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Trasformazione del part time in full time o viceversa

Il licenziamento motivato dall’esigenza di trasformazione del part time in full time o viceversa va ritenuto ingiustificato perché adottato in violazione dell’art. Come prevede peraltro oggi in continuità con questa tesi la disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 6, comma 8 secondo il quale “il rifiuto del lavoratore di concordare una variazione dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.

Pubblicato il 28 July 2024 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Il licenziamento motivato dall’esigenza di trasformazione del part time in full time o viceversa va ritenuto ingiustificato perché adottato in violazione dell’art. 8,1 comma D.Lgs. 81/2015 (sul tema v. di recente Cass. n. 30093 del 30/10/2023).

Difatti, in materia di lavoro part-time, dalla complessiva regolamentazione stabilita dal Decreto Legislativo n. 61 del 2000 si evince una comune e generale ratio legis nel senso che qualunque mutamento dell’orario di lavoro già concordato formalmente tra le parti – sia il passaggio da part-time a full time o viceversa, sia una variazione della fascia oraria del part-time o l’introduzione di una clausola elastica o flessibile o la richiesta di lavoro supplementare – presuppone l’accordo tra le parti e, dunque, il consenso del lavoratore.

Tanto è previsto esplicitamente dal Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 3, commi 3, 7, 9 e 11 in relazione alle clausole elastiche ed al lavoro supplementare (vedi in particolare comma 11: ” Il rifiuto da parte del lavoratore di stipulare il patto di cui al comma 9 e l’esercizio da parte dello stesso del diritto di ripensamento di cui al comma 10 non possono integrare ” in nessun caso” gli estremi del giustificato motivo di licenziamento).

Inoltre, al Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 5 prevede parimenti che il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in parziale, o viceversa “non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.

Sulla scorta di tale disciplina deve dunque affermarsi che analogo divieto valga anche, a fortiori, per la proposta di diversa distribuzione totale dell’orario di lavoro.

Dal momento che sarebbe irragionevole ipotizzare il contrario, ovvero che sia protetto il rifiuto alla stipula di una clausola flessibile, elastica o alla richiesta di lavoro supplementare e non lo sia invece quello che concerne la variazione totale dell’orario di lavoro part time.

Come prevede peraltro oggi in continuità con questa tesi la disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 6, comma 8 secondo il quale “il rifiuto del lavoratore di concordare una variazione dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.

Ne deriva che il licenziamento intimato a seguito di rifiuto del part time, ancorché ammantato da altre ragioni come il g.m.o. (per asserita crisi aziendale insussistente), va ritenuto ritorsivo in quanto mosso dall’esclusivo e determinante fine di eludere proprio il divieto di cui all’art. 8 D.Lgs. 81/2015 attraverso una ingiusta ed arbitraria reazione a un comportamento legittimo del lavoratore, che attribuisce al licenziamento il connotato della vendetta.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 18547 del 08.07.2024

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