligo riscontrabile nella fattispecie è che all’inizio turno il dipendente indossi già l’abito da lavoro, e tanto per motivi di igiene e sicurezza, in virtù della peculiare funzione espletata dagli operatori sanitari, che operano a stretto contatto con i pazienti ricoverati nel nosocomio.
In tale contesto, scarso rilievo assumono anche le risultanze dell’istruttoria condotta, che non offrono dati univoci a sostegno della tesi della ricorrente (ie, eterodirezione implicita dell’attività di vestizione e svestizione della divisa). Entrambi i testi infermieri nel medesimo ospedale hanno confermato le circostanze in fatto, ovvero che nel P.O di *** i dipendenti dapprima timbrano il cartellino presso l’orologio marcatempo posto al piano terra, e solo successivamente si recano in reparto per indossare la divisa, impiegando per tale operazione circa 15 minuti ( senza distinzione di stagione ) , quindi iniziano il turno ; ne deriva che risulta confermata l’esistenza del solo obbligo di indossare la divisa prima dell’inizio del turno ( dato pacifico, questo, e non contestato dalla ASL ,in quanto utile a garantire l’igiene e la sicurezza, come in precedenza rilevato) ; i testi non hanno invece in alcun modo saputo riferire sull’esistenza di uno specifico ordine aziendale, anche verbale o implicito, in tema di vestizione della divisa.
La teste *** all’ udienza del 24.6.2019 ha riferito “Non so se l’ ASL abbia mai impartito ordini in merito ai tempi di vestizione / vestizione… non sono a conoscenza di eventuali procedimenti disciplinari irrogati dalla ASL nei confronti di dipendenti per la violazione dei tempi di vestizione …”
Nella medesima udienza il teste *** ha riferito “Non so se prima dell’entrata in vigore del regolamento vale a dire dal gennaio 2018 la ASL avesse dato ordine sui tempi di vestizione , però io devo essere in reparto per iniziare il mio turno già in divisa … non sono a conoscenza di provvedimenti disciplinari adottati dall’azienda per non aver rispettato i tempi di vestizione … “
In ultimo, non può peraltro sottacersi che la ricostruzione offerta dai testi, così come le deduzioni sul punto rese dalla ricorrente, non corrispondono alle risultanze dei tabulati delle timbrature del cartellino marcatempo effettuate in entrata e in uscita dalla ricorrente , come depositati in atti (cfr. all. 2 fascicolo ricorrente).
A tal fine, giova chiarire che la lettura dei tabulati in parola consente di rilevare, per ciascuna giornata lavorativa, sia l’orario di entrata del dipendente sul posto di lavoro (riportato all’interno della colonna “Dettaglio timbrature”, sezione “E”), sia l’orario di uscita dal posto di lavoro (riportato all’interno della colonna “Dettaglio timbrature”, sezione “U”), nonché la durata oraria del turno lavorativo di volta in volta prestato (riportato all’interno della colonna “Dettaglio timbrature”, sezione “Dovuto”).
Orbene, alla luce dei predetti dati, è possibile constatare come, nel periodo lavorativo in esame, la ricorrente abbia timbrato l’entrata o l’uscita sul posto di lavoro in orari variabili ,spesso estremamente prossimi all’inizio del turno lavorativo, o talora con lievi ritardi e comunque non con quella sistematicità oraria necessaria alle operazioni di vestizione , che è il fulcro della domanda e che anche hanno riferito i testi.
Siffatte considerazioni (che smentiscono ulteriormente l’asserita sussistenza di espresse direttive interne in merito all’anticipo dell’entrata e al posticipo dell’uscita) dimostrano l’insussistenza della prassi della ricorrente, riferita in ricorso e confermata dai testi, di recarsi sul luogo di lavoro all’incirca dieci minuti prima dell’inizio del turno e di allontanarsi dallo stesso posto di lavoro all’incirca dieci minuti dopo il termine del turno stesso.
Si aggiunga infine che le risultanze dei tabulati marcatempo non dimostrano se la parte ricorrente abbia effettivamente impiegato il tempo intercorrente tra l’inizio o il termine del turno e, rispettivamente, l’ingresso o l’allontanamento dal posto di lavoro per le operazioni di vestizione e svestizione della divisa, offrendo dimostrazione del tutto insufficiente delle circostanze dedotte in ricorso, che non possono ritenersi provate dalla ricorrente ai sensi dell’art. 2697 c.c.
Inconferente, infine, il richiamo alla recentissima Cass. ord.8623 del 7.5.2020 in cui sono state riconosciute le ragioni dei dipendenti ASL ,sul rilievo-opposto al caso di specie-che la vestizione avveniva nei locali dell’ospedale in un momento antecedente alla marcatura del cartellino.
In conclusione, il cd. tempo tuta, per quanto emerso dall’istruttoria, non appare eterodiretto dal datore di lavoro, costituendo piuttosto diligenza preparatoria necessaria all’espletamento della mansioni della parte ricorrente.
L’esistenza tuttora di seri contrasti giurisprudenziali sulla materia, e la circostanza che sia intervenuto un accordo con la ASL solo nel marzo 2017 giustifica la compensazione delle spese del giudizio
Pqm
definitivamente pronunciando , rigetta il ricorso proposto il 7.12.2018 da XXX nei confronti della ASL *** e compensa le spese di lite
Così deciso in data 25/05/2020.
il Giudice del Lavoro
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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