Trasferimento del dipendente, diritto di scelta della sede più vicina alla persona invalida da assistere, non è un diritto soggettivo assoluto.
Il diritto di scelta della sede più vicina al domicilio della persona invalida da assistere non è un diritto soggettivo assoluto e illimitato ma è assoggettato al potere organizzativo dell’Amministrazione che, in base alle proprie esigenze organizzative, potrà rendere il posto disponibile tramite un provvedimento di copertura del posto vacante.
In tale senso è stato interpretato l’inciso “ove possibile” della L. n. 104 del 1992, articolo 33, comma 5, quale necessario bilanciamento degli interessi in conflitto (interesse al trasferimento del dipendente ed interesse economico-organizzativo del datare di lavoro) soprattutto in materia di rapporto di lavoro pubblico laddove tale bilanciamento riguarda l’interesse della collettività (Cass. 25 gennaio 2006, n. 1396; Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 7945; Cass. 18 febbraio 2009, n. 3896; Cass. 30 marzo 2018, n. 7981; da ultimo, v. Cass. 22 febbraio 2021, n. 4677).
La L. n. 104 del 1992, articolo 33, comma 5, disciplina, in sostanza, uno strumento indiretto di tutela in favore delle persone in condizione di handicap, attraverso l’agevolazione del familiare lavoratore nella scelta della sede ove svolgere l’attività lavorativa al fine di rendere quest’ultima il più possibile compatibile con la funzione solidaristica di assistenza del soggetto invalido, ma non è l’unico strumento posto a tutela della solidarietà assistenziale.
Ne deriva che il diritto di scelta non può ledere le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro e, soprattutto nei casi di rapporto di lavoro pubblico, non può tradursi in un danno per l’interesse della collettività (Cass., S.U., n. 7945 del 2008).
In caso di trasferimento a domanda, l’esigenza familiare è di regola recessiva rispetto a quella di servizio (v. in tal senso v. anche Cass. 14 maggio 2018, n. 11651), essendo, ad esempio, necessario, per scongiurare un danno per la collettività, garantire la copertura e la continuità del servizio stesso, oltre che la stessa funzionalità della sede a quo, piuttosto che valutare l’impatto sulla sede ad quem.
Il presupposto della “vacanza” (peculiarità delle organizzazioni pubbliche, in quanto riflesso delle cd. piante organiche) esprime, dunque, una mera potenzialità, che assurge ad attualità soltanto con la decisione organizzativa della P.A. che deve esprimere l’interesse concreto e attuale di procedere alla copertura del posto, rendendo per tal via disponibile la vacanza, pena la compressione delle esigenze organizzative della P.A. (v. sempre Cass. n. 11651/2018, cit.; Cass. 13 agosto 2021, n. 22885).
In conclusione, la vacanza del posto è condizione necessaria ma non sufficiente: l’Amministrazione resta libera, infatti, di decidere se coprire una data vacanza ovvero privilegiare altre soluzioni e le sue determinazioni devono sempre rispettare i principi costituzionali d’imparzialità e di buon andamento, dovendo rispondere a finalità ed esigenze che prescindono dall’interesse dell’aspirante e che, invece, vanno commisurate anche all’interesse alla corretta gestione della finanza pubblica.
Nel caso in esame, come affermato dalla Corte territoriale, presso gli uffici giudiziari richiesti dal ricorrente a Foggia o a Bari non vi erano posti “disponibili”, ed era oltretutto prevalente, secondo un accertamento di fatto compiuto dal giudice d’appello e, come tale, insindacabile in sede di legittimità, l’interesse dell’Amministrazione a non depotenziare la sede di Roma, dove il ricorrente prestava all’epoca servizio.
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 20523 del 27 giugno 2022
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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