REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Bari – Sezione per le controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza – composta dai Magistrati:
1) emesso la seguente
SENTENZA n. 1360/2023 pubblicata il 04/08/2023
nella controversia iscritta nel R.G. al numero sopra indicato;
TRA
XXX & C. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in;
-Appellante-
E
YYY; -Appellata-
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale del Lavoro di Bari, depositato in data 09.02.2017, YYY esponeva: • di aver prestato lavoro subordinato alle dipendenze della Ditta “XXX & C. s.a.s.”, esercente attività di pizzeria, ubicata in Bitonto (BA) alla via, a far data dal 05.05.2012; • di aver svolto le mansioni di cameriera, formalmente inquadrabili nella figura professionale di cui al VI Livello retributivo del CCNL Pubblici Esercizi, con le seguenti modalità: provvedere ad accogliere i clienti e accompagnare gli stessi ai tavoli, prendere le ordinazioni, servire bevande e pietanze, apparecchiare e sparecchiare i tavoli, pulire e sanificare gli ambienti dell’esercizio commerciale; • di aver osservato un orario giornaliero di lavoro di otto ore dalle ore 17:30 alle ore 01:30 per l’intera settimana, con la sola esclusione della giornata del martedì, giorno di chiusura settimanale del locale commerciale al pubblico; • di aver prestato tale attività lavorativa, senza alcuna regolarizzazione contrattuale e previdenziale, nonostante le reiterate rimostranze, seguendo le direttive impartitele dal titolare dell’esercizio commerciale, ***; • di aver percepito retribuzione in contanti, per un importo mensile pari ad € 1.170,00, senza ulteriori emolumenti per le ore di lavoro straordinario in concreto prestate né il dovuto trattamento economico di tredicesima e quattordicesima mensilità; • di non aver mai fruito di alcuna giornata di ferie, né di alcun giorno di permesso retribuito, godendo soltanto di n. 8 giorni lavorativi nell’anno 2014 e n. 7 nell’anno 2015 quali permessi non retribuiti; • di non avere mai ottenuto il riconoscimento, per l’intero periodo di tempo lavorato, di scatti di livello e/o anzianità; • di aver proseguito il rapporto di lavoro sino alla data del 16.02.2016, in cui il *** provvedeva a licenziarla oralmente, senza preavviso e/o adeguata motivazione, né versamento di alcun importo a titolo di Tfr; • di aver, pertanto, impugnato tale licenziamento a mezzo raccomandata a/r del 28.04.2016, domandando anche il versamento di tutte le spettanze retributive e contributive maturate nell’ambito dell’intercorso rapporto di lavoro; • di aver invano adito la competente Direzione Territoriale del Lavoro di Bari, con missiva del 20.06.2016, sporgendo apposita denuncia in ordine alle illegittimità perpetrate ai propri danni dal *** e richiedendo l’adozione di ogni opportuna iniziativa finalizzata al ristoro della propria posizione fiscale e previdenziale.
Tanto esposto, chiedeva a) accertarsi la sussistenza dell’intercorso rapporto di lavoro subordinato, continuativo ed ininterrotto, dal maggio 2012 al febbraio 2016, con svolgimento di mansioni riconducibili al VI Livello retributivo del CCNL Pubblici Esercizi, e, per l’effetto, condannarsi la Ditta “XXX & C. s.a.s.” b) al pagamento, in proprio favore, di complessivi € 44.872,04, ovvero di una somma minore o maggiore ritenuta di giustizia, a titolo di differenze retributive, oltre interessi legali e rivalutazione sino al soddisfo, unitamente al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali; c) accertare l’inefficacia e/o illegittimità del licenziamento orale intimato in data 16.02.2016 e, per l’effetto, condannare la Ditta resistente al risarcimento del danno sofferto dall’istante, nella misura pari all’importo di tutte le retribuzioni non percepite dalla lavoratrice dalla data dell’irrogato licenziamento sino a quella della sentenza; d) in via meramente subordinata al mancato accoglimento della precedente richiesta, condannare parte resistente alla riassunzione in servizio dell’istante, ovvero al pagamento in suo favore dell’indennità prevista dall’art. 8 della Legge n. 604/66 nella misura stabilita secondo giustizia.
Instaurato il contraddittorio, la Ditta “XXX & C. s.a.s.” resisteva, deducendo avere la YYY lavorato alle proprie dipendenze saltuariamente, a chiamata con formalizzazione delle giornate lavorate mediante voucher, espletando mansioni di aiutante cameriera, senza alcun rapporto continuativo configurabile come subordinato a partire dall’anno 2014 e per brevi periodi, in relazione ai quali aveva provveduto a corrispondere la regolare retribuzione; chiedeva rigettarsi integralmente la domanda proposta, con vittoria di spese.
Acquisiti i documenti prodotti dalle parti, previa istruttoria orale, il Tribunale con sentenza n. 2914/2021 del 19.10.2021, così statuiva: 1) dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato dal 5.5.2012 al 16.02.2016, con mansioni di cameriera, VI livello del CCNL di categoria, con osservanza di un orario lavorativo ordinario; 2) rigettava la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto a percepire l’indennità per lavoro straordinario e per ferie non godute per difetto di prova; 3) condannava la Ditta resistente al pagamento delle differenze retributive maturate in costanza di rapporto, avuto riguardo all’espletamento di un orario lavorativo ordinario e della 13^ mensilità, per un importo complessivo di € 9.912,67 (con esclusione dei ROL, della 14^ mensilità e dell’indennità di trasferta), oltre accessori di legge; 4) dichiarava l’inefficacia del licenziamento orale intimato alla lavoratrice in data 16.02.2016 e condannava la Ditta resistente alla reintegrazione di YYY nel proprio posto di lavoro, nonché al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni omesse dalla data del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione, oltre accessori di legge e versamento della relativa contribuzione; 5) rigettava la domanda diretta ad ottenere la corresponsione del trattamento di fine rapporto a seguito del ripristino del rapporto di lavoro; 6) compensava per metà le spese di lite, alla luce dell’accoglimento soltanto parziale della domanda e condannava la resistente al pagamento, in favore della YYY, della restante parte, nella misura e con le modalità indicate in dispositivo.
Con ricorso depositato in data 13.12.2021, la Ditta “XXX & C. s.a.s.” interponeva appello, per i motivi che di seguito si espongono e si valutano, chiedendo, in via preliminare, disporsi la sospensione dell’efficacia esecutiva della statuizione gravata, e, nel merito, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettarsi integralmente le domande avanzate dalla YYY in prime cure, con vittoria delle spese del doppio grado del giudizio, oltre al risarcimento del danno per lite temeraria da liquidarsi in via equitativa.
Ritualmente evocata in giudizio, YYY resisteva, costituendosi con apposita memoria del 20.04.2022, chiedendo, in via preliminare, accertarsi e dichiararsi l’improcedibilità dell’avverso atto di gravame e, nel merito, confermarsi integralmente la statuizione gravata.
Si acquisivano i documenti prodotti dalle parti e il fascicolo del giudizio di primo grado.
Rigettata con ordinanza collegiale del 26.04.2022, per assenza del requisito del gravissimo danno di cui all’art. 431 c.p.c., l’istanza di inibitoria avanzata dalla Ditta appellante, in data odierna, all’esito della discussione orale, si svolgeva la camera di consiglio fra i Magistrati del Collegio composto in base alla tabella della Corte, dopodiché si procedeva come da infrascritto dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Tribunale del lavoro di Bari, definiti gli elementi tipici della subordinazione e detto dell’onere probatorio a carico di parte attrice, ha accolto (sebbene parzialmente, rigettando alcune voci contrattuali invocate a titolo di emolumenti economici, in relazione alle quali non vi è appello incidentale) la domanda della YYY sull’assunto che le risultanze documentali e la espletata prova per testi consentivano di ritenere sufficientemente dimostrato il vincolo contrattuale tra le parti in causa qualificabile come di natura subordinata, avendo i testi escussi, e in particolare quelli citati da parte attrice, reso delle dichiarazioni attendibili in ordine all’esercizio di un potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro che connotano precipuamente la natura del rapporto invocato, evidenziando che trattandosi nella specie di espletamento di mansioni assolutamente elementari, ripetitive, predeterminate nelle modalità di esecuzione (quelle di cameriera), il criterio dell’eterodirezione risultava poco significativo per la qualificazione della natura del rapporto.
Più analiticamente, dava atto il primo giudice che nella fattispecie in esame <<si fronteggiano due diverse ricostruzioni>>, quella della YYY sostenitrice della natura subordinata del rapporto di lavoro non regolarizzato, assertivamente intercorso tra le parti dal 05.05.2012 sino al licenziamento orale intimatole il 16.02.2016, e quella avversa, di parte resistente, propugnatrice di diversa prospettazione fattuale, secondo cui la YYY avrebbe ricoperto saltuariamente le vesti di aiutante cameriera a partire dal 2014 e per brevi periodi, verso corresponsione di quanto dovuto a mezzo voucher offerti in comunicazione Ribadite le regole di riparto degli oneri probatori, stabiliva che <<l’istruttoria svolta consente di avvalorare l’assunto secondo cui la parte ricorrente avrebbe intrattenuto con il resistente un rapporto di lavoro subordinato con le modalità indicate nell’atto introduttivo del giudizio, con le precisazioni che seguiranno>>; affermava, quindi, che il complesso dell’istruttoria aveva fatto emergere <<sufficienti indici sussidiari>>, la cui esistenza consentiva di avvalorare la prospettazione dei fatti come esposti da parte attrice, e riportate in stralcio le propalazioni rese dai due testi di parte ricorrente (*** e ***), ha concluso per la declaratoria di sussistenza tra le parti in causa di un rapporto di lavoro connotato dalla subordinazione dal 5.5.2012 al 16.02.2016, con mansioni di cameriera, VI livello del CCNL di categoria, con osservanza di un orario lavorativo ordinario.
Precisava, con riferimento alla tesi addotta di contro da parte resistente, a) che <<i voucher, in realtà, [apparivano] voler attribuire una certa veste formale al rapporto di lavoro dell’istante, soprattutto in caso di controlli da parte dell’Ispettorato Provinciale, poi effettivamente verificatisi>>, b) che l’istruttoria non solo aveva dato riscontro di quanto innanzi ma anche che, <<a fronte del corretto comportamento processuale della ricorrente, il resistente [aveva] tenuto un comportamento ingiustificatamente assenteista>>, da potersi valutare quale argomento di prova, in particolare, avendo, il ***, omesso di comparire, senza giustificato motivo, a rendere l’interrogatorio formale deferitogli dalla YYY.
Tanto evidenziato, il Giudice del primo grado, concludeva che potevano ritenersi provati <<il periodo lavorativo 5 maggio 2012 – 16 febbraio 2016 (grossomodo confermato in sede istruttoria), nonché le mansioni di cameriera, ascrivibili in astratto al VI Liv. CCNL di categoria>> e che, tuttavia, così circoscritte le risultanze probatorie, <<dalle dichiarazioni dei testi non [poteva] evincersi la prova piena dello straordinario dedotto in ricorso>>, né potevano dirsi adeguatamente contestate dalla Ditta convenuta le differenze retributive vantate dalla YYY che, pertanto, andavano riconosciute nel loro complesso; né poteva accogliersi <<il capo di domanda relativo alle ferie per difetto di prova in ordine al fatto costitutivo del corrispondente diritto>>.
Faceva seguito la condanna di parte resistente a corrispondere, in favore della YYY, la complessiva somma di € 9.912,67, come da conteggi allegati al ricorso introduttivo, a titolo di differenze retributive maturate in ossequio al CCNL di categoria, compresa 13^ mensilità, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sino al soddisfo.
Infine, con riferimento al capo della domanda relativo all’accertamento della inefficacia per vizio di forma del licenziamento, intimato oralmente alla YYY in data 16.02.2016, il giudice di prime cure, richiamati i relativi orientamenti di legittimità e le regole di riparto degli oneri probatori, riteneva avesse, la YYY, fornito <<piena prova>>, suffragata da testimonianza resa sul punto da uno dei testi escussi, di essere stata estromessa dal rapporto di lavoro per volontà del datore, il quale, invero, a detta del Tribunale adito, <<non ha dimostrato né che la cessazione del rapporto era avvenuta ad esempio per volontà del dipendente, né di aver dato alcuna comunicazione scritta (né, per vero, ha chiesto di provare tali circostanze in modo idoneo allo scopo)>>.
Pertanto, ritenuto inefficace il licenziamento opposto, in quanto intimato in carenza di forma scritta, in ossequio al disposto di cui all’art. 2 L. n. 604/1966, il Tribunale adito, ordinava la reintegrazione della YYY nel posto di lavoro, ai sensi e per gli effetti dell’art. 18, co. 1, L. n. 300/1970, come modificato dalla l. 92/2012, e condannava la Ditta convenuta alla corresponsione, in suo favore, di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, oltre ai relativi contributi previdenziali e assistenziali, come per legge.
Avverso detta statuizione, la Ditta “XXX & C. s.a.s.” interponeva appello, dolendosi in sintesi:
a) dell’erronea valutazione da parte del Tribunale delle risultanze delle prove testimoniali offerte dalla YYY, con la conseguenza che la sentenza gravata appariva viziata da <<pesante ed inquietante contraddizione nella parte inerente le deposizioni dei due testi della sig.ra YYY, ovvero i sig.ri *** *** e ***>>, in quanto i medesimi testi risultavano escussi anche nel parallelo giudizio n. 1666/2017 r.g., instaurato contestualmente dal marito dell’odierna appellata, tale ***, avverso la medesima Ditta e per i medesimi fatti di causa, rendendo dichiarazioni del tutto speculari che conducevano al rigetto integrale della domanda proposta del lavoratore, avendo il Tribunale ritenuto del tutto inattendibili le dichiarazioni rese;
b) dell’omessa valutazione, in prime cure, delle dichiarazioni rese dai testi di parte resistente, *** e ***, che, invero, parallelamente a quanto dedotto sub a), non venivano adeguatamente valutate, avendo piuttosto, il Giudice del primo grado, riservato <<rilievo centrale>> alla deposizione resa dal ***, di cui se ne contesta tanto l’attendibilità quanto la legittimità, trattandosi di deposizione de relato actoris e, come tale, priva di rilievo probatorio, a fronte, di contro, della testimonianza resa dai testi *** e ***, entrambi dipendenti della Ditta appellante e, quindi, a diretta conoscenza dei fatti di causa, avendo precisato il periodo di tempo lavorato dalla YYY, l’orario ricoperto, la retribuzione erogata a mezzo voucher limitatamente al lavoro saltuario prestato e, di conseguenza, l’inesistenza di licenziamento alcuno;
c) della ingiusta determinazione, da parte del Tribunale adito, in stretta correlazione con quanto dianzi, del quantum delle somme riconosciute a titolo di differenze retributive in favore della YYY, <<sulla scorta di un’erronea valutazione delle prove raccolte nel corso del giudizio, sul presupposto (del tutto inesistente) del rapporto di lavoro subordinato tra le parti>> e <<senza neppure ricorrere ad una CTU contabile>>, ritenendo, piuttosto, rilevanti i soli conteggi allegati dalla stessa, erronei e <<del tutto inapplicabili al caso di specie, atteso che era stata fornita la prova che l’assunzione (occasionale) della YYY avveniva tramite voucher, e ciò in assenza di un rapporto, stabile e continuativo, di lavoro subordinato, […] risultato del tutto insussistente nel caso di specie>>;
d) della erroneità della statuizione gravata nella parte in cui aveva ritenuto configurabile un licenziamento orale, sempre recependo in maniera <<condizionata>> la dichiarazione resa <<sempre del teste ***>>, da doversi considerare, per i motivi di cui innanzi, inattendibile, nonché inconferente, avendo la YYY prestato saltuariamente la propria attività attraverso formali voucher, ritualmente prodotti in giudizio;
e) della inapplicabilità, al caso di specie, della disposizione di cui all’art. 18, co. 1, L. n. 300/1970, come sostituito dalla L. n. 92/2012, laddove, venendo meno la sussistenza del licenziamento, <<come dimostrato dalla istruttoria svolta (prove testimoniali con *** e ***) e dalla documentazione prodotta (voucher)>>, ribadisce la Ditta appellante, non poteva di certo trovare ingresso la condanna della stessa al risarcimento di un danno non dovuto;
f) della violazione del c.d. principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., nella parte in cui il Tribunale, non limitandosi a pronunciare sulla domanda come proposta dalla YYY, diretta cioè ad ottenere, in ipotesi di accoglimento della domanda reintegratoria, anche una indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni omesse -testualmente- <<dalla data dell’irrogato licenziamento sino a quella della sentenza>>, andando ultrapetita, ha condannato la Ditta datrice di lavoro al pagamento di un’indennità commisurata <<all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione>>.
Concludendo per la riforma integrale della sentenza gravata, con rigetto di ogni domanda proposta dalla YYY, ha riproposto l’appellante la richiesta di condanna della soccombente al pagamento, oltre che delle spese processuali, anche al risarcimento del danno per lite temeraria, da liquidarsi in via equitativa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 96, co. 3, c.p.c. L’appello è fondato e va accolto.
In via preliminare, va disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dall’appellata per asserita violazione dell’art. 342 c.p.c. Al riguardo, giova rammentare l’insegnamento della Suprema Corte (cfr. ex multis Cass., sez. un., 16/11/2017, n. 27199 nonché da ultimo Cass. civ., sez. VI, 30.05.2018, n.13535), secondo cui gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla legge n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. (v. Cass. sez. un. 27199/17; in senso conforme v. anche Cass. 13535/18).
Ed invero, ciò che il nuovo testo degli artt. 342 e 434 c.p.c. esige è che le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative doglianze: ragione per cui, se il nodo critico è nella ricostruzione del fatto, esso deve essere indicato con la necessaria chiarezza, così come l’eventuale violazione di legge.
Tanto premesso, osserva il Collegio che la presente impugnazione deve reputarsi conforme agli oneri formali imposti dall’art. 434 c.p.c. in quanto fondata, come risulta dall’esposizione dei motivi di appello, su una contestazione delle ragioni espresse dal Tribunale, articolata in distinti profili di censura dai quali si evincono, in modo sufficientemente chiaro, anche le parti del provvedimento da intendersi impugnate (vedasi motivi di doglianza, come esposti e riassunti).
Ne consegue che i motivi di gravame, in quanto sufficientemente esplicativi dei profili in fatto ed in diritto che avrebbero dovuto essere diversamente apprezzati dal primo giudice in senso favorevole alla pretesa attorea sono ammissibili e vanno, dunque, scrutinati nel merito.
I primi due motivi di gravame, concernenti l’erronea qualificazione data dal Tribunale al rapporto di lavoro intercorso tra le parti in causa, che esulerebbe, a detta dell’appellante, dalla natura subordinata, sono fondati, vanno accolti, e determinano, evidentemente, l’assorbimento di tutti gli altri rilievi censori mossi.
Giova preliminarmente evidenziare che la Suprema Corte ha graniticamente statuito, da ultimo con ordinanza 4 marzo 2020 – 5 luglio 2021 n. 18943, che “chi chiede il pagamento di crediti retributivi è tenuto a provare la natura subordinata del rapporto di lavoro” la cui qualificazione in detti termini invoca, ribadendo la necessità per il lavoratore di dare prova degli elementi di fatto corrispondenti alla fattispecie astratta e, precisamente, della sussistenza dei requisiti della etero direzione e del potere di direzione e controllo del datore di lavoro nei suoi confronti.
Come opportunamente ricordato nella statuizione gravata, è irrilevante, dunque, la denominazione giuridica attribuita dalle parti al contratto (c.d. nomen iuris) dovendosi verificare il concreto atteggiarsi del rapporto lavorativo tra le parti, attribuendo maggior importanza all’effettivo comportamento che esse hanno avuto durante lo svolgimento del rapporto stesso rispetto alla volontà manifestata al momento della stipula.
L’assoggettamento del lavoratore al potere di direzione, di controllo e disciplinare del datore di lavoro, costituisce l’elemento determinante per l’individuazione del vincolo di subordinazione, risultando sussidiari gli altri indici connotativi, e cioè l’osservanza di un orario di lavoro predeterminato; la collaborazione; l’assenza del rischio in capo al lavoratore; la natura della prestazione; la continuità della prestazione; l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione produttiva; il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato all’impresa dal datore di lavoro (da ultimo, Cass. 25711/2018).
Invero, la prova della sussistenza degli indici di subordinazione di cui all’art. 2094 c.c. grava sul soggetto che assume di aver prestato lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 2967 c.c.; tale prova assume connotazioni di particolare rigore laddove tra le parti coinvolte vi sia un principio di prova scritta in ordine ad una diversa qualificazione giuridica del rapporto (nella specie, rapporto a chiamata mediante voucher).
Ebbene, gravando pacificamente sulla lavoratrice YYY l’onere di dimostrare la ricorrenza in concreto degli indici indicativi della subordinazione, ritiene la Corte non essere affatto decisivi in tal senso i riscontri probatori versati in atti, risultando inadempiente la YYY rispetto all’onere dimostrativo posto dalla legge a suo carico.
Le propalazioni rese dai testi escussi, invero, inducono a ritenere fondate le censure mosse da parte appellante quanto al grado di attendibilità accordabile, in particolar modo, alle dichiarazioni rese in prime cure dai tesi di parte ricorrente e sulla cui rilevanza, il giudice del primo grado, in dispregio di quanto eccepito dalla Ditta convenuta, ha fondato il proprio convincimento.
Giova, altresì, sul punto, osservare che la valutazione degli esiti delle prove, come la scelta, tra le varie emergenze istruttorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti; tale attività selettiva si estende all’effettiva idoneità del teste a riferire la verità, in quanto determinante a fornire il convincimento sull’efficacia dimostrativa della fonte-mezzo di prova (cfr. da ultimo Cass. Sez. 6 – 3, 04.07.2017, n. 16467).
Il che significa che la valutazione va fatta, caso per caso, in concreto.
È opportuno riportare i tratti salienti delle varie deposizioni testimoniali, delle quali l’appellante ne invoca un riesame.
Il teste ***, cliente abituale della Ditta convenuta ed amica della YYY, confermava la circostanza sub 1) del ricorso introduttivo, relativa all’espletamento, da parte della YYY, di attività subordinata in favore del ***, a partire dal maggio 2012, ma precisava “esserle stata riferita [la circostanza, n.d.r.] dalla sig.ra YYY, la quale diceva di lavorare a nero” ed aggiungeva: “ho personalmente visto la sig.ra YYY lavorare come cameriera all’interno della pizzeria Il XXX”.
ADR: “Confermo la circostanza sub 2) [relativa alla prestazione da parte della YYY di un orario giornaliero di otto ore, dalle ore 17:30 alle ore 01:130 dal lunedì alla domenica, ad eccezione del martedì, giorno settimanale di riposo e chiusura al pubblico, n.d.r.] del ricorso introduttivo. Preciso che quanto a me riferito posso dirlo perché frequentavo la pizzeria come cliente diverse volte, nel ritirarmi […] vedevo la sig.ra YYY nella pizzeria”
ADR: “In merito alla circostanza sub 3) [relativa alle mansioni prestate dalla YYY nel periodo lavorato: accogliere i clienti ed accompagnarli ai tavoli, prendere le ordinazioni, servire bevande e pietanze, apparecchiare e sparecchiare i tavoli, pulire e sanificare gli ambienti dell’esercizio commerciale, n.d.r.] del ricorso, posso riferire che quando mi sono recata in qualità di cliente nella pizzeria ho visto la sig.ra YYY svolgere le mansioni indicate nella circostanza. Preciso che svolgo l’attività di barista e facevo e faccio un doppio turno di lavoro, alternando giornate nelle quali lavoro dalle 6:00 alle 14:00 e giornate ove lavoro dalle 14:00 alle 22:00 e frequentavo la pizzeria almeno una volta a settimana, acquistando anche pizze d’asporto”.
ADR: “Confermo la circostanza sub 4) [relativa al licenziamento orale intimato alla YYY in data 16.02.2016, n.d.r.] del ricorso, in quanto riferita sia dalla YYY sia dal mio ragazzo […]”.
ADR: “In merito alla circostanza sub 5) [relativa all’assoggettamento della YYY al potere direttivo del ***, n.d.r.] del ricorso, posso riferire che quando frequentavo la pizzeria vedevo la YYY fare la cameriera e ricevere gli ordini dal sig. ***”.
ADR: “In merito alla circostanza sub 6) [relativa all’assenza, in capo alla YYY, di discrezionalità e/o autonomia operativa nell’espletamento delle proprie mansioni, n.d.r.] del ricorso, confermo la stessa”.
ADR: “Confermo la circostanza sub 7) [relativa al rispetto, da parte della YYY, di un rigido orario di lavoro, dalle ore 17:30 sino alla chiusura del locale alle ore 01:30, tutti i giorni, ad eccezione del martedì, giorno di chiusura del locale, n.d.r.] del ricorso e … innanzi riferite; sull’orario di lavoro di cui alla circostanza che mi è stata letta posso riferire di aver visto alcune volte, nel ritirarmi a casa con il mio ragazzo che abita […]nei pressi della pizzeria Il XXX, la sig.ra YYY vicina alla pizzeria intorno all’01:30”.
ADR: “In merito alla circostanza sub 8) [relativa alla necessità di specifica giustificazione in caso di scostamento dall’orario di lavoro concordato, n.d.r.] del ricorso, posso riferire che una domenica a pranzo è capitato di trovarmi […] e la YYY, poiché la mattia si prolungava, avvisava il *** che faceva più tardi al lavoro”.
ADR: “In merito alla circostanza sub 9) [relativa all’assoggettamento della YYY al potere discrezionale del ***, comprensivo di alcuni episodi di rimproveri rivoltile in caso di lavoro non conforme alle direttive ricevute, n.d.r.] del ricorso, posso riferire di aver visto in alcune circostanze il sig. *** rivolgersi con un tono un po’ più alto nei confronti della YYY”.
ADR: “In merito alla circostanza sub 10) [relativa alla necessità di rivolgersi sempre al ***, in caso di problemi di natura tecnico organizzativa, n.d.r.] del ricorso, posso dire che la sig.ra YYY mi riferiva che quando avesse dei problemi al lavoro si rivolgeva al sig. ***”.
ADR: “Con riferimento alla circostanza sub 11) [relativa all’inserimento stabile nell’organico della YYY per tutto il periodo asseritamente lavorato, 2012 – 2016, n.d.r.] del ricorso, posso riferire che alla luce delle mie frequentazioni nella pizzeria pensavo che la YYY fosse responsabile di sala”.
ADR: “La circostanza sub 12) [relativa al dovere della YYY di avvisare tempestivamente il sig. *** in caso di impossibilità a prestare per malattia, n.d.r.] del ricorso che mi viene letta, mi è stata riferita dalla sig.ra YYY”.
ADR: “Confermo la circostanza sub 13) [relativa al fatto che la YYY per tutto il periodo lavorato si fosse sempre avvalsa di strumenti ed utensili messi a disposizione dal sig. ***, n.d.r.] del ricorso”.
ADR: “La circostanza sub 14) [relativa al percepimento da parte della YYY di un compenso mensile in contanti di € 1.170,00 per tutta la durata del rapporto di lavoro, n.d.r.] del ricorso che mi viene letta, mi è stata riferita dalla sig.ra YYY.”
L’altro teste di parte ricorrente, ***, premesso di essere a conoscenza dei fatti di causa “perché ho lavorato nel 2012 […] con Rosa YYY, presso XXX. Ho lavorato come cameriere”, dichiarava:
ADR: “In merito alla circostanza sub 1) [relativa all’espletamento, da parte della YYY, di attività subordinata in favore del ***, a partire dal maggio 2012, n.d.r.] del ricorso introduttivo, posso riferire che detta circostanza mi è stata riferita da Rosa YYY”.
ADR: “In merito alla circostanza sub 2) [relativa alla prestazione da parte della YYY di un orario giornaliero di otto ore, dalle ore 17:30 alle ore 01:130 dal lunedì alla domenica, ad eccezione del martedì, giorno settimanale di riposo e chiusura al pubblico, n.d.r.] del ricorso, posso dire di aver iniziato a lavorare dopo di Rosa YYY. Posso dire che, quando ho lavorato io dal XXX, iniziato nel 2013, anzi ho iniziato nell’estate del 2012 e ho finito nell’estate del 2013. Posso dire che, quando ho lavorato io, c’era sempre la YYY. Qualche volta iniziavo a lavorare verso le 17,00, sino a tarda notte, quando finiva il lavoro di sala, essendo cameriere. Tutti andavano via insieme”.
ADR: “In riferimento alla circostanza sub 3) [relativa alle mansioni prestate dalla YYY nel periodo lavorato: accogliere i clienti ed accompagnarli ai tavoli, prendere le ordinazioni, servire bevande e pietanze, apparecchiare e sparecchiare i tavoli, pulire e sanificare gli ambienti dell’esercizio commerciale, n.d.r.] del ricorso, posso dire che Rosa YYY accoglieva il cliente al tavolo, con il controllo di Emanuele ***, e portava il piatto al tavolo, dopo aver preso l’ordinazione”.
ADR: “In merito alla circostanza sub 4) [relativa al licenziamento orale intimato alla YYY in data 16.02.2016, n.d.r.] del ricorso, posso dire che ho assistito personalmente quando alla fine del servizio, nel 2016, non ricordo il giorno, il sig. *** comunicava alla Rosa YYY che era il suo ultimo giorno di lavoro. Preciso che avevamo già terminato di lavorare e in attesa di essere pagati da ***, ascoltavo il diverbio tra YYY e ***”.
ADR: “In riferimento alla circostanza sub 5) [relativa all’assoggettamento della YYY al potere direttivo del ***, n.d.r.] del ricorso, posso dire che la stessa è stata vista e riferita da YYY. Preciso che Emanuele *** dava a tutti le direttive da seguire durante la serata e controllate dallo stesso ***. Anche Rosa YYY riferiva a me ciò che veniva detto. Anche quando ho lavorato io, ho visto *** dare le direttive a tutti”.
ADR: “In riferimento alla circostanza sub 6) [relativa all’assenza, in capo alla YYY, di discrezionalità e/o autonomia operativa nell’espletamento delle proprie mansioni, n.d.r.] del ricorso, la YYY non aveva alcuna autonomia. Ricordo che Rosa YYY e *** erano punti di riferimento in quanto camerieri più esperti”.
ADR: “Ho risposto alla domanda sub 7) [relativa al rispetto, da parte della YYY, di un rigido orario di lavoro, dalle ore 17:30 sino alla chiusura del locale alle ore 01:30, tutti i giorni, ad eccezione del martedì, giorno di chiusura del locale, n.d.r.] del ricorso. Il giorno di riposo è stato o lunedì o martedì, non ricordo con precisione”.
ADR: “In merito alla circostanza sub 8) [relativa alla necessità di specifica giustificazione in caso di scostamento dall’orario di lavoro concordato, n.d.r.] del ricorso, non ho assistito personalmente ma l’ho sentito da Rosa YYY. Quando io ho lavorato dovevo attenermi a detti comportamenti”.
ADR: “In merito alla circostanza sub 9) [relativa all’assoggettamento della YYY al potere discrezionale del ***, comprensivo di alcuni episodi di rimproveri rivoltile in caso di lavoro non conforme alle direttive ricevute, n.d.r.] del ricorso, posso dire che Emanuele *** rimproverava i camerieri quando accadevano incidenti e/o errori in sala”.
ADR: “Ho risposto alla domanda sub 10) [relativa alla necessità di rivolgersi sempre al ***, in caso di problemi di natura tecnico organizzativa, n.d.r.], confermandola”.
ADR: “Ho risposto prima alla domanda sub 11) [relativa all’inserimento stabile nell’organico della YYY per tutto il periodo asseritamente lavorato, 2012 – 2016, n.d.r.].
ADR: “Confermo la circostanza sub 12) [relativa al dovere della YYY di avvisare tempestivamente il sig. *** in caso di impossibilità a prestare per malattia, n.d.r.] del ricorso, come pure la sub 13) [relativa al fatto che la YYY per tutto il periodo lavorato si fosse sempre avvalsa di strumenti ed utensili messi a disposizione dal sig. ***, n.d.r.]”.
ADR: “Mi è stata riferita da Rosa YYY la circostanza sub 14) [relativa al percepimento da parte della YYY di un compenso mensile in contanti di € 1.170,00 per tutta la durata del rapporto di lavoro, n.d.r.] del ricorso”.
ADR: “Preciso che io sono stato assunto al lavoro da *** con il voucher. Preciso anche che, in occasione di un controllo dei Carabinieri e Ispettorato del Lavoro, io ho dichiarato di avere un voucher di un’ora al giorno. Preciso anche che non so cosa avesse dichiarato Rosa YYY ai Carabinieri. Non ricordo quando è avvenuto il controllo sia dei Carabinieri che dell’Ispettorato del Lavoro, giunti insieme”.
ADR: “Posso dire che come avveniva per me anche per gli altri e così anche per Rosa, l’assunzione avveniva tramite voucher”.
ADR: “In occasione di controlli da Carabinieri e/o dall’Ispettorato del Lavoro, posso dire che *** contattava il Consulente del Lavoro e si faceva predisporre i voucher a copertura dei dipendenti del ristorante che lavoravano a nero, me compreso”.
ADR: “Tanto so perché riferitomi da un collega di lavoro di cui non voglio riferire il nominativo”.
ADR: “Preciso che dopo detta esperienza, ho lavorato presso varie attività, tra cui anche alle dipendenze del sig. Pastoressa Alessandro sino ad ottobre 2020 a far data da giugno 2020”.
ADR: “Preciso che all’epoca dei fatti di cui è causa, il sig. *** era il marito della sig.ra Rosa YYY.”
Orbene, ritiene il Collegio, siano condivisibili le censure mosse dall’odierna Ditta appellante in riferimento alla valenza probatoria delle dichiarazioni rese dai testi di parte ricorrente escussi, laddove, dalla plana lettura delle stesse, emerge trattasi di testimonianze de relato actoris che, in quanto tali, non avrebbero dovuto avere la valenza probatoria accordata loro in primo grado.
Sul punto, giova ribadire il costante orientamento di legittimità – da ultimo Cass. civ., Sez. VI, 22/11/2022, n. 34345 – in base al quale: “In tema di prova testimoniale, i testimoni “de relato actoris” sono quelli che depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte e non sul fatto oggetto dell’accertamento, fondamento storico della pretesa; i testimoni “de relato” in genere, invece, depongono su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni, pur attenuata perché indiretta, è idonea ad assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice, nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità” (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 569 del 15/01/2015).
D’altronde, come pure opportunamente sottolineato dalla appellante nell’atto di gravame, nel merito, le medesime dichiarazioni rese dagli stessi testi, escussi nello speculare giudizio promosso dal marito della YYY per i medesimi fatti di causa, venivano censurate dal medesimo organo giudicante (cfr. sent. Tribunale del Lavoro di Bari, 28/09/2021, n. 2587) in questi termini: << Invero non può non rilevarsi come la teste ***, cliente della pizzeria, pur confermando la circostanza di prova di parte ricorrente relativa alle mansioni, non possa essere considerata attendibile in quanto ella stessa ha dichiarato di essersi recata in pizzeria solo una volta alla settimana, quindi, appare evidente che non possa aver constatato con la necessaria precisione e continuità i compiti svolti dall’istante. È pur vero che la teste ha affermato di essersi fermata al bancone della pizzeria, ma appare davvero poco credibile che una cliente, pur in buoni rapporti con i gestori dell’attività, possa sostare di fronte al bancone in attesa di effettuare la consumazione.>>
Del pari, le dichiarazioni rese dal *** non trovano riscontro alcuno nelle risultanze documentali offerte in comunicazione dall’odierna appellante, laddove, dal certificato storico di lavoro del *** (all. d) atto di gravame) emerge chiaramente che il medesimo, nei periodi in cui ha testimoniato di avere prestato attività lavorativa presso il ***, ossia negli anni dal 2014 al 2016, avrebbe, invero, prestato attività lavorativa in favore di altre società di ristorazione, tra cui per lo stesso ***, coniuge della YYY, come pure dichiarato dal medesimo *** (v. all. c) atto di gravame) nel procedimento r.g. 1666/2017 instaurato dal ***, ma mai per il ***.
Ritiene la Corte che le medesime considerazioni debbano necessariamente estendersi alla valenza probatoria accordata, in punto di fatto, alle suddette dichiarazioni in riferimento all’orario di lavoro ricoperto dalla YYY e alla retribuzione della stessa a mezzo voucher, laddove, non potendosi ritenere la *** una frequentatrice assidua della pizzeria del *** (così riferisce la stessa: “frequentavo la pizzeria almeno una volta a settimana, acquistando anche pizze d’asporto”), né il *** Teste attendibile per le ragioni dianzi dette, deve necessariamente concludersi che quanto dedotto dalla YYY in ricorso non risulta supportato da idonei riscontri probatori, atti a smentire che la presenza della stessa sul luogo di lavoro fosse in realtà rispondente al suo rapporto saltuario, a chiamata, remunerato tramite voucher, così come documentalmente dimostrato dalla Ditta datrice di lavoro.
Le dichiarazioni rese dai testi di parte attrice risultano peraltro smentite da quanto riferito dai testi di parte avversa, dipendenti della Ditta Il XXX e, come tali, a conoscenza diretta dei fatti di causa.
In particolare, il teste ***, cameriere a tempo pieno presso la Ditta convenuta dal 2010, precisato di aver sempre prestato attività ogni fine settimana “il sabato fisso e alcune volte la domenica”, confermava la circostanza sub a) della memoria difensiva della convenuta, in merito allo svolgimento, da parte della YYY, di attività di semplice aiutante cameriera, saltuariamente, per quattro ore, negli anni 2014 e 2015, specificando che “prima del 2014 non ho mai visto la sig.ra YYY lavorare”. Dichiarava inoltre il *** che:
ADR: “Confermo la circostanza sub b) della ridetta memoria [relativa all’espletamento da parte della YYY della suddetta attività saltuaria per più periodi del 2015, n.d.r.] anche se non posso ricordare con esattezza i periodi”. ADR: “Confermo la circostanza sub c) della ridetta memoria difensiva [relativa all’espletamento da parte della YYY della suddetta attività saltuaria anche nel 2016, n.d.r.] anche se non posso rammentare con esattezza la data”.
ADR: “Quando andavo a lavorare il sabato trovavo la sig.ra YYY che entrava con me al lavoro”.
ADR: “Confermo la circostanza sub d) [relativa all’espletamento da parte della YYY della suddetta attività saltuariamente, nel periodo predetto, per quattro ore, dalle ore 19.00 fino alle ore 23.00, n.d.r.] che mi viene letta. Faceva quattro ore di lavoro, come me. La pizzeria chiudeva alle 23,00 al pubblico”.
ADR: “Con riferimento alla circostanza sub e) della memoria [relativa alla retribuzione della YYY sempre a mezzo voucher, n.d.r.] posso dire che la sig.ra YYY veniva pagata con i voucher”.
ADR: “La sig.ra YYY faceva l’aiutante cameriera.”
Sovrapponibili le dichiarazioni rese dall’altro teste di parte resistente, ***, dipendente a tempo pieno della Ditta convenuta dal 2013, in qualità di pizzaiolo, con orario di lavoro dalle 19.00 alle 23.00-23.30, che confermava la circostanza sub a) della memoria difensiva della convenuta, in merito allo svolgimento, da parte della YYY, di attività di semplice aiutante cameriera, saltuariamente, per quattro ore, negli anni 2014 e 2015. Precisava inoltre che:
ADR: “Posso dire che la sig.ra YYY lavorava circa 2 o 3 ore giorni alla settimana; tuttavia, non posso ricordare con esattezza essendo trascorso molto tempo”.
ADR: “La sig.ra YYY lavorava come aiutante cameriera, per quattro ore, dalle 19.00 alle 23.00”.
ADR: “Confermo la circostanza sub b) della predetta memoria [relativa all’espletamento da parte della YYY della suddetta attività saltuaria per più periodi del 2015, n.d.r.] anche se non posso ricordare con esattezza i suddetti periodi”.
ADR: “Prima del 2014 la YYY non lavorava per Il XXX di Emanuele *** s.a.s.”.
ADR: “Confermo la circostanza sub c) della predetta memoria difensiva [relativa all’espletamento da parte della YYY della suddetta attività saltuaria anche nel 2016, n.d.r.] e confermo la circostanza sub d) [relativa all’espletamento da parte della YYY della suddetta attività saltuariamente, nel periodo predetto, per quattro ore, dalle ore 19.00 fino alle ore 23.00, n.d.r.] a cui ho già risposto”.
ADR: “Il servizio della pizzeria termina alle ore 23,00, compreso il sabato e domenica”.
ADR: “Confermo la circostanza sub e) della predetta memoria [relativa alla retribuzione della YYY sempre a mezzo voucher, n.d.r.] in quanto veniva riferito dalla sig.ra YYY.”
Ritiene dunque il Collegio che, contrariamente a quanto rilevato dal Giudice del primo grado, le dichiarazioni dei testi della Ditta convenuta, ben lungi dal potersi considerare contraddittorie, delineino chiaramente l’espletamento da parte della YYY di una attività saltuaria, circoscritta al periodo intercorrente dal 2014 al 2016 e regolarmente retribuita a mezzo voucher.
D’altronde, il Tribunale di Bari perveniva a tale conclusione nel giudizio speculare succitato, rilevando, in particolar modo, che: <<E’ solo il caso di aggiungere che dell’attendibilità dei testi di parte resistente non si ha motivo di dubitare per precisione ed intrinseca coerenza logica delle dichiarazioni rese, e conoscenza diretta dei fatti>>.
Ritiene, dunque, la Corte essere stata corretta la valutazione prospettata dall’odierna Ditta appellante nell’atto di gravame del materiale probatorio versato in atti, avendo, come dianzi esposto, i testi smentito una configurazione giuridica del rapporto nel senso invocato dalla YYY, e cioè di rapporto di lavoro subordinato, con le relative spettanze, anziché mera attività saltuaria regolarmente retribuita.
Alla stregua del materiale probatorio in atti deve sconfessarsi la qualificazione, operata dal primo giudice, in ordine alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti in causa e, quindi, della esistenza di un vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, tale emergendo dalle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.
Deve inoltre darsi atto che, le risultanze istruttorie della prova orale di cui l’odierna appellante ne invocava il riesame, trovano riscontro, peraltro, nelle risultanze documentali acquisite agli atti.
In particolare, deve aversi riguardo ai documenti allegati nel fascicolo di parte appellante, ossia:
– all. b) atto di gravame, con particolare riferimento all’all.4 fascicolo introduttivo di parte resistente contente copia dei voucher corrisposti alla YYY dal 2014 al 2016;
– all. c) atto di gravame, contenente copia della sent. Tribunale del Lavoro di Bari, 28/09/2021, n. 2587 e dei relativi verbali di udienza del giudizio speculare instaurato dal Pastoressa;
– all. d) atto di gravame, contenta copia del certificato storico di lavoro del teste ***;
– all. d) atto di gravame, contenta copia del certificato storico di lavoro dell’appellata YYY.
Pertanto, ritiene il Collegio, che le risultanze istruttorie confermino senza dubbio alcuno essere stata la YYY preposta allo svolgimento di attività saltuaria di aiuto cameriera per il periodo 2014 – 2016 verso regolare retribuzione a mezzo voucher.
Resta assorbito ogni altro rilievo censorio connesso al riconoscimento della natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti in causa, in questa sede di gravame, e in riforma della statuizione gravata, escluso.
Va respinta, infine, la richiesta avanzata dall’odierna appellante di condanna di controparte al risarcimento del danno per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., per avere assertivamente coltivato una lite temeraria e pretestuosa, ovvero, in subordine, ai sensi del primo comma di detto articolo.
Osserva la Corte non ricorrere affatto, per come sviluppatasi la lite, gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria invocata, in quanto le prove offerte appaiono suscettibili di diversa interpretazione, tanto da determinare un diverso esito della lite rispetto al primo grado, con la conseguenza che alcuna temerarietà è ravvisabile nella condotta dell’appellata.
Invero, l’art. 96, comma primo, c.p.c. prevede che, se la parte che risulta soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna al risarcimento dei danni, che liquida anche d’ufficio.
La norma, pertanto, richiede l’espressa domanda della parte, che si assume lesa dalla condotta processuale dell’altra, e prevede che la liquidazione possa avvenire in via ufficiosa.
Secondo orientamento consolidato della giurisprudenza, che si condivide, come presupposto dell’applicazione della fattispecie, occorre che sia ravvisata una violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, situazione che deve ritenersi senz’altro sussistente quando vengano reiterate tesi giuridiche già reputate infondate dal giudice di merito, riproponendo i medesimi argomenti da quel giudice compiutamente ed analiticamente confutati, senza tenere nella minima considerazione le ragioni per le quali erano state ritenute non accoglibili e senza sottoporre ad alcuna critica tali ragioni.
Peraltro, la domanda di risarcimento da responsabilità aggravata, di cui all’art. 96, primo comma, cod. proc. civ., “si atteggia diversamente a seconda dei gradi del giudizio, atteso che, mentre in primo grado essa è volta a sanzionare il merito di un’iniziativa giudiziaria avventata, nel secondo grado, regolato dal principio devolutivo, essa deve specificamente riferirsi alla pretestuosità dell’impugnazione, valutata con riguardo non tanto alle domande proposte, quanto, piuttosto, alla palese e strumentale infondatezza dei motivi dell’appello e, più in generale, alla condotta processuale tenuta dalla parte soccombente nella fase di gravame” (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 7620 del 26/03/2013).
Nessuna di tali ipotesi è configurabile nel caso di specie.
Al contrario la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti da ll’art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della “potestas agendi” con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte.
Ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede, né la domanda di parte, né la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione (cfr. Cass., Sez. Un., sent. n. 22405 del 13/09/2018).
Ritiene il Collegio, non sussistano i presupposti della responsabilità processuale aggravata a carico della YYY, non essendo emerso che questa abbia agito con dolo o colpa grave, come del resto testimonia il fatto che i due gradi di giudizio abbiano avuto diverso esito.
Pertanto, ritiene il Collegio, che le risultanze istruttorie confermino senza dubbio alcuno essere stata la YYY preposta allo svolgimento di attività di aiutante cameriera, saltuariamente, dal 2014 al 2016, verso regolare retribuzione a mezzo voucher.
Conclusivamente l’appello è fondato e, in riforma dell’impugnata sentenza, il ricorso proposto dalla YYY in data 09.02.2017 rigettato in ogni parte.
L’esito complessivo della lite, totalmente favorevole alla appellante, impone la condanna della YYY, in virtù del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, nella misura e con le modalità di cui in dispositivo (art. 91 c.p.c.) in applicazione delle vigenti tariffe professionali di cui al D.M. 147/2022.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Bari, Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla “XXX & C.” s.a.s. nei confronti di YYY, con ricorso depositato in data 13.12.2021 avverso la sentenza n. 2914/2021 resa in data 19.10.2021 dal Tribunale di Bari, Giudice del Lavoro, così provvede: accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, rigetta il ricorso proposto dalla YYY in data 09.02.2017; condanna la YYY al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio, che liquida in € 5.400,00 per il primo grado ed € 4.000,00 per il presente giudizio di appello, oltre rimborso forfetario per spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Bari, il 20 giugno 2023
Il Presidente
Il Consigliere estensore
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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