In tema di tutela della lavoratrice madre, la deroga al divieto di licenziamento di cui al Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 54, comma 3, lettera b), dall’inizio della gestazione fino al compimento dell’età di un anno del bambino, opera solo in caso di cessazione dell’intera attività aziendale, sicché, trattandosi di fattispecie normativa di stretta interpretazione, essa non può essere applicata in via estensiva od analogica alle ipotesi di cessazione dell’attività di un singolo reparto dell’azienda, ancorché dotato di autonomia funzionale”(Cass. 22720/2017).
Il quadro normativo, al cui interno va collocata la concreta fattispecie in esame, va riferito, essenzialmente, al Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, articolo 54, decreto contenente il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma della L. 8 marzo 2000, n. 53, articolo 15″.
Tale norma, proveniente, quanto al licenziamento, dalla L. 30 dicembre 1971, n. 1204, articolo 2, dopo aver ribadito, nei commi 1 e 2, il divieto di licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza al compimento di un anno di età del figlio, con le eccezioni di cui al comma 3, tra le quali quella relativa alla “cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta”, contiene al comma 4, una disposizione del seguente tenore:
“Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l’attività dell’azienda o del reparto cui essa è addetta, sempreché il reparto stesso abbia autonomia funzionale.
La lavoratrice non può altresì essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della L. 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni”.
Nel successivo Decreto 23 aprile 2003, n. 115 – emanato ai sensi della Legge Delega 8 marzo 2000, n. 53, articolo 15, comma 3, come modificato dalla L. 16 gennaio 2003, n. 3, articolo 54 (che aveva prorogato fino a due anni l’originario termine di un anno assegnato al Governo dalla L. n. 53 del 2000, articolo 15, comma 3, per procedere all’eventuale emanazione, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al comma 1, di disposizioni correttive del testo unico) -, l’articolo 4, comma 2, ha inserito nel Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 54, comma 4, dopo le ultime parole, le seguenti: “salva l’ipotesi di collocamento in mobilità a seguito della cessazione dell’attività dell’azienda di cui al comma 3, lettera b)”.
Per effetto di tale modifica, il testo dell’articolo 54, comma 4, seconda parte, è divenuto il seguente: “La lavoratrice non può altresì essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della L. 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, salva l’ipotesi di collocamento in mobilità a seguito della cessazione dell’attività dell’azienda di cui al comma 3, lettera b)”.
Tale formulazione richiede di precisare se la cessazione dell’attività dell’azienda possa anche riferirsi al solo reparto presso cui la dipendente prestava la propria attività.
La giurisprudenza di legittimità aveva in precedenza interpretato la locuzione “cessazione dell’attività di azienda” come estensibile alla soppressione di un ramo o reparto del tutto autonomo e salva la prova del repechage (Cass. 21.12.2004 n. 23684, conf. Cass. 8.9.1999 n. 9551), enunciando tale principio nell’ambito di fattispecie regolate dalla L. n. 1204 del 1971.
Questa, seppure all’articolo 2, comma 3, lettera b) conteneva una previsione analoga a quella del Decreto Legislativo 30 dicembre 2001, n. 151, articolo 54, comma 3, lettera b) al comma 4, era priva della specificazione (del divieto di collocamento in mobilità a seguito di licenziamento collettivo, salva l’ipotesi della cessazione dell’attività dell’azienda) introdotta dal legislatore del 2001 in funzione rafforzativa della tutela della lavoratrice madre.
La collocazione di tale previsione dopo quella relativa alla sospensione dal lavoro (“…la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l’attività dell’azienda o del reparto cui essa è addetta, sempreché il reparto stesso abbia autonomia funzionale”) costituisce un’indicazione interpretativa che porta a ritenere che quello che costituiva il parametro comune assunto dalla giurisprudenza per giungere ad assimilare l’ipotesi di cessazione dell’attività di un ramo o reparto autonomo a quella dell’intera azienda, ai fini dell’operatività delle deroga al divieto legale, non sia più validamente richiamabile per le fattispecie regolate (come quella in esame) dal Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e che, dunque, non sia argomentabile l’estensione interpretativa prima sostenuta.
Peraltro, si è opportunamente messo in evidenza che anche nella vigenza della L. n. 1204 del 1971, l’orientamento di legittimità non era univoco.
La sentenza n. 1334 del 1992 aveva infatti affermato che le disposizioni della L. 30 dicembre 1971, n. 1204, articolo 2, che prevedono entro limiti precisi e circoscritti deroghe al generale divieto di licenziamento della lavoratrice madre dall’inizio del periodo di gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino, riferibili a casi in cui l’estinzione del rapporto si presenta come evento straordinario o necessitato, non possono essere interpretate in senso estensivo.
Pertanto la disposizione della lettera b) del citato articolo – che nel periodo suddetto consente al datore di lavoro di recedere dal rapporto nel caso di cessazione dell’attività dell’azienda – non può essere intesa come comprensiva del caso di cessazione dell’attività di un singolo reparto dell’azienda, seppur dotato di autonomia funzionale, atteso che il legislatore ha considerato tale articolazione dell’azienda solo dello stesso articolo 2, u.c., disponendo che nel periodo in cui opera il divieto di licenziamento la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo che sia sospesa l’attività dell’azienda o del reparto al quale la medesima è addetta, sempreché il reparto abbia autonomia funzionale (in tal senso sono state richiamate anche Cass. n. 1334/92; n. 6236 del 1986).
Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 13861 del 20 maggio 2021
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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