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Tutela marchio e concorrenza sleale su piattaforma Ads

Il Tribunale accoglie il ricorso inibendo l’uso di parole chiave confusorie su piattaforma Ads da parte di un’impresa concorrente, configurando tale condotta come concorrenza sleale per sviamento della clientela e appropriazione di pregi altrui.

Pubblicato il 27 December 2024 in Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 2023/2402

TRIBUNALE ORDINARIO di ANCONA SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA

ORDINANZA_TRIBUNALE_DI_ANCONA_- N._R.G._00002402_2023 DEL_02_11_2024 PUBBLICATA_IL_02_11_2024

Nel procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. iscritto al n. r.g. 2402/2023 promosso da (C.F. e P.IVA.:)

, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME RICORRENTE contro (P.IVA: ), rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME RESISTENTE Oggetto: provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c.

Il Giudice dr.ssa NOME COGNOME attesa l’intervenuta sostituzione dell’udienza con il deposito di note scritte ai sensi dell’art. 127 comma terzo c.p.c.;

letti gli atti ed esaminati i documenti di causa;

lette le rispettive note scritte depositate dai procuratori delle parti;

ha reso la seguente Ordinanza ex artt. 127 ter comma terzo c.p.c. e 700 c.p.c. La società depositava ricorso ex art. 700 c.p.c. ante causam contro la chiedendo l’accoglimento delle seguenti testuali conclusioni:

“Voglia in via d’urgenza e in attesa della definizione del giudizio di merito:

– accertare e dichiarare che l’uso da parte della Cooperativa dei segni “RAGIONE_SOCIALE grottammare” ovvero “RAGIONE_SOCIALE grottammare” ovvero ancora “RAGIONE_SOCIALE grottammare” come key -words anche in relazione al servizio AdWords offerto da *** costituisce contraffazione dei diritti di privativa industriale sul marchio registrato di titolarità della Ricorrente, nonché atto di – per l’effetto, inibire alla , ai sensi degli artt. 2599 c.c. e 131, comma 1, del Decreto legislativo, 10/02/2005 n° 30 (Codice della Proprietà Industriale), qualsiasi forma di utilizzo del marchio registrato dalla Ricorrente o di segni ed immagini ad esso simili, in particolare inibendo l’uso dello stesso come keyword anche in relazione al servizio Ads offerto da *** e/o qualsiasi altro operatore web; – fissare, ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c., la somma di denaro dovuta in favore della Ricorrente dalla per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione dell’emanando provvedimento cautelare, determinandone la decorrenza.

Il tutto con vittoria integrale delle competenze di causa, spese di lite, ivi comprese quelle generali nella percentuale del 15% oltre IVA e CAP come per legge”;

A sostegno della invocata cautela la società ricorrente deduceva, in sintesi e per quanto di interesse:

-di gestire un albergo sito in Grottammare (AP), in INDIRIZZO esercitando pure le annesse attività di ristorazione, bar e stabilimento balneare;

-di avere regolarmente registrato il proprio marchio -di tipo misto (vale a dire composto da parole ) ed elementi figurativi (due cigni e tre stelle)- presso il Ministero dello Sviluppo Economico;

– di essere, altresì, titolare, altresì, del domain name www.***.it, creato il 3.11.2000;

– di essersi avveduta, nel mese di febbraio 2023, effettuando una ricerca su internet tramite il motore di ricerca www.***.it e utilizzando le query di ricerca:

RAGIONE_SOCIALE grottammare” ovvero “RAGIONE_SOCIALE grottammare” ovvero ancora “RAGIONE_SOCIALE grottammare”, che il motore di ricerca restituiva, tra i risultati della serp (Search Engine Results Page), alcuni annunci sponsorizzati dell’RAGIONE_SOCIALE, struttura alberghiera situata anch’essa corrente in Grottammare e gestita dalla resistente – che i predetti annunci pubblicitari riportavano, nel titolo ovvero nel corpo dell’inserzione, la ragione sociale della società ricorrente e contenevano un link che rimandava, invece, al sito www.***.com; – che, da specifica ricerca effettuata tramite il proprio consulente, la ricorrente aveva appurato che sul web erano comparsi, in particolare, quattro annunci pubblicati su *** -attraverso il servizio di sponsorizzazione *** ads- nelle date del 15, 16, 17 e 28 marzo 2023;

– che nonostante l’attivazione di una tutela in sede penale, nonché mediante diffida inoltrata a ***, ancora in data 11.4.2023 in esito alla ricerca su *** delle parole chiave “ grottammare” compariva un annuncio sponsorizzato dell’RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO Preziosa.

In conseguenza di quanto rappresentato la ricorrente lamentava l’illecito sfruttamento, da parte della resistente, del segno distintivo di cui la è titolare, per mezzo del servizio di [… [… , c.c. realizzato attraverso l’uso confusorio di segni distintivi atipici ovvero il compimento di atti eseguiti con mezzi di concorrenza confusoria.

La società ricorrente adiva pertanto l’intestato Tribunale al fine di ottenere specifico provvedimento di inibitoria delle predette condotte rassegnando le testuali conclusioni sopra ritrascritte.

Il Giudice designato, ritenuta l’insussistenza dei presupposti per l’emanazione dell’invocata tutela inaudita altera parte, non prospettandosi alcuna situazione di pregiudizio ricollegabile alla previa convocazione della controparte, fissava l’udienza del 13.6.2023 per la comparizione personale delle parti anche al fine dell’esperimento del tentativo di conciliazione, delegando per il relativo incombente il GOP dr.ssa NOME COGNOME

Si costituiva in giudizio la società resistente premettendo di avere immediatamente provveduto a far disattivare gli annunci in contestazione.

Nel merito, la stessa contestava, in ogni caso, le avverse pretese deducendo, in particolare e in estrema sintesi:

-di avere svolto e di svolgere attività di promozione dell’hotel in questione attraverso la piattaforma *** Ads con l’account pubblicitario n. NUMERO_DOCUMENTO attivo dal 2013;

– che tale attività di promozione non veniva svolta in maniera professionale e autonoma bensì mediante l’ausilio di consulenti esterni riferibili al fornitore dei servizi di posizionamento stesso ed affidandosi alle impostazioni e configurazioni software che i consulenti stessi, di volta in volta, adottavano;

– che la presenza ed il posizionamento dell’annuncio non sarebbe dipesa dall’inserzionista, bensì sarebbe stata il frutto di una selezione operata da un algoritmo, di proprietà e sotto il controllo di ***;

– che, in particolare, la configurazione denominata Dynamic Keyword Insertion (DKI) sarebbe risultata attivata all’insaputa della resistente e avrebbe determinato, secondo quanto appurato dal relativo consulente, la generazione degli annunci in contestazione;

La società resistente richiamava, in ogni caso, la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea in tema di keyword advertising evidenziando come, a mente della stessa, l’utilizzo di un segno distintivo come parola chiave, non pregiudica, di per sé, le funzioni del marchio e, come tale, non configura un illecito.

Ribadendo dunque a più riprese la propria buona fede, la società resistente rassegnava le seguenti, testuali, conclusioni:

“…che l’Ill.mo Tribunale adito voglia respingere, in toto, il ricorso promosso dall’ buona fede nonché della condotta tenuta dalla ricorrente nella fase stragiudiziale, compensare tra le parti le spese di lite”.

All’udienza di comparizione le parti chiedevano un breve rinvio al fine di valutare una possibile soluzione conciliativa della vertenza.

Con ordinanza in data 29.8.2023 il GOP delegato, acquisita la disponibilità delle parti alla relativa valutazione, formulava una proposta di definizione ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c. Non essendo stata accettata dalla parte ricorrente la proposta formulata dal GOP, la causa perveniva, infine, per la discussione conclusiva del ricorso all’udienza del 16.4.2024, della quale veniva disposta la sostituzione mediante il deposito di note scritte.

Con le note di trattazione scritta le parti, dato sostanzialmente atto del mancato raggiungimento di un accordo, insistevano per l’accoglimento delle rispettive conclusioni.

Preliminarmente si osserva che risulta circostanza incontestata quella costituita dalla intervenuta rimozione degli annunci in contestazione ad opera della parte resistente, non appena ricevuta la notifica dell’atto introduttivo del presente giudizio.

La difesa della società ricorrente chiede, tuttavia, in via principale, un provvedimento di inibitoria pro futuro e, in via subordinata, la declaratoria di cessata materia del contendere, salva, in tale ipotesi, la liquidazione delle spese in proprio favore secondo il criterio della soccombenza virtuale.

Il Tribunale osserva.

In punto di fatto, la parte ricorrente ha allegato e documentato di essere titolare del marchio figurativo composto dal disegno di due cigni e tre stelle posti sopra la scritta “ registrato in data 3.2.2021, nonché del dominio www.***.it, creato il 3.11.2000 (cfr. docc. 2 e 3 fascicolo ricorrente).

La ricorrente ha ulteriormente allegato e documentato (tramite la consulenza di parte depositata sub doc. n. 7) che dalla ricerca *** sulle locuzioni “RAGIONE_SOCIALE grottammare” ovvero “RAGIONE_SOCIALE grottammare” ovvero ancora “RAGIONE_SOCIALE grottammare”, appare un link pubblicitario che contiene, inter alia, diciture quali:

RAGIONE_SOCIALE grottammare-RAGIONE_SOCIALE%” e, di fatto, reindirizza al sito www.***.com dell’hotel concorrente.

Tale circostanza non è stata in alcun modo contestata dalla parte resistente, la quale, anzi, al punto n. 26 della propria memoria difensiva, ha apertamente spiegato che:

“Quando la ricerca fatta dall’utente di internet restituisce un annuncio sponsorizzato, come quello evidenziato nell’immagine, l’utente stesso può “cliccare” sulla prima linea, in alto, recante il nome e/o indirizzo del sito web dell’autore dell’annuncio oppure sulla seconda riga, contenente il titolo ’ indubitabile che il link pubblicitario utilizzato dalla società resistente riproduce effettivamente il cuore del dominio registrato dalla ricorrente ed in uso alla stessa.

Risulta parimenti pacifico che la società ricorrente e la resistente operano nel medesimo settore, avvalendosi a fini commerciali del web.

Tanto premesso in fatto, si osserva, in punto di diritto:

-che (inter alia) costituisce atto di concorrenza sleale ex art. 2598, comma 1, c.c., l’uso confusorio di segni distintivi atipici ovvero il compimento di atti compiuti con mezzi di concorrenza confusoria;

-che la tutela anticoncorrenziale può essere richiesta ove sussista un rischio di confondibilità;

-che il giudizio di confondibilità verte sul riscontro del pericolo di confusione tra le imprese e/o tra i relativi prodotti:

in altre parole, deve intendersi vietata (per quanto qui rileva) ogni attività che configuri riproduzione di elementi riconducibili all’attività di un imprenditore, che rendano il predetto conoscibile al consumatore;

-che il consumatore di riferimento, rilevante ai fini dell’indicata verifica, soprattutto ove si verta in ipotesi di beni (o servizi) di valore non particolarmente elevato, deve intendersi quello che agisce con i criteri civilistici della media diligenza;

-che tra i segni tutelabili in base alle norme citate rientra anche il domain name che – oltre a costituire strumento tecnico d’indirizzo del World Wide Web – costituisce segno che identifica e contraddistingue il sito mediante il quale l’impresa offre i suoi prodotti;

esso consta di tre elementi, tra cui il Second Level Domain, che costituisce il cuore del dominio;

-che può integrare i profili illeciti in parola anche l’utilizzo di segni distintivi altrui come “parole chiave” per la ricerca in rete, noto come fenomeno del c.d. keyword advertising – sviluppatosi nel corso degli ultimi anni – (cfr. Corte di Giustizia UE, 23.3.2010);

– che la Corte di Giustizia, nella sopra menzionata sentenza, ha sancito che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare ad un concorrente di far apparire, a partire da una parola chiave identica a tale marchio -che il concorrente ha scelto senza il consenso del detto titolare-, la propria pagina web o anche un annuncio all’interno della stessa;

– che, in particolare, secondo la Corte di Giustizia, il titolare del marchio può opporsi all’uso quale parola chiave di un segno identico al suo marchio qualora l’uso stesso possa compromettere una delle funzioni del marchio (sentenze *** Fr. E ***, 23/3/10 in C-236/08 e C-238/08;

sentenza 18 giugno 2009, causa C-487/07, nonché 2 luglio 2010, causa C-558/08, di quest’ultimo, quali quelle consistenti nel garantire la qualità di detto prodotto o servizio, oppure di comunicazione, investimento o pubblicità’ (ibidem, con riferimento alla sentenze già citate e a. nonché RAGIONE_SOCIALE e ***);

– che, infatti, anche nel campo della comunicazione telematica, va tenuto conto della circostanza che un marchio rappresenta spesso, oltre ad un’indicazione di provenienza dei prodotti o dei servizi, uno strumento di strategia commerciale utilizzato, in particolare, a fini pubblicitari o per acquisire una reputazione al fine di rendere fedele il consumatore (cfr. Trib. Milano, 20/11/2015);

che, in relazione alla violazione della fondamentale funzione di indicatore di origine, la Corte ha più volte ribadito che ‘sussiste violazione della funzione di cui trattasi quando l’annuncio non consente o consente soltanto difficilmente all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo (sentenze RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, cit., punti 83 e 84, nonché , cit., punto 34)’; -che, in particolare, il servizio di posizionamento a pagamento fornito dai più comuni motori di ricerca, consente che si collochi un link tra quelli sponsorizzati, con la sostanziale conseguenza di forzare detta ricerca;

ne consegue che l’inserimento di una o più parole chiave nel link pubblicitario, costituenti un segno distintivo altrui, può assumere il carattere d’illecito sotto il duplice profilo della concorrenza sleale ex art. 2598, n. 1 e n. 3, cod. civ., comportando non solo un’indubbia attività confusoria, appropriativa di pregi altrui e, nel complesso, professionalmente scorretta e idonea, per confusione e sviamento della clientela, a danneggiare l’altrui azienda, ma anche una violazione del segno, con un conseguente concreto pericolo di confusione; -che, in ipotesi di attività concorrenziale interferente, il titolare di un diritto di proprietà industriale (quale il domain name) può chiedere che sia disposta l’inibitoria di qualsiasi violazione imminente del suo diritto e del proseguimento o della ripetizione delle violazioni in atto;

-che, alla luce della natura dei diritti violati, la pericolosità del ritardo deve essere considerata insita nelle conseguenze irreversibili che la contraffazione può produrre sul mercato nel tempo necessario a far valere il diritto in via ordinaria (cfr. Trib. (Ord.) Torino, Sez. spec. propr. industr. ed intell., 09/11/2009).

Ed infatti lo sviamento di clientela, che rappresenta il tipico effetto dannoso dell’attività illecita, integra certamente, per costante giurisprudenza, gli estremi del pregiudizio irreparabile ed irreversibile;

l’irreparabilità del danno deriva dall’obiettiva difficoltà di recupero della quota di mercato eventualmente perduta e dall’impossibilità di addivenire nel futuro giudizio di merito ad una esatta quantificazione del pregiudizio patrimoniale arrecato all’immagine ed agli interessi della impresa pregiudicata;

-che, in difetto di prova contraria, poiché gli ulteriori annunci correlati alla parola ricercata sono luce di tutto quanto osservato in fatto e in diritto -e pur nell’ambito della sommarietà che caratterizza la cognizione nell’ambito della presente procedura- il Tribunale ritiene che, nel caso concreto, avuto riguardo ai contenuti degli annunci in contestazione ed allo specifico meccanismo di funzionamento degli stessi, sussista il fumus dedotto dalla ricorrente in relazione al il rischio di confusione e sovrapposizione tra i diversi operatori economici e i servizi dai medesimi offerti e, altresì, il pericolo di un ulteriore possibile sviamento della clientela. Ricorrono, conclusivamente, i presupposti dell’invocata cautela, con riferimento alla necessità di inibire, per il futuro, l’eventuale reiterazione delle descritte condotte illecite.

Quanto alla regolamentazione delle spese di lite, il Tribunale ritiene opportuno operare una parziale compensazione delle stesse (in ragione di un terzo), alla luce della condotta collaborativa tenuta dalla parte resistente, la quale ha provveduto a disporre l’immediata rimozione degli annunci in contestazione;

la relativa liquidazione viene effettuata come da dispositivo (operata la predetta parziale compensazione) in considerazione dei vigenti parametri di legge e in relazione della natura della causa (procedimento cautelare di valore indeterminato e media complessità) nonché dell’attività processuale concretamente svolta (con riduzione al 50% della fase di trattazione/istruttoria).

INIBISCE alla resistente In RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t., la ripetizione e/o il proseguimento delle violazioni accertate e consistenti nella pubblicazione, in ogni sede, di annunci pubblicitari contenenti le locuzioni “RAGIONE_SOCIALE grottammare” ovvero “RAGIONE_SOCIALE grottammare” ovvero ancora “RAGIONE_SOCIALE grottammare e, in ogni caso, segni riferibili al dominio o al marchio figurativo della società ricorrente.

FISSA in euro 500,00 la penalità da pagare in favore di per ogni violazione successivamente constatata al presente provvedimento.

CONDANNA la al pagamento delle spese di lite fase in favore della ricorrente, che liquida in euro 545,00 per spese ed in euro 3.621,32 per compensi, oltre iva, cpa e rimborso spese generali come per legge.

Si comunichi Ancona, 2 novembre 2024 Il Giudice dr.ssa NOME COGNOME

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