Riguardo alla differenza di tutela del rapporto di lavoro dei dirigenti, rispetto a quello delle altre categorie di lavoratori, esso è, com’è noto, soggetto alla libera recedibilità da parte del datore di lavoro, con la conseguenza che i dirigenti non possono fare assegnamento sulla stabilità del rapporto, salvo diversa convenzione in tal senso, ma solo su quelle garanzie che derivano dalla contrattazione collettiva, quale la corresponsione dell’indennità supplementare nella ipotesi di licenziamento che risulti essere privo di giustificatezza.
Non può, quindi, ritenersi che la disposizione dell’art. 47 della legge n. 428 del 1990, introdotta per porre fine alle inadempienze, già sanzionate dalla Corte di Giustizia, riguardanti l’incompleta attuazione di due direttive sulla tutela degli interessi dei lavoratori in occasione dei trasferimenti di azienda e in caso di insolvenza del datore di lavoro, nel concretizzare, in tale ipotesi, la tutela dei lavoratori al fine di mantenere i livelli di occupazione, chiamando come interlocutori nelle consultazioni che devono precedere gli accordi in deroga alle garanzie di cui all’art. 2112 c.c., possa riferirsi anche ai dirigenti come destinatari dell’accordo.
Nel caso contrario a quello verificatori nella fattispecie in esame (qui secondo l’interpretazione l’accordo era nel senso della espulsione dei dirigenti), sarebbe stata ad essi attribuita una tutela, per il mantenimento del posto di lavoro, che essi non hanno e che ove pure dovesse essere affermata con gli accordi in deroga alla richiamata disciplina codicistica, sarebbe destinata a venire meno rimanendo i dirigenti esposti alla libera recedibilità dal rapporto di lavoro, da parte del datore di lavoro.
Infatti, non si potrebbe escludere, pur in presenza di accordo anche per la conservazione del posto di lavoro dei dirigenti della azienda cedente, ma senza alcuna previsione di durata della prosecuzione del rapporto, che la cessionaria, successivamente al trasferimento, proceda alla risoluzione del rapporto con il dirigente passato alle sue dipendenze, anche al di fuori di ipotesi di giustificatezza del recesso, versandogli l’indennità supplementare.
Il Collegio non ignora il principio elaborato da Cass. 28 marzo 1985 n. 2187, richiamato dalle resistenti, secondo cui le disposizioni speciali sul trasferimento delle aziende in crisi, che escludevano l’automatica prosecuzione dei rapporti di lavoro con l’acquirente, dovevano essere applicate anche ai dirigenti, rimanendo irrilevante la mancata partecipazione del sindacato di questi lavoratori agli accordi collettivi riguardanti il personale in caso di trasferimento delle aziende in crisi, stipulati con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Ma, a parte l’abrogazione di dette disposizioni espressamente sancita dall’art. 4 della legge 23 luglio 1991 n. 223, si deve infatti osservare che la citata pronuncia si riferisce alla diversa ipotesi della prevalenza dell’accordo, stipulato per agevolare la mobilità dei lavoratori delle aziende in crisi, sulla continuità del rapporto di lavoro in caso di trasferimento dell’azienda, indipendentemente dalla formale, tempestiva disdetta prevista dal primo comma dell’art. 2112 c.c., nel testo all’epoca vigente, essendosi ritenuto che la deroga a tale norma fosse giustificata e compensata dal trattamento di miglior favore garantito dall’accordo ai lavoratori dipendenti dell’azienda in crisi, trasferita.
In conclusione, in caso di trasferimento di azienda in stato di insolvenza, non si applica nei confronti dei dirigenti la disposizione dettata dall’art. 47, quinto comma, legge 29 dicembre 1990 n. 428, che, nella ipotesi di raggiungimento di un accordo di cui al primo comma del medesimo articolo, deroga all’art. 2112 c.c.
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n. 398 dell’11 gennaio 2007
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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