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Codice Civile
Codice Penale

Verbali ispettivi, distinzione tra lavoro autonomo e subordinato

La Corte d’Appello ha ribadito che i verbali ispettivi, pur facendo fede fino a querela di falso, non hanno valore probatorio assoluto in merito alla qualificazione del rapporto di lavoro. Spetta all’INPS fornire prove concrete della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, al di là della mera qualificazione formale del contratto. La Corte ha evidenziato l’importanza di valutare elementi concreti come l’eterodirezione, l’inserimento nell’organizzazione aziendale e l’obbligo di orario, al fine di distinguere tra lavoro autonomo e subordinato.

Pubblicato il 08 June 2024 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 84/2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI MILANO SEZIONE LAVORO Composta da Dott.ssa NOME COGNOME Presidente Dott.
NOME COGNOME Consigliere Dott.
NOME COGNOME Giudice Ausiliario – relatore ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._1112_2023_- N._R.G._00000084_2023 DEL_31_01_2024 PUBBLICATA_IL_31_01_2024

nella causa civile di appello avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio n. 18/2022 estensore Dott.ssa NOME COGNOME promossa da RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’Amministratore Unico legale rappresentante dottor (RAGIONE_SOCIALE ), rappresentata e difesa dall’avv. e dall’avv. NOMECOGNOME , elettivamente domiciliata in presso il primo difensore RAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale mandatario di (RAGIONE_SOCIALE ), rappresentato e difeso dall’avv. e dall’avv. ), elettivamente domiciliato in presso l’ dell’Istituto COGNOME

CONCLUSIONI

PER L’APPELLANTE C.F. C.F. C.F. Piaccia
all’Ecc.mo
Signor Presidente e all’Ecc.ma Corte di Appello di Milano, previa nomina del Consigliere relatore:
A) Preliminarmente, stanti i gravi motivi rappresentati in ricorso, disporre la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’appellata sentenza con decreto inaudita altera parte e fissando all’uopo udienza per la conferma del provvedimento di sospensione nel contraddittorio tra le parti ovvero fissando udienza per la discussione dell’istanza di sospensione da adottarsi con ordinanza ed emettendo ogni provvedimento consequenziale;
B) Nel merito, previa fissazione dell’udienza di discussione di cui all’art. 435 c.p.c, in riforma della sentenza impugnata, previa dichiarazione dell’illegittimità dell’Avviso di Addebito, accogliere il presente ricorso e mandare assolta l’odierna appellante da qualunque pretesa di accogliendo le conclusioni di cui al ricorso di primo grado che si ritrascrivono:
dichiarare e accertare l’illegittimità dell’Avviso di Addebito per tutti i motivi esposti in ricorso;
per l’effetto, revocare, annullare e comunque dichiarare illegittimo l’Avviso di Addebito de quo;
per l’effetto dichiarare che nulla è dovuto all’ e/o a chicchessia, nemmeno all’Agente per la riscossione, a titolo di “oneri di riscossione”;
in via subordinata, salvo gravame:
annullare e/o revocare l’Avviso di Addebito opposto per i motivi indicati in ricorso e, nella denegata ipotesi in cui venisse accertata la natura subordinata dei rapporti di lavoro in contestazione, limitare l’eventuale condanna dell’opponente nei limiti di quanto risulterà dovuto all’esito dell’espletanda istruttoria;
C) In ogni caso, con vittoria di spese e onorari di entrambi i gradi del giudizio;
D) In via istruttoria, occorrendo si rinnovano tutte le istanze istruttorie già formulate in primo grado, con i testimoni ivi indicati.

PER L’APPELLATO Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Milano, contrariis rejectis, -dichiarare, in via preliminare, il difetto di legittimazione passiva della poiché i crediti de quibus, essendo successivi al 2008, non hanno formato oggetto di cessione nei confronti della  e ciò in virtù dell’art. 3, comma 42 quinquies D.L. 203/2005, che ha riformato l’art. 13, L. 448/98, sicché la menzionata società di cartolarizzazione è priva di legittimazione passiva in ordine alla presente controversia; -dichiarare, altresì, l’inammissibilità e l’infondatezza, in fatto e diritto dell’avverso atto di appello in uno con tutte le domande in esso contenute anche per difetto di giurisdizione dell’adito Giudice, e tutte le avverse domande, siccome volte a far valere asseriti ed indimostrati vizi dei verbali, intesi come atti amministrativi, ed a richiederne l’annullamento e/o la nullità e/o l’annullamento e/o la revoca e/o l’inefficacia, con conseguente dichiarazione di nullità dell’ legittimamente emesso dall’ , con conferma della Sentenza del Tribunale di Sondrio, n. 18 del , emessa dal Tribunale di Sondrio, in funzione di Giudice del lavoro, nella causa rubricata al numero R.G. 136/2021; -rigettare tutte le domande ex adverso proposte, in quanto in ogni caso infondate in fatto ed in diritto per le ragioni tutte esposte in atti e, per tale effetto, condannare l’opponente al pagamento degli importi tutti libellati nell’avviso di addebito opposto, oltre gli ulteriori importi maturati e maturandi come per legge sino al saldo.
In via subordinata, dichiarare dovuto il diverso, maggiore o minore importo che sarà accertato in corso di causa e condannare l’opponente ad eseguirne il pagamento all’Istituto per il tramite dell’Agente della Riscossione, con gli ulteriori accessori eventualmente dovuti fino al saldo.

In via istruttoria, solo ove Codesta Ecc.ma Corte non ritenesse la causa pronta per la decisione sulla base delle inequivoche e satisfattive risultanze documentali agli atti munite di efficacia probatoria qualificata, si chiede ammettersi prova per testi sulle circostanze seguenti:
1. Vero che la Società esercita attività di laboratorio analisi?
2. Vero che tale attività corrisponde alla stessa attività indicata dall’Agenzia delle Entrate nel certificato di attribuzione della Partita Iva delle lavoratrici
3. Vero che le due lavoratrici avevano sottoscritto numerosi contratti di collaborazione autonoma con la Società, contenenti la durata di inizio e fine contratto, generalmente con cadenza annuale?
4. Vero che le due lavoratrici avevano l’obbligo (da contratto) di svolgere e svolgevano la prestazione di tecnico di laboratorio nell’arco di tempo dalle 8.00 alle 18.00, con un giorno di riposo?
5. Vero che le due lavoratrici avevano l’obbligo (da contratto) di effettuare ed effettuavano una prestazione lavorativa di non meno di 960 ore annuo, pari a 20 ore settimanali, nei fatti sistematicamente superate?
6. Vero che, in merito alle eventuali assenze, le lavoratrici avevano l’obbligo di avvisare la Società e, come tutto il restante personale, a compilare un calendario annuale con indicate le varie esigenze di assenza, successivamente vagliato dall’Amministratore unico della Società, Sig.
7. Vero che la lavoratrice lavorava esclusivamente in monocommittenza, solo per la Società odierna opponente?
8. Vero che le attività svolte dalle due lavoratrici erano completamente speculari a quelle svolte dal dipendente della società Sig. (relativamente al livello di inquadramento, orario di lavoro, mansioni e relative retribuzioni)?
Orga
9. Vero che il Sig. effettuava esattamente lo stesso lavoro delle due lavoratrici
10. Vero che il Sig. aveva le stesse direttive delle due lavoratrici impartite dal Sig.
11. Vero che la lavoratrice Sig.ra effettuava la propria prestazione di lavoro dalle ore 09.00 alle ore 13.00 e dalle ore 15.30 alle ore 18.30 dal lunedì al sabato, con il giorno di riposo la domenica?
12. Vero che la lavoratrice Sig.ra lavorava presso la nella fascia oraria 8.00 – 18.00 per non meno di tre ore e massimo 8 ore al giorno suddiviso su 5 giorni settimanali con giorno di riposo la domenica e ulteriore giorno infrasettimanale variabile?
13. Vero che le due lavoratrici non disponevano di alcuna attrezzatura di servizio di proprietà?
Si indicano a testi l’ispettore dell’ il lavoratore Dott. e le lavoratrici Dott.sse Ammettersi, se del caso, ad interrogatorio formale del legale rappresentante.
Nel caso di ammissione di controparte a prova per testi, cui sin da ora ci si oppone, trattandosi di circostanze già documentate, generiche o irrilevanti, ammettere l’ a prova contraria.
Stessi testi.
Con la condanna dell’appellante alle spese e competenze del presente grado di giudizio.

MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO

Con ricorso al Tribunale di Sondrio in funzione di giudice del lavoro e della previdenza, la ha proposto opposizione avverso l’avviso di addebito n. notificato il con cui l’ intimava il pagamento dell’importo di € 86.223,59 a titolo di contributi previdenziali e somme aggiuntive, relativamente al periodo ed ai rapporti di lavoro intrattenuti dalla con le biologhe Dott.ssa e Dott.ssa.

L’avviso di addebito si fondava su un precedente verbale unico redatto da Ispettori della ITL di , unitamente ai funzionari n. 2019 del chiedeva, previa sospensione dell’esecutività dell’avviso di addebito, di accertare e dichiarare la prescrizione del credito azionato e la nullità o illegittimità dell’avviso di addebito opposto;
di disporne l’annullamento e, per l’effetto, dichiarare non dovute le somme pretese dall’ per il periodo Nel contraddittorio dell’ , il Tribunale di Sondrio ha respinto il ricorso in base all’esame della documentazione prodotta e senza svolgere l’istruttoria orale chiesta da entrambe le parti, compensando le spese di lite.

Il Tribunale ha esaminato la questione riepilogando gli elementi di fatto ed evidenziando le ragioni a fondamento dell’avviso, così come riportate dagli ispettori;
questi avevano riscontravano che le biologhe si occupavano, all’interno del laboratorio di analisi, di svolgere e refertare esami clinici e microbiologici, in forza di vari successivi contratti di collaborazione autonoma a termine, la dal 2017 e la dal 2010.

Venivano altresì acquisiti i vari contratti di collaborazione di uguale contenuto:
tre contratti di collaborazione autonoma per i periodi dal , dal e dal sottoscritti dalla Sig.ra relative fatture mensili emesse a favore di codesta società; sette contratti di collaborazione autonoma per i periodi dal ;
– dal ;
– dal ;
– dal ;
– dal ;
– dal ;
– dal sottoscritti da ;
fatture mensili tutte del medesimo importo;
iscrizione di all’ordine Nazionale dei Biologi dal e all’ (E.N.P.A.B.) dal ; certificazione dell’Agenzia delle Entrate di attribuzione della partita iva.

A seguito di assunzione di dichiarazioni spontanee da parte delle due lavoratrici e da dipendente della società;
gli ispettori rinvenivano la natura subordinata delle prestazioni di lavoro in oggetto.

Le due lavoratrici risultavano inserite nel ciclo produttivo della società, i contratti di collaborazione autonoma indicavano la durata di inizio e di fine contratto, generalmente annuale;
vi era l’obbligo di svolgere la prestazione nell’arco di tempo dalle 8.00 alle 18.00, per sei giorni alla settimana.

La subordinazione, ad avviso del Tribunale, poteva ricavarsi anche dall’analisi delle fatture generiche recanti l’indicazione del mese e sempre del medesimo importo, nonché dal fatto che le lavoratrici – come riferito dalle medesime- dovevano comunicare le assenze dal lavoro ed erano impiegate unicamente dalla società ricorrente.

Gli ispettori identificavano l’attività svolta dalle lavoratrici con quella prevista dal Studi di 1 livello “Tecnico di laboratorio” in regime di subordinazione, con attribuzione del tempo pieno e con imponibile contributivo basato sulla retribuzione piena contrattuale, superiore a quella percepita.

Il Giudice riteneva poi infondata l’eccezione di prescrizione sollevata da parte ricorrente, posto che i crediti conteggiati dagli ispettori venivano accertati a seguito dell’ispezione congiunta iniziata in data e compendiata nel verbale unico di accertamento e notificazione del.

Il termine prescrizionale è stato pertanto interrotto dal primo verbale del nonché dal successivo verbale interlocutorio e dal verbale unico di accertamento e notificazione del , notificato in data Il Tribunale ha anche respinto l’eccezione di nullità del verbale per difetto dei requisiti ex art. 13 d.lgs. n. 124/2004, per cui la competenza per fare valere i vizi dell’atto appartiene al Giudice Amministrativo, posto che si tratta di domanda diretta ad ottenere una pronuncia incidente su provvedimenti rientranti nella sfera esclusiva delle attribuzioni dell’Istituto, quale Ente pubblico gestore delle Assicurazioni Sociali obbligatorie e dei connessi poteri di amministrazione attiva.

Con ricorso depositato il la società ha proposto appello contro la sentenza, con i seguenti motivi.

Con il primo motivo, rubricato Vizio di omessa e/o apodittica e/o insufficiente e/o errata motivazione su elementi e circostanze decisive della controversia:
la natura subordinata dei rapporti di cui è causa e la correttezza dei contributi ex adverso rivendicati; violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., l’appellante censura la sentenza per difetto di motivazione oltre che per erronea valutazione degli elementi in fatto e in diritto in merito alle ritenute caratteristiche del rapporto di lavoro subordinato, non essendo chiaro l’iter logico seguito dal giudicante e non trasparendo alcun accertamento effettivo sulla natura dei rapporti dedotti in giudizio. L’appellante ravvisa in particolare una grave carenza motivazionale laddove il Tribunale ha posto a fondamento della propria decisione tutte le affermazioni (anche quelle meramente valutative) contenute nel verbale ispettivo, senza sottoporle a vaglio critico in base ai motivi di opposizione.

Con il secondo motivo di gravame (Erronea valutazione dell’efficacia probatoria del Verbale Unico di Accertamento e mancato svolgimento dell’istruttoria – violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2699 e 2700 c.p.c.) parte appellante insiste -sotto diverso profilo in diritto- sull’erroneo convincimento del primo Giudice in merito alle risultanze contenute nel verbale, avendo il Tribunale implicitamente operato un’illegittima inversione dell’onere della prova, che invece gravava interamente sull’Istituto, in ossequio ai principi generali. Inoltre, ad avviso di parte appellante, non sarebbe stato osservato il principio giurisprudenziale secondo il quale, per quanto concerne la verità di dichiarazioni rese da terzi al pubblico ufficiale, la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio precostituito, neppure di presunzione semplice, ma il materiale raccolto dal verbalizzante deve essere liberamente apprezzato dal Giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova, senza tuttavia attribuire ad esso il valore di vero e proprio accertamento. Comunque, il Tribunale ha immotivatamente escluso l’istruttoria orale sulla quale in ipotesi l’appellante insiste, pure precisando che l’onere probatorio, appunto, grava sulla controparte.

Con il terzo motivo (omesso esame e valutazione di prove documentali decisive) l’appellante ritiene viziata la sentenza anche nella parte in cui non ha considerato la decisiva documentazione prodotta dalla società opponente.
aveva infatti allegato ai ricorsi in opposizione una serie di documenti – totalmente trascurati dal primo Giudice – ( certificati di abilitazione alla professione e di iscrizione all’ordine dei biologi, certificati di iscrizione all’ente previdenziale , fatture emesse che indicavano, dalla numerazione non consecutiva, la circostanza che le biologhe non lavoravano esclusivamente per la ) , che di per sé soli dimostravano l’infondatezza dell’avviso di addebito opposto, in quanto significativi di una prestazione professionale autenticamente resa in regime di autonomia. Con il quarto motivo di appello viene denunciata errata qualificazione dei rapporti di collaborazione esistenti per assenza dei presupposti del lavoro subordinato.

Parte appellante ritiene che il Giudice non abbia neppure correttamente valutato il verbale ispettivo, omettendo l’esame dei documenti ivi allegati e procedendo alla riqualificazione dei rapporti di lavoro sulla base delle sole valutazioni contenute nel verbale;
le verbalizzazioni e i relativi documenti invece, ove correttamente interpretati, avrebbero portato a risultati opposti a quelli raggiunti dagli ispettori.

In questo punto l’appellante ripropone la questione dell’accertamento della subordinazione.

Il Tribunale avrebbe dovuto prendere in considerazione la volontà delle parti al momento dell’instaurazione del rapporto e quindi valutare le modalità di svolgimento delle prestazioni e dunque prendere in considerazione la sussistenza della direzione e la soggezione al potere gerarchico e disciplinare.

Avrebbe poi dovuto soffermarsi sui presupposti del rapporto di lavoro autonomo, ossia la collaborazione;
il rischio;
l’oggetto della prestazione.

Con riferimento alla eterodirezione, l’appellante ritiene insussistenti gli elementi essenziali di fatto, ovvero l’assoggettamento delle lavoratrici agli ordini puntuali e specifici del datore di lavoro.

Con il quinto motivo viene denunciata l’erronea applicazione delle norme in materia di prescrizione dei crediti previdenziali (art. 3, comma 9, della Legge n. 335).

Circa l’eccezione di prescrizione estintiva sollevata dalla Società in primo grado, l’appellante ritiene che il Giudice si sia posto in contrasto con le norme di legge in materia di prescrizione (ossia l’art. 3, comma 9, della Legge n. 335), ma anche con i messaggi diramati dello stesso materia (messaggio n. 10922/1996, circolare n. 55/2000 e messaggio n. 8447 del 2012).

Tali messaggi espressamente affermano che, affinché un atto interruttivo sia valido, è necessario che contenga la quantificazione del credito o, comunque, l’indicazione di tutti gli elementi che consentono al debitore di pervenire alla sua quantificazione (indicazione del periodo, delle giornate e dei minimali contributivi previsti, nonché l’indicazione che i contributi e le sanzioni sarebbero stati richiesti dall’ufficio riscossioni contributi di sede).

Pertanto, non è possibile attribuire valore interruttivo della prescrizione ai verbali interlocutori, ma soltanto all’atto finale che è stato notificato il per cui sarebbero prescritte quanto meno le pretese anteriori al Con il sesto motivo parte appellante rileva l’errata applicazione da parte del Giudice di primo grado delle norme e dei principi di diritto relativi alla ripartizione della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo e rammenta che la giurisprudenza lavoristica ha preso in esame anche la legittimità della pretesa impositiva degli enti, verificando anche la completezza e correttezza formale degli accertamenti svolti. Con il settimo motivo di gravame la società denuncia omessa ed errata motivazione circa l’asserita correttezza dei calcoli dei contributi e somme aggiuntive.

Con riferimento all’eccezione sollevata in via subordinata dalla in merito al fatto che gli importi pretesi dall’ a titolo di contributi e somme aggiuntive non sarebbero interamente dovuti, il Giudice, ad avviso di parte appellante, non ha fornito opportune motivazioni limitandosi a statuire che appaiono “corretti i calcoli dei contributi omessi” senza nulla aggiungere circa l’eccezione sollevata da per cui, a tutto voler concedere, dalla stessa lettura dei contratti e delle dichiarazioni rese agli Ispettori (anche dalle stesse professioniste) emerge incontrovertibilmente che l’impegno dalle medesime dedicato alla non fosse in ogni caso a tempo pieno, motivo per cui nel ricorso in opposizione è stata contestata, in via subordinata, anche la riqualificazione dei rapporti con “orario di lavoro a tempo pieno”. Sempre in via subordinata, con l’ottavo motivo viene lamentata omessa pronuncia circa l’eccezione di non debenza delle sanzioni civili e somme aggiuntive ex art. 116, comma della L. n. 388/2000 e in ogni caso sull’errata interpretazione di tale previsione (violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. dell’art. 116 della L. n. 388/2000).

Si è costituito anche per con memoria difensiva del.

La parte appellata, in via preliminare, ritiene insussistente la legittimazione passiva di e insiste per il difetto di giurisdizione in relazione agli asseriti vizi dei verbali, intesi come atti amministrativi.

Chiede comunque di condannare l’opponente al pagamento degli importi contenuti nell’avviso di addebito opposto, oltre gli ulteriori importi maturati e maturandi come per legge sino al saldo.

L’appellato ripercorre la motivazione della sentenza come sopra già riassunta, dandone una lettura opposta a quella dell’appellante:
riporta le dichiarazioni spontanee raccolte dagli ispettori, le quali a suo avviso dimostrano la fondatezza del verbale, nel senso della sussistenza della prestazione di lavoro a tempo pieno con le caratteristiche della subordinazione, sicché è stata correttamente addebitata a contribuzione basata sul CCNL di riferimento per la mansione svolta, poiché la società non ha corrisposto alcun contributo previdenziale.

insiste in ipotesi per le prove orali come riportate nelle conclusioni in epigrafe.

All’udienza del l’appellante ha rinunciato alla istanza di sospensiva e, a seguito di discussione orale, con ordinanza resa alla medesima udienza il Collegio ha ammesso istruttoria testimoniale, esperita alle udienze del.

All’udienza del la causa è stata discussa e decisa come da dispositivo riportato in calce.

*** Preliminarmente occorre rilevare che il ricorso introduttivo del giudizio è stato notificato anche a ma non è stata rassegnata alcuna conclusione autonoma nei confronti di tale ente, per il quale opera quale mandatario;
il Tribunale, del resto, non si è pronunciato in merito all’eccezione di carenza di legittimazione passiva della già sollevata in primo grado, per cui , nella sua qualità, avrebbe dovuto proporre appello incidentale qualora avesse inteso ottenere per una pronuncia di riforma della sentenza con l’espresso accoglimento dell’eccezione preliminare.

Ciò premesso, i primi quattro motivi di gravame, esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati nei limiti e termini di cui appresso.

Il Collegio ritiene che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, né la documentazione né le dichiarazioni spontanee raccolte siano sufficienti per la conferma delle conclusioni del verbale ispettivo.

Va premesso che, per costante giurisprudenza di legittimità, grava sull’ la prova della qualificazione del rapporto di lavoro in senso difforme dalla volontà delle parti e ciò anche nel caso in cui la parte privata sia formalmente attore in giudizio (cfr. Cass. 12018/2010, Cass. 22862/2010 e successive conformi).

In secondo luogo, è parimenti affermazione costante in giurisprudenza di legittimità quella secondo cui i verbali ispettivi fanno fede fino a querela di falso unicamente con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale nella relazione ispettiva come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti o conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, nonché con riguardo alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti;
la fede privilegiata di detti accertamenti non è, per converso, estesa agli apprezzamenti in essi contenuti, né ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno notizia da altre persone o a quelli che si assumono veri in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche.

Ne consegue che le valutazioni conclusive rese nelle relazioni ispettive costituiscono elementi di convincimento con i quali il giudice deve criticamente confrontarsi, non potendoli recepire aprioristicamente (tra molte, Cass. n. 13679 del 2018;
n. 22862 del 2010).

Quindi, mentre i documenti in questione sono assistiti da fede privilegiata nei limiti suindicati, per le altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino di avere accertato (ad esempio, per le dichiarazioni provenienti da terzi, quali i lavoratori, rese agli ispettori) il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie raccolte o richieste dalle parti (tra molte, Cass. n. 9251 del 2010). (Cass. n. 15638/2020) In conformità a tale orientamento, al fine di valutare l’attendibilità del verbale è necessario che vi sia un raffronto con altro materiale istruttorio, per cui le prove richieste dalle parti, quando rilevanti ed ammissibili devono essere ammesse.

I documenti versati in atti non provano l’effettiva natura subordinata del rapporto di lavoro:
si tratta di contratti di collaborazione autonoma prestata da professionisti iscritti obbligatoriamente ad un albo ed all’ente previdenziale relativo.

Non costituiscono elementi decisivi né la durata predeterminata del contratto né la previsione di un compenso forfettario;
inoltre, i contratti non prevedono un orario di lavoro, ma soltanto che la prestazione debba essere resa entro una fascia oraria predefinita che è quella dell’apertura del laboratorio di analisi.

Risulta peraltro che il monte ore annuale indicativo (960 ore) previsto dai contratti e sulla base del quale è determinato il compenso, non è compatibile con un orario lavorativo pieno ma tutt’al più con un orario di 3-4 al giorno.

Né risulta dirimente la circostanza che la prestazione dovesse essere svolta nei locali e con le attrezzature della società, data anche la peculiarità della prestazione.

Si tratta di elementi non decisivi, dovendo invece indagarsi in merito alla c.d. eterodirezione, il tutto secondo la ormai consolidata giurisprudenza di legittimità.

Il Collegio ha ritenuto quindi necessario ammettere la prova testimoniale al fine della dimostrazione dell’assoggettamento delle biologhe al potere direttivo, conformativo e di controllo del datore di lavoro, in questo caso rappresentato dal Dott. La Dott.ssa COGNOME , fra l’altro, ha dichiarato <COGNOME aveva anche una collaborazione con il Centro Clinico Valtellinese che era nello stesso stabile (…) la Dottoressa COGNOME 2 giorni a settimana lavorava presso il Centro Clinico V altellinese an alizzando i c ampioni, ma es sendo n ello stes so edificio si organ izzava come voleva alternandosi fra le due attività. Il nostro lavoro era organizzato prevalentemente al mattino dalle 9 fino alle 12.00/13.00 e in base alle necessità, al pomeriggio.

Il lavoro doveva essere terminato in giornata con la refertazione.

Preciso che nella mattina dalle 7,30 altro personale effettuava i prelievi dei campioni che poi ci venivano passati.
(..) Avevo un orario funzionale allo svolgimento del lavoro:
dalle 9.00 alle 12.00/13.00 e occorrendo anche nel pomeriggio.
Se il lavoro si protraeva e avevo un impegno e non potevo rimanere mi mettevo d’accordo con la COGNOME o COGNOME.
Preciso che il tecnico aveva un orario fisso al mattino e si occupava della strumentazione e non tornava il pomeriggio salvo imprevisti.
Io lavoravo dal lunedì al sabato e quando il Dott. COGNOME era in ferie, il che capitava raramente, anche la domenica.
Anche la Dott.ssa COGNOME lavorava dal lunedì al sabato.
Il laboratorio chiudeva la settimana di ferragosto e i giorni festivi.
Se capitava una malattia io telefonavo al Dott. COGNOME o alla Dott.ssa COGNOME avvisando che non sarei venuta e per le ferie ci organizzavamo in modo che tutto il lavoro fosse coperto nel senso che il lavoro di chi era assente veniva fatto da qualcun altro.
Sub 6 memoria.
Noi avevamo un calendario appeso in cui segnavamo i giorni che volevamo prendersi di ferie, con un notevole preavviso e prima di segnare ci mettevamo d’accordo con gli altri.
Non mi è mai stato negato un giorno di ferie.
Per quanto ricordi anche per la Dott.ssa COGNOME era la stessa cosa.
Sub 11 memoria.
Per quanto riguarda l’orario del pomeriggio tornavo tutti i giorni tra le 15.00 e le 15,30 (abitavo molto vicino) e mi trattenevo a volte un’ora a volte di più, in base al lavoro che c’era da fare o che arrivava nel pomeriggio.
In genere io chiedevo alle impiegate se c’erano da fare altri campioni e mi regolavo in base ai medici che c’erano e l’attività del medico (se ad es. c’era il ginecologo mi capitava che aspettavo fino alle 17,30/18,00).
Preciso che tornavo sempre nel pomeriggio a meno che non avessi altro impegno per cui però avvisavo prima.
Anche la Dott.ssa COGNOME tornava nel pomeriggio.
Più o meno l’or ario della COGNOME era lo stesso mio.
>> La dott.ssa COGNOME ha dichiarato < Ho un rapporto di tipo libero professionale con un contratto.
Sub 58 Avevo anche una collaborazione con un altro centro per la PMA (procreazione medicalmente assistita).
Nel 2016-2017 i due centri erano distanti 2/3 km poi e tutt’ora sono allo stesso indirizzo.
Per la PMA dovevo prendere accordi con il ginecologo con un anticipo di 48 ore circa, questo a seconda della richiesta che veniva fatta dalla paziente.
Per quanto riguarda la parte diagnostica mi organizzavo da sola, tenendo conto dell’impegno con Multilab.
NOME Arrivavo generalmente verso le 10.00, quando era finita la raccolta dei campioni e mi trattenevo fino a che non era finita la refertazione dei campioni (potevano essere le 13.00, 14.00 o 15.00 il lavoro del giorno doveva essere finito).
ADR La dott.ssa COGNOME veniva al mattino e andava via verso le 12,30 per ritornare nel pomeriggio.
Non era strettamente necessaria la sua presenza nel pomeriggio.
Io invece venivo la mattina e mi trattenevo senza interruzioni fino al termine del lavoro.
Io ho sempre lavorato come era più comodo per me, non ho mai avuto indicazioni di orario.
NOME L’attività del laboratorio si svolge dal lunedì al sabato al pubblico mentre l’attività domenicale era svota soltanto dal Campanella.
Io generalmente ho lavorato 5 giorni nel senso che mentre il sabato la mattina lavoravo in RAGIONE_SOCIALE e il pomeriggio alla PMA, per quanto riguarda i rimanenti giorni io decidevo all’inizio della settimana il giorno in cui non avrei lavorato per la .
Io comunque avvertivo prima in riferimento ai giorni in cui non ci sarei stata.
Contr Preciso che appeso al muro c’era un calendario dove principalmente NOME COGNOME e il tecnico COGNOME scrivevano i giorni in cui sarebbero stati assenti.
Questo lo facevamo anche noi, nel senso che se non c’era Campanella ci dovevamo essere o io o la COGNOME.
ADR Eravamo dentro un poliambulatorio che chiudeva nelle festività comandate, nei ponti e a ferragosto.
Non avevamo altre chiusure.
Facevamo le ferie alternandoci fra noi.
NOME (..) Se io un giorno non volevo andare a lavorare, non andavo.
Immagino anche la.
Avevamo un rapporto che prevedeva un compenso annuale.
Se cambiavano le mansioni e/o le responsabilità e/o gli importi l’accordo veniva riscritto.
Facevamo fatture mensili al laboratorio.
>> Il teste NOME COGNOME ha dichiarato Sul capitolo 58:
<COGNOME aveva anche altri lavori nel ramo sanitario, gli orari li faceva a sua discrezione, dato che prestava servizio anche in altre strutture, doveva organizzarsi anche con quelle.
La prestazione era giornaliera in genere arrivava fra le 9,30 e le 10,30.
Io entravo al lavoro dalle 8,45 alle 9,00 perché dovevo avviare tutta la strumentazione, uscivo alle 13,00 e non so dire esattamente che cosa facesse la Dott.ssa COGNOME al pomeriggio.
La Dott.ssa COGNOME poteva anche allontanarsi durante la mattina per andare verso la Multiclinica a fare altre prestazioni.
Sul cap. 64 È vero si organizzavano il lavoro autonomamente.
La Dott.ssa NOME COGNOME era addetta al reparto Microbiologia, era responsabile del reparto, ogni tanto veniva il Dott. NOME COGNOME a controllare.
La Dott.ssa COGNOME e ra addetta al reparto ele tt roforesi e chimic a clinica.
Entrambe firmavano le analisi che facevo io.
Io svolgevo fisicamente gli esami, non potendo firmare firmavano o la Dott.ssa COGNOME o la B allabio o il Dott. COGNOME
La firma era per convalidare le analisi di laboratorio svolte.
Interrogato sul cap. 65 riferisce:
una persona laureata in laboratorio ci doveva essere sempre per validare le analisi.
Questo poteva avvenire comunque durante la giornata.
Il laboratorio consegnava fino alle 17.00/18.00.
Io lavoravo dal lunedì al sabato.
La mattina, salvo altri impegni le dottoresse erano sempre presenti.
Interrogato sul cap. 71 riferisce:
autorizzazioni non c’erano ,nemmeno per me.
Veniva concordato tra di noi quando uno voleva andare in ferie.
Non c’era un piano ferie.
Quando io prendevo ferie mi sostituivano le Dottoresse nel fare gli esami.
Ad agosto ultimamente si chiudeva una settimana, non ricordo quanto a periodi meno recenti.
Interrogato sul capitolo 6 della memoria difensiva di primo grado:
c’era un calendario annuale.
Segnavamo quando uno non c’era.
Anche io utilizzavo questo calendario per segnare le assenze e anche le malattie.
Il calendario veniva letto da tutti per organizzarsi nelle presenze.
Non è mai capitato di trovarsi in disaccordo perché almeno uno si rendeva sempre disponibile in quanto c’era molta collaborazione.
Interrogato sul capitolo 11 della memoria difensiva di primo grado:
confermo che Ballabio lavorava dal lunedì al sabato ma non aveva l’orario 9.00-13.00 dato che poteva arrivare anche più tardi se aveva altro da fare.
Non mi risulta che si lavorasse la domenica.
Capitava che la domenica andassero (sia le Dottoresse che il Dott. COGNOME, anzi era quasi sempre il Dott. COGNOME che andava) per terminare delle analisi.
>> La teste NOME COGNOME ha dichiarato:
<COGNOME e COGNOME entravano a lavorare la mattina ad orari variabili 9.00/10.00 anche più tardi.
Capitava che la Dott.ssa COGNOME si assentasse durante la mattinata.
Io terminavo alle 13.00.
Io prima facevo 4 ore, dopo il periodo RAGIONE_SOCIALE ne faccio 6. Lavoro dal lunedì al venerdì.
La Dott.ssa COGNOME collaborava con un medico, nello stabile c’è una parte adibita a laboratorio e una parte a studi medici.
Per quanto riguarda la Ballabio non so dire.
Interrogata sul capitolo 64 del ricorso di primo grado riferisce:
le Dott.sse facevano il lavoro che c’era da fare nel senso che sapevano da sole cosa fare.
ADR non sono in grado di dire esattamente l’orario di uscita delle dott.sse, ma non c’era un orario fisso, io ero nell’ufficio in fondo al laboratorio e se una persona andava via e non salutava non me ne accorgevo.
Interrogata sul capitolo 71 del ricorso in primo grado riferisce:
non ricordo di avere mai sentito chiedere il permesso di allontanarsi alle Dott.sse.
Quando si allontanavano lo comunicavano al Dott. COGNOME quando c’era lui.
Interrogata sul capitolo 6 della memoria difensiva di primo grado riferisce:
c’era un tabellone con i giorni dove venivano segnate le assenze.
Non ricordo se anche io segnavo le assenze.
Chiedevo al Dott. COGNOME il permesso per potere stare a casa e anche per potere andare in ferie.
(…) Interrogata sul capitolo 11 della memoria difensiva di primo grado riferisce:
per il pomeriggio non posso sapere.
Quanto alla mattina non so a che ora arrivasse e andasse via.
La Dott.ssa COGNOME era presente durante la mattinata e l’orario poteva variare.
La prestazione delle due dott.sse poteva essere diversa sia in entrata che in uscita a seconda del lavoro da fare.
Quando era finito il lavoro andavano via.
Non so se ritornassero il pomeriggio.
ADR avv. COGNOME la durata del lavoro poteva variare ma non era mai inferiore a 2/3 ore, dipendeva dalla mole di lavoro.
>>

Il Collegio osserva che le dichiarazioni rese dai testimoni non indirizzano univocamente verso la sussistenza delle caratteristiche della subordinazione.

Anche se la qualificazione giuridica data dalle parti al rapporto non è decisiva, il dato non è del tutto neutro anche considerando che le due professioniste non hanno svolto alcuna contestazione ed anzi la Dott.ssa ha confermato che si trattava di un rapporto di libera professione convenzionata disciplinata dalle relative clausole contrattuali.

La giurisprudenza di legittimità insegna che il dato contrattuale può essere rilevante in concorso con altri validi elementi differenziali oppure nel caso di non concludenza degli altri elementi di valutazione (cfr. sul punto Cass. 21565/2017, Cass. 1717/2019, Cass. 15922/2020).

Nella presente fattispecie per la Dott.ssa e per la Dottoressa (professioniste iscritte obbligatoriamente nel relativo albo professionale e quindi escluse dall’applicazione dell’art. 2 del Dlgs.
81/2015) risultano rispettivamente sette contratti e tre contratti di collaborazione, per cui la qualificazione del rapporto è stata più volte reiterata nel tempo in senso difforme da quanto poi ritenuto dagli ispettori verbalizzanti.

Di talché, gli elementi di contrasto con la qualificazione giuridica avrebbero dovuto essere specifici e univoci, cosa che non pare affatto dal compendio testimoniale sopra riportato.

È infatti emerso in modo certo che le due biologhe non erano tenute ad osservare un orario di lavoro fisso, tanto che esse potevano anche assentarsi durante la mattinata (in particolare la svolgeva contemporaneamente un’altra collaborazione nel medesimo edificio).

Né vi era un controllo vero e proprio da parte del Dott. sul lavoro delle medesime, le quali agivano in totale autonomia per realizzare lo scopo dell’attività ovvero l’esecuzione delle analisi di laboratorio;
mancavano quindi disposizioni specifiche e quanto alle assenze dal lavoro non è emerso che vi fosse un obbligo di giustificazione, così come non sussisteva un obbligo di chiedere le ferie ed i permessi al Dott. poiché le due potevano organizzarsi fra di loro.

Il coordinamento fra le varie risorse e l’inserimento nella struttura sono del tutto compatibili con un rapporto di tipo professionale convenzionato, secondo uno schema del tutto comune nelle professioni sanitarie.

In definitiva, non è stata adeguatamente provata la sussistenza di rapporti di lavoro di natura subordinata fra la RAGIONE_SOCIALE e le due biologhe, con il che viene meno il presupposto dell’imposizione contributiva contenuta nell’avviso di addebito impugnato.

Gli ulteriori motivi di gravame risultano assorbiti dell’accoglimento dei primi quattro motivi.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in base al valore della controversia ai sensi del DM 55/2014 e successive modifiche -tenendo conto che in appello è stata svolta attività istruttoria- in euro 4.000,00 per il primo grado ed euro 7.000,00 per l’appello, oltre spese generali e oneri di legge.

In riforma della sentenza del Tribunale di Sondrio n. 18/2022, dichiara che nulla è dovuto da per l’avviso di addebito n. Condanna a rifondere a le spese di lite del doppio grado di giudizio liquidate in complessivi euro 11.000,00 oltre spese generali e oneri di legge.
Milano, Il Giudice NOME relatore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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