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Codice Civile
Codice Penale

Violazione distanze tra edifici e responsabilità

Il mancato rispetto delle distanze legali tra edifici comporta l’obbligo di rimuovere le opere abusive. Il direttore dei lavori è responsabile anche se la violazione è successiva alla progettazione, se non ha vigilato correttamente. La polizza assicurativa è inefficace se l’assicurato non dichiara, al momento della stipula, la presenza di violazioni.

Pubblicato il 28 October 2024 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI BARI SEZIONE III

CIVILE

Il Tribunale, in composizione monocratica, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA N._4033_2024_- N._R.G._91000068_2012 DEL_02_10_2024 PUBBLICATA_IL_02_10_2024

nella causa civile di I grado iscritta al n. 91000068/2012 R.G.,

avente ad oggetto “diritti reali”, promossa da: , con il patrocinio degli Avv.ti NOME COGNOME e Attrici contro , con il patrocinio dell’Avv. NOME COGNOME Convenuti contro , con il patrocinio dell’Avv. NOME COGNOME COGNOME chiamato nonché contro (già , in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell’Avv. NOME COGNOME Terzo chiamato

Conclusioni:

come da note depositate per l’udienza del 2.10.2024 – sostituita dal deposito di note di trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c. – quivi da intendersi integralmente trascritte.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Si procede alla redazione della presente sentenza senza la parte sullo svolgimento del processo ai sensi dell’art. 45 c. 17 L. n. 69/2009.

Nei limiti di quanto rileva ai fini della decisione (cfr. il combinato disposto degli artt. 132 c. 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), le posizioni delle parti possono riepilogarsi come segue.

Con atto di citazione notificato il 26.1.2012 ha convenuto in giudizio per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni:

“a) Accertare e dichiarare l’illegittimità della costruzione di proprietà dei convenuti sita in Gioia del Colle alla INDIRIZZO, oggetto del Permesso di costruire n.139/2006 rilasciato dal Comune di Gioia del Colle, per i motivi suindicati, e con speciale riferimento alla violazione dei limiti imposti dall’art. 9 del D.M. 2.4.1968 in tema di distanze tra costruzioni;

b) Conseguentemente ordinare ai convenuti, in solido, di demolire, ovvero, in subordine, di regolarizzare anche mediante arretramento, le costruzioni di loro proprietà sino alla distanza di INDIRIZZO.

10 dal confine delle costruzioni della sig.ra ;

c) Condannare, pure in solido tra di loro, i convenuti al risarcimento dei danni subiti dalla odierna attrice, nella misura che risulterà dovuta in corso di causa, ove occorre liquidandola in via equitativa;

d) Condannare, inoltre, i convenuti in solito tra di loro al pagamento delle spese, diritti ed onorari di causa, r.s.g. contributo integrativo ed iva compresi”.

A fondamento della domanda, l’attrice ha dedotto di essere proprietaria di una vasta zona di fabbricati urbani siti in Gioia del Colle alla INDIRIZZO distinta in catasto al f. 44, p.lla 124, sub 3, separata sul lato est da una stradina privata sulla quale fronteggiano le proprietà di , composte da un piano terra e un primo piano, quest’ultimo oggetto di sopraelevazione, in forza di un permesso di costruire n. 139/2006.

L’attrice ha rappresentato l’illegittimità dell’intervento edilizio, oggetto del p.d.c. n. 139/2006, sulla base dei seguenti motivi:

a) il lotto di proprietà dei convenuti ricade in una zona a vincolo speciale tipizzata “zona ferrovia” (art. 30 delle N.T.A. del P.R.G. del comune di Gioia del Colle) e non in zona F7 “autoporto a servizio scalo merci” (art. 28 delle N.T.A.), come erroneamente riportato in progetto;

di conseguenza, in detta zona non poteva realizzarsi alcun manufatto di nuova costruzione o di completamento, in quanto sono consentite solo attrezzature pertinenti alle suddette attività;

inoltre, pur volendo considerare che l’intervento ricada in zona F7, il completamento di un fabbricato per civile abitazione non sarebbe possibile, in quanto tale zona è destinata essenzialmente a parcheggi ed attrezzature di carico e scarico connesse con il contiguo parco merci (art. 28 delle N.T.A.);

b) la sopraelevazione a completamento del fabbricato comporta un aumento dell’altezza complessiva dell’immobile da mt 6,46 a mt 9.91, per cui, pur volendo considerare che la zona rientri in quelle tipizzate F7, l’altezza massima considerata dal P.R.G. per tale zona è di mt 7;

c) i locali a piano terra, ad uso artigianale (auto-carrozzeria) sviluppano una superficie di mq 112,72 e la volumetria assentibile in base alla L. n. 122/89 (ai sensi dell’art. 2 l’area riservata a parcheggio non deve essere inferiore a 1 mq ogni 10 metri cubi di costruito)

deve essere al massimo di mc 1.127,20, mentre nella specie è di mc 1.363,88 (superiore di 236,88 mc);

d) la costruzione viola il disposto di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, secondo cui le distanze minime tra edifici devono essere almeno mt 10,00, mentre nella specie l’ampliamento al primo piano è stato realizzato a distanza di mt 9,10 dal fabbricato di proprietà della si sono costituiti in giudizio il 12.4.2012, contestando le avverse difese e pretese, all’uopo deducendo che:

– come rilevato con sentenza del Tar Puglia Bari n. 137/2009, l’art. 30 delle N.T.A. non può essere richiamato nel caso di specie, atteso che trattasi di immobile realizzato in epoca precedente al 1942, perciò insensibile alle prescrizioni urbanistiche sopravvenute;

– le opere di completamento non hanno comportato un aumento di volumetria, e comunque, il fabbricato è ad oltre 30 metri di distanza dal binario più vicino che rappresenta la “zona di rispetto” per le ferrovie;

– l’altezza del fabbricato va calcolata secondo l’art. 5 comma 12 N.T.A., pertanto è pari a mt. 8.55 e non viola alcuna norma edilizia del P.R.G. in quanto per le zone ferroviarie non è prescritto alcun limite per l’altezza massima dei fabbricati;

– quanto alla violazione delle distanze, il nuovo corpo di fabbrica è posizionato ad una distanza dal confine di mt. 7.95 (per la maggior parte) e di mt. 6.75 (per un piccolo tratto), rispettando la distanza dal confine;

era insussistente la violazione dei limiti delle distanze di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 in quanto:

nella zona prospiciente la sopraelevazione de qua la parete della Sig.ra non è finestrata, di conseguenza risulta inapplicabile detta norma;

l’attrice non ha tenuto conto della presenza di una strada, prevista dal P.R.G., tra la costruzione e la costruzione dei convenuti, per la quale sottoscriveva il 29.3.1993 atto d’obbligo in favore del , trovando quindi applicazione la distanza prescritta dal comma 2 art. 9 del D.M. n. 1444/1968, rispettata nel caso de quo;

stando all’interpretazione delle N.T.A., in caso di strada comunale tra due fabbricati, occorre rispettare solo il rapporto di 2/1 tra altezza dell’edificio e la distanza dall’asse della strada;

è stato acquisito per usucapione ventennale il diritto di tenere a minore distanza il fabbricato ed il sovrastante terrazzo a livello di primo piano, poiché già preesistenti sin dal 1965;

poiché è distante dal confine meno di 5 mt non può pretendere, in applicazione del principio di prevenzione, che allontani dal fabbricato dell’attrice di 10 mt, non potendo essere leso il proprio diritto di utilizzare l’edificazione del proprio fondo in misura pari a quella del suo vicino.

Inoltre, i convenuti hanno dedotto che la richiesta di risarcimento dei danni era infondata, in quanto non provata.

Ciò esposto, hanno concluso chiedendo, previa chiamata in causa del geom. in qualità di direttore dei lavori:

il rigetto delle domande attoree in quanto inammissibili, infondate e non provate;

in via gradata, di condannare sia l’attrice che i convenuti a chiudere le aperture interessate dalla dedotta violazione dell’art. 9 del D.M. 1444/68;

di condannare il terzo, in caso di accoglimento anche parziale delle richieste attoree, a garantire e manlevare i convenuti da tutti i danni derivati e derivanti;

di condannare l’attrice e in subordine il terzo, al pagamento delle spese, oneri e accessori di giudizio.

Autorizzata la chiamata in causa di questi si è costituito in giudizio il 26.9.2012, contestando le avverse difese e pretese.

In particolare, ha eccepito in via preliminare la nullità dell’avversa chiamata del terzo per mancata procura e l’improcedibilità dell’atto di chiamata per mancato tentativo di conciliazione;

inoltre, nel merito, ha dedotto l’infondatezza delle contestazioni attoree per le seguenti considerazioni:

– l’art. 30 delle N.T.A. non può essere richiamato nel caso di specie, atteso che trattasi di immobile realizzato in epoca precedente al 1942;

– le opere di completamento realizzate dai convenuti non hanno comportato alcun aumento di volumetria, poiché il maggior volume del primo piano in ampliamento è stato compensato con una parte della volumetria destinata a parcheggio di piano terra, con effettuazione di apposito atto di vincolo in ossequio ai dettami della L. n. 122/1989;

– riguardo all’altezza del fabbricato, l’art. 30 delle N.T.A non prescrive alcun limite per l’altezza massima dei fabbricati, fermo restando che l’altezza del fabbricato dei convenuti non viola alcuna norma, in quanto al primo piano erano già presenti dei volumi la cui altezza non è stata superata dall’ampliamento;

– in relazione alle distanze, l’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 non è applicabile al caso di specie, atteso che la zona prospicente la sopraelevazione non presenta alcuna “parete finestra”, ma solo un arieggiamento per un sottotetto non praticabile, non abitato né abitabile;

pertanto, tale sottotetto non è da considerarsi volume da cui misurare la distanza prevista dal predetto D.M.;

– tra i fabbricati in questione vi è una strada prevista dal P.R.G. del Comune di Gioia del Colle, che esclude l’applicabilità dell’art. 9 comma 1 e comma 2 del D.M. n. 1444/1968, in quanto trattasi di via pubblica non destinata al traffico veicolare, trovando, quindi applicazione gli artt. 873 e 879 c.c. con il relativo rinvio alle N.T.A.;

quand’anche la strada si dovesse considerare “destinata al traffico veicolare” la distanza normativamente richiesta è stata rispettata;

– come dedotto nelle difese dei chiamanti, nel caso di presenza di strada comunale tra due fabbricati occorre rispettare il rapporto di 2/1 tra l’altezza dell’edificio e la distanza dell’asse della strada;

inoltre, ha acquistato per usucapione ventennale il diritto a tenere il fabbricato ed il sovrastante terrazzo a distanza minore di 10 mt;

è da escludere che distante dal confine meno di 5 mt, possa pretendere che si allontani dal fabbricato dell’attrice di 10 mt, non potendo essere leso il diritto di quest’ultimo di utilizzare l’edificazione del proprio fondo in misura pari a quella del suo vicino;

– non sussisteva alcuna responsabilità del progettista/direttore dei lavori, in quanto: l’intervento edilizio è conforme a quanto richiesto dai sig.ri , nonché rispettoso delle autorizzazioni comunali e delle normative di riferimento, avendo nella specie previsto in progetto una distanza tra i due edifici pari a mt 10,10 e tale distanza in maniera unilaterale ed arbitraria non è stata rispettata dai e dalla ditta dai medesimi incaricata;

l’obbligazione assunta ha natura di mezzi e non di risultato;

l’azione di garanzia risulta decaduta/prescritta;

– infondata era la richiesta risarcitoria attorea.

Ciò posto, il ha concluso chiedendo di:

accertare e dichiarare la nullità dell’atto di chiamata del terzo;

in subordine, di essere autorizzato a chiamare in causa la per garantirlo e manlevarlo da eventuali conseguenze pregiudizievoli derivanti dal presente giudizio;

dichiarare l’improcedibilità dell’avversa chiamata in causa del terzo disponendo nuovo tentativo di conciliazione;

nel merito: rigettare la domanda attrice;

in subordine, accertare la mancanza di responsabilità del chiamato e/o ritenere decaduto e/o prescritto il relativo diritto dei chiamanti;

in estremo subordine, condannare la a garantirlo e manlevarlo, tenendolo indenne da eventuali conseguenze secondo i dettami della polizza stipulata;

condannare le altre parti al pagamento delle spese di giudizio.

Autorizzata la chiamata di questa si è costituita in giudizio il 12.3.2013, contestando le avverse difese e pretese.

In particolare, ha eccepito in via preliminare l’inoperatività della polizza e, nel merito, ha aderito alle difese svolte dal instando per l’accoglimento delle seguenti conclusioni:

“1)

in via principale, per i motivi esposti in narrativa, accertato che la condotta illecita imputata al Geom. è stata posta in essere per la prima volta in periodo antecedente la data di efficacia della polizza n.NUMERO_DOCUMENTO, dichiarare, ai sensi dell’art. 7 della Sezione II delle condizioni di assicurazione, l’inoperatività temporale alla fattispecie di causa della garanzia assicurativa invocata dal predetto professionista nei confronti della concludente Società in forza del contratto di R.C. anzidetto e, per l’effetto, disporre l’immediata estromissione di dal presente giudizio ovvero, in subordine, rigettare la proposta domanda di manleva così come svolta dal Geom. nei confronti della concludente Società; 2) in subordine, dichiarare l’inoperatività della invocata garanzia assicurativa ai sensi dell’art. 6 delle Condizioni Generali di Assicurazione, e, per l’effetto, disporre l’estromissione di dal presente giudizio ovvero, in subordine, rigettare la proposta domanda di manleva così come svolta dal Geom. nei confronti della concludente Società;

3) ferme, impregiudicate e non rinunciate le superiori eccezioni, dichiarare inammissibile, improponibile e comunque rigettare qualsiasi avversa domanda così come e da chiunque proposta nei confronti del RAGIONE_SOCIALE. e, per l’effetto, la domanda di garanzia e manleva svolta da quest’ultimo nei confronti della concludente Società.

Con vittoria delle spese di lite;

4) in subordine, per la negata ipotesi di accoglimento anche solo parziale delle domande così come e da chiunque proposte nei confronti del Geom. graduare l’incidenza causale della condotta posta in essere dal predetto professionista in relazione ai fatti de quibus, condannandolo a risarcire i danni nei limiti della predetta sua quota di responsabilità.

Liquidare, comunque, il risarcimento secondo il giusto, il vero ed il rigorosamente provato, con esclusione di ogni indebita e non dovuta voce e/o richiesta e di eventuali duplicazioni risarcitorie proposte per medesime voci di danno.

In questa subordinata ipotesi, circoscrivere la garanzia e manleva azionate dal Geom. nei confronti di giusta polizza n.NUMERO_DOCUMENTO nei limiti del sottomassimale previsto dall’art. 14 della sezione II delle condizioni di assicurazioni, pari ad € 37.500,00, e con applicazione della franchigia di € 500,00 da porsi a carico immediato e diretto della contraente;

gradatamente, limitare la manleva al massimale annuo di polizza, pari ad € 250.000,00, e con applicazione della franchigia di € 500,00 da porsi a carico immediato e diretto della contraente.

Altresì, escludere qualsivoglia vincolo di solidarietà tra le parti convenute e chiamate in causa in relazione alle pretese risarcitorie dell’attrice ed, in ogni caso, limitare la manleva e garanzia prestata da a favore del Geom. lla sola quota d’incidenza causale nella produzione del danno addebitata al predetto professionista, pur in ipotesi di condanna solidale delle parti soccombenti.

Spese come per legge”.

Alla I udienza del 12.3.2013 sono stati assegnati i richiesti termini ex art. 183 c. 6 c.p.c. Avviata l’istruttoria, all’udienza del 9.3.2017 il giudizio è stato dichiarato interrotto a seguito del decesso di e successivamente riassunto il 22.3.2017 da Il 27.10.2017 si è costituita (già riportandosi a tutto quanto dedotto, richiesto ed eccepito nei precedenti scritti difensivi.

Il 28.11.2017 si sono costituiti quest’ultimo in proprio nonché nella qualità di erede del genitore riportandosi alle pregresse difese.

Il 3.4.2018 si è costituita nella qualità di erede di deducendo che a seguito di testamento olografo del de cuius pubblicato in data 1.12.2017 era stata nominata erede e le era stata assegnata la nuda proprietà dell’immobile per cui è causa.

All’udienza del 4.4.2018 ha eccepito la sussistenza di qualità di eredi del de cuius anche dei nipoti , onde il Giudicante ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli stessi.

Con comparsa depositata il 24.2.2019 si sono costituiti , quali eredi di , riportandosi a tutte le richieste già formulate dal de cuius e con la specificazione che si è costituito quale erede con beneficio di inventario, rappresentato in giudizio quali esercenti la responsabilità genitoriale.

Il 18.1.2021 si sono costituiti in qualità di eredi deceduta nelle more del giudizio, riportandosi a tutti i precedenti atti difensivi della de cuius.

Esperita l’istruttoria a mezzo di prova testimoniale, interrogatorio formale e C.T.U., all’esito la causa è stata rinviata per la decisione.

Preliminarmente, va osservato che la causa è matura per la decisione.

Sempre in via preliminare, va dato atto che con la memoria ex art. 183 c. 6 n. 1 c.p.c. depositata il 9.4.2013 parte attorea precisava la propria domanda di condanna al risarcimento dei danni ed alle spese anche nei confronti del professionista terzo chiamato Geom. Sempre in via preliminare, va dato atto che con le prime note conclusive depositate dai convenuti il 14.6.2022 ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, non avendo mai vantato alcun diritto di natura dominicale né sull’immobile preesistente né sulla costruzione oggetto di causa. Sul punto, va osservato che:

– il difetto di legittimazione è rilevabile anche d’ufficio in ogni fase del giudizio, trattandosi di mera difesa (cfr. Cass. n. 23721/2021);

– dall’atto di compravendita per Notaio del 13.3.1965 n. 15220 rep. 2539 (cfr. all. n. 10 fascicolo di parte convenuta) si evince che acquistava da il comprensorio di fabbriche di antichissima costruzione sito alla periferia dell’abitato di Gioia del Colle, alla INDIRIZZO e, a seguito del decesso di (avvenuto in corso di causa), con testamento olografo pubblicato l’1.12.2017 il de cuius attribuiva al figlio , in qualità di erede, l’usufrutto del locale carrozzeria e il diritto di abitazione relativamente alla casa e al locale; – risulta, quindi, evidente che la domanda attorea sarebbe dovuta essere attivata avverso e successivamente proseguita nei confronti dei restanti eredi , in qualità di nudi proprietari, dal momento che l’azione reale volta al rispetto delle distanze legali fra le costruzioni, deve essere proposta nei confronti del proprietario della presunta costruzione illegittima, potendo solo costui essere destinatario dell’ordine di demolizione che tale azione tende ad ottenere (cfr., in tal senso, Cass. n. 38640/2021); – del resto, come correttamente evidenziato dalla difesa di parte convenuta, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire che “l’azione reale volta al rispetto della distanza legale tra le costruzioni deve essere proposta nei confronti dell’attuale proprietario della costruzione illegittima, dato che solo costui può essere destinatario dell’ordine di demolizione che tale azione tende a conseguire, a nulla rilevando che la costruzione sia stata iniziata o eseguita da un precedente proprietario, nei cui confronti non potrebbe comunque essere ordinata la demolizione, né potendo, tale circostanza, incidere sulla causa petendi dell’azione proposta, che è costituita dall’appartenenza all’attuale proprietario del fabbricato posto a distanza illegale a prescindere dalla concreta individuazione dell’autore materiale delle opere realizzate” (Cass. n. 17602/2015; n. 3236/2017). – orbene, tenuto conto che è titolare del diritto di usufrutto e di abitazione, la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione con pronuncia n. 21619/2019 ha affermato il principio secondo il quale “la legittimazione passiva in ordine alla riduzione in pristino conseguente all’esecuzione, su immobile concesso in usufrutto, di opere edilizie illegittime, perchè realizzate in violazione delle distanze legali, spetta al nudo proprietario, potendosi riconoscere all’usufruttuario il solo interesse a spiegare nel giudizio intervento volontario ad adiuvandum, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., comma 2, volto a sostenere le ragioni del nudo proprietario alla conservazione del suo immobile, anche quando le opere realizzate a distanza illegittima abbiano riguardato sopravvenute accessioni sulle quali si sia esteso il godimento spettante all’usufruttuario in conformità all’art. 983 c.c. (Cass. n. 5900 del 2010).

A tale principio il collegio ritiene di aderire e dare continuità in quanto più specifico e coerente alla natura delle facoltà, di mero godimento e non anche comportanti poteri di diretto intervento, modificativo o additivo, sulla cosa che ne forma oggetto, spettanti all’usufruttuario, in considerazione delle quali l’interesse alla partecipazione al giudizio (in funzione dell’incidenza negativa sulle suddette facoltà dell’eventuale statuizione restitutoria) è da ritenersi meramente riflesso e, pertanto, tutelabile nelle sole forme di un facoltativo intervento adesivo dipendente. Va, quindi, esclusa la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’usufruttuario, nell’ipotesi in cui, come nella specie, l’azione diretta alla riduzione in pristino sia stata spiegata soltanto contro il proprietario, ancorchè nudo, essendo quest’ultimo l’unico soggetto titolare delle facoltà di modificare e incrementare la cosa a lui appartenente e, pertanto, il naturale responsabile dei relativi interventi interessanti il bene, salvi i casi, comunque non comportanti litisconsorzio necessario, ma solo facoltativo, in cui le opere modificative o additive siano state realizzate dall’usufruttuario”. Sulla scorta di tale criterio orientativo, deve essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva di Sempre in via preliminare, va rigettata l’eccezione sollevata da relativamente alla nullità della chiamata in causa sulla scorta della circostanza che la procura alle liti del chiamante non contenesse l’attribuzione al difensore del potere di chiamare un terzo in giudizio a titolo di garanzia.

Invero, dall’analisi della procura a margine della comparsa di costituzione e risposta dei si evince che questi attribuiscono al difensore il potere di esperire tutte le azioni necessarie mediante l’uso della locuzione “con ogni facoltà di legge”.

Sul tema, la Corte di Cassazione ha chiarito che in base a una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale, atta a dare attuazione ai principi di tutela del diritto di azione e di difesa, nonché di economia processuale (articoli 24 e 111 della Costituzione), la procura alle liti, conferita in termini ampi e comprensivi (nella specie, “con ogni facoltà”), è idonea ad attribuire al difensore il potere di esperire tutte le azioni necessarie o utili per il conseguimento del risultato a tutela dell’interesse della parte assistita (cfr. Cass. SS.UU. n. 4909/2016).

Sempre via preliminare, rigettata l’eccezione del relativa all’improcedibilità della domanda a motivo del mancato esperimento del procedimento di mediazione nei suoi confronti.

Invero, il presente giudizio è stato instaurato nel 2012 e con sentenza n. 272/2012 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del procedimento di mediazione di cui al D. lgs. n. 28/2010, ragion per cui, al momento della chiamata in causa, tale procedimento non era più azionabile.

Inoltre, per quel che maggiormente rileva, l’obbligo della mediazione è condizione di procedibilità solo per la domanda principale dell’attore nei confronti del convenuto, restando escluse dall’area del necessario previo esperimento del tentativo di mediazione ex art 5 D. lgs. n. 28/2010 le chiamate di terzo e le domande riconvenzionali:

le ragioni poste alla base di tali conclusioni possono essere così sintetizzate:

a) le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità sono di stretta interpretazione, poiché introducono limitazioni all’esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall’ art. 24 Cost., quindi la locuzione “chi intende esercitare in giudizio un’azione”, contenuta nel comma 1, art. 5, D. lgs. n. 28/2010, è da intendersi come “chi intende instaurare un giudizio”;

b) vanno fatti salvi i principi di ragionevole durata del processo e di equilibrata relazione tra procedimento giudiziario e mediazione, indicato nella direttiva comunitaria 2008/52/CEE;

c) l’art. 5, comma 1 bis, D. lgs. n. 28/2010 prevede la facoltà del convenuto di eccepire il mancato tentativo di mediazione, sicché va considerato tale “chi viene citato in giudizio”, e non già “chi, avendo promosso un’azione e, pertanto, notificato ad altri una vocatio in ius, risulti a sua volta destinatario di una domanda, collegata a quella originaria (cfr. Trib. Milano n. 6694/2022).

Sempre in via preliminare, va dichiarata inammissibile, in quanto tardiva, l’eccezione di parte attrice relativa alla dedotta insussistenza dei requisiti tecnici del Geom. per difetto di competenze professionali a realizzare opere in cemento armato, formulata a partire con la memoria ex art. 183 c. 6 n. 3 c.p.c. depositata il 23.5.2013, essendo tale memoria deputata alla sola indicazione della prova contraria.

Scendendo al merito delle questioni, va osservato quanto segue.

In primo luogo, è opportuno delineare che il thema decidendum della presente controversia è circoscritto alla violazione delle distanze tra costruzioni.

Difatti, come sostenuto ampiamente dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 21354/2017), le norme di cui all’art. 872 comma 2 c.c. in tema di distanze fra costruzioni, nonché quelle che in tale materia sono integrative del codice civile, sono le uniche che consentano, in caso di loro violazione nell’ambito dei rapporti interprivatistici, la richiesta oltre che del risarcimento del danno, anche della riduzione in pristino, a nulla rilevando, per converso, il preteso carattere abusivo della costruzione finitima, il suo insediamento in zona non consentita, la disomogeneità della sua destinazione rispetto a quella legittimamente conferita al fabbricato del privato istante in conformità con le disposizioni amministrative in materia, la sua insuscettibilità di sanatoria amministrativa, trattandosi di circostanze che pur legittimando provvedimenti demolitori o ablativi da parte della pubblica amministrazione e pur essendo astrattamente idonee a fondare una pretesa risarcitoria in capo al presunto danneggiato, non integrano, in alcun modo, gli estremi della violazione delle norme di cui agli articoli 873 e seguenti c.c. Va ancora puntualizzato che la legittimità del p.d.c. n. 139/06, relativo alla realizzazione del manufatto oggetto di contestazione, non rileva in questa sede, posto che, come è noto, in tema di distanze nelle costruzioni, la rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato, senza estendersi ai rapporti tra privati (cfr. Cass. n. 7563/2006). Di conseguenza, la circostanza dell’avvio del procedimento di abusivismo e di annullamento del suddetto p.d.c. con not. Prot. 1435471590 del 30.5.2016 non rileva nel presente giudizio.

Va a riguardo evidenziato che “la rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra PA e privato richiedente o costruttore, senza estendersi ai rapporti tra privati, regolati dalle disposizioni dettate dal codice civile e dalle leggi speciali in materia edilizia, nonché dalle norme dei regolamenti edilizi e dei piani regolatori generali locali.

Ne consegue che ai fini della decisione delle controversie tra privati derivanti dalla esecuzione di opere edilizie, sono irrilevanti tanto l’esistenza della concessione (salva l’ipotesi della c.d. licenza in deroga), quanto il fatto di aver costruito in conformità alla concessione, non escludendo tali circostanze, in sé, la violazione dei diritti dei terzi di cui al codice civile e agli strumenti urbanistici locali, così come è, del pari, irrilevante la mancanza della licenza o della concessione, la costruzione risponda oggettivamente a tutte le disposizioni normative sopraindicate” (Cass. n. 29166/2021; Cass. n. 4833/2019; Cass. n. 12405/2007).

Delineato il thema decidendum nei termini sopra esposti, per ragioni di chiarezza espositiva, saranno esaminate per prima le eccezioni sollevate da parte convenuta e del terzo per le quali valgono le seguenti considerazioni.

Occorre premettere che il manufatto “RAGIONE_SOCIALE” rientra nella nozione di “costruzione”, poiché ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c. e segg. , e delle norme dei regolamenti integrativi della disciplina codicistica, deve ritenersi per “costruzione” qualsiasi opera non completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione (cfr. Cass. n. 72/2013).

Ciò posto, non può accogliersi l’eccezione sollevata dai convenuti relativa al maturato acquisto per usucapione del diritto di tenere a distanza minore di 10 mt il fabbricato ed il sovrastante terrazzo a livello di primo piano, sulla scorta che “l’ampliamento oggetto di causa risulta edificato all’interno della sagoma del fabbricato del Sig. , sì che esso – attestandosi in posizione interna e quindi più distante rispetto al limitare del fabbricato su cui insiste – risulta certamente legittima, in quanto non esorbitante il diritto di servitù già acquisito”. D’altra parte, il C.T.U. nella descrizione delle opere di ampliamento e di sopraelevazione realizzate dai ha avuto modo di chiarire che:

“Dalla documentazione allegata alla richiesta del permesso di costruire n.139/2006 emerge che la nuova costruzione in sopraelevazione al piano rialzato dell’immobile di cui al sub.7 si attesta ad un volume preesistente, posto in aderenza ad altro fabbricato lungo il confine est e costituito da: disimpegno attiguo alla scala di accesso al piano e vano ripostiglio retroposto.

Le opere eseguite hanno condotto alla realizzazione di una unità abitativa completa di finiture composta da:

vano soggiorno-pranzo, cucina, due vani letto, due bagni, due terrazzi a livello comunicanti tra loro, scala di accesso al lastrico solare di secondo piano sul rialzato” (cfr. pag. 55 C.T.U. depositata il 7.7.2015).

Alla luce dei suesposti rilievi, l’intervento edilizio realizzato dai convenuti ed oggetto del p.d.c. n.139/06 è, all’evidenza, un “quid novi” per struttura, dimensioni e conformazione;

pertanto, si verte in ipotesi di nuova costruzione e come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigenti al momento della medesima (Cass. n.15732/2018; n. 21059/2009), non essendo assorbita dalla regola della mera osservanza delle distanze preesistenti applicabile alla porzione di edificio originaria.

Ne deriva che, relativamente alla parte di costruzione di cui alla concessione edilizia n. 139/06, il termine ventennale ex art. 1158 c.c., non può dirsi, di certo, decorso, posto che al momento dell’atto di citazione (2012) l’opera non era stata persino ultimata, come emerso dalla documentazione in atti e come risulta incontestato tra le parti.

Del pari, non può trovare applicazione l’eccezionale deroga alla disciplina delle distanze nelle costruzioni prevista dal comma 2 art. 9 del D.M. n. 1444/1968 richiamata dai convenuti, giacché non risulta il carattere di strada destinata al traffico dei veicoli – rilevante ai fini dell’applicazione della norma citata – dell’area situata tra le proprietà.

Né, tanto meno, è applicabile al caso di specie la deroga alle distanze legali prevista per i fabbricati a confine con le vie pubbliche, di cui dall’art. 879 comma 2 c.c., eccepita da Difatti, sebbene trattasi di “area tipizzata come strada” dal P.R.G. vigente del Comune di Gioia del Colle (cfr. all. 10 ultima integrazione C.T.U. depositata il 21.10.2023) e benché il de cuius abbia, altresì, sottoscritto atto d’obbligo con il registrato il 30.3.93 (cfr. all. 13 fascicolo di parte convenuta), da cui emerge segnatamente che “per tutto il tratto di recinzione sul lato nord del fondo urbano in oggetto, a confine con proprietà , ora per allora, rinunzia in caso di esproprio, ricadendo tale tratto di recinsione su strada di P.R.G. a realizzarsi, al maggior valore rinveniente dalla realizzazione delle opere di miglioramento conservativo che andrà a realizzare”, in ogni caso, al fine di determinare l’appartenenza di una strada al demanio comunale, costituiscono indici di riferimento oltre l’uso pubblico, cioè l’uso da parte di un numero indeterminato di persone (il quale isolatamente considerato potrebbe indicare solo una servitù di passaggio), la ubicazione della strada all’interno dei luoghi abitati, l’inclusione nella toponomastica del Comune, la posizione della numerazione civica ed il comportamento della P.A. nel settore dell’edilizia e dell’urbanistica (Cass. n. 9548/2023). Invero, all’attualità, non risulta in alcun modo possibile qualificare l’area insistente tra le due proprietà come strada comunale, non sussistendo i predetti elementi, né in relazione a tale area è stato prodotto alcun provvedimento di esproprio da parte del per destinarla a strada pubblica, né tantomeno, nel corso del giudizio, è emersa la configurabilità dell’uso pubblico di quel tratto.

Inoltre, nella relazione peritale il C.T.U. ha escluso la natura di strada, precisando che “la tavola n.11 relativa alla zonizzazione e la tavola 12 relativa la viabilità del PRG vigente a Gioia del Colle dal 1974, evidenziano la presenza di una viabilità carrabile di progetto passante tra la proprietà e la proprietà.

Dalla lettura della summenzionata tavola n.12 e della tavola n.11 della viabilità, entrambi elaborati grafici del PRG vigente, emerge che una fascia di suolo compresa tra le due proprietà, viene tipizzata come viabilità di progetto.

Entro detta viabilità di progetto ricadono i seguenti immobili:

la stradina pedonale di proprietà che costeggia il prospetto est dell’immobile commerciale;

il locale di piano terra di proprietà , posto in aderenza al confine con proprietà (fg.44, p.lla 242, sub.1);

una porzione del locale contiguo (fg.44, p.lla 242, sub.2), il locale di piano terra addossato al fabbricato principale (fg.44, p.lla 133, sub.6), il manufatto realizzato con infissi in alluminio anodizzato, privo di identificativo catastale, la strada tra il confine con proprietà l’immobile principale di proprietà ” (cfr. pag. 31 elaborato peritale depositato il 7.7.2015).

Il perito ha, altresì, aggiunto e confermato nella risposta ai relativi chiarimenti che “l’art.29 delle NTA, “viabilità di progetto” precisa in particolare che “l’indicazione grafica delle strade, dei nodi e dei parcheggi (di progetto) ha valore di massima sino alla redazione del progetto esecutivo dell’opera.

Dalle informazioni reperite presso l’ufficio tecnico del Comune di Gioia del Colle è risultato che la viabilità di progetto tracciata tra la proprietà e la proprietà non è ad oggi inserita in alcun progetto esecutivo” (cfr. pag. 32 elaborato peritale depositato 7.7.2015).

Per di più, il C.T.U. nelle integrazioni depositate il 10.1.2023 (cfr. pag. 13) ha esplicitato che:

“le superfici scoperte tra le proprietà sono superfici pertinenziali dei relativi manufatti in quanto la viabilità prevista dal PRG non è stata realizzata, né il comune di Gioia del Colle ha ad oggi istruito iter-procedimentali finalizzati alla sua realizzazione”.

Stante l’accertata natura di viabilità di progetto dell’area situata tra le due proprietà, non può, altresì, ritenersi condivisibile l’applicabilità dell’interpretazione “autentica” delle N.T.A., invocata dai convenuti e da secondo cui “in caso di strada comunale tra due fabbricati occorre rispettare solo il rapporto 2/1 tra l’altezza dell’edificio e la distanza dell’asse della strada”.

Sulla scorta di tali rilievi e concordemente con quanto indicato dal C.T.U. nei summenzionati elaborati, nel caso di specie trova applicazione la disciplina di cui all’art. 9 c. 1 n. 2 del D.M. n. 1444 del 1968 (cfr. pag. 33 note integrative C.T.U. del 21.10.2023).

A tal proposito, va osservato quanto segue.

L’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, essendo stato emanato in base all’art. 41-quinquies della L. 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. legge urbanistica), aggiunto dall’art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765, ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (Cass. SS.UU. n. 14953/2011).

Eventuali previsioni regolamentari che impongano il rispetto della distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate soltanto per i tratti dotati di finestre, con esonero di quelli ciechi, sono in contrasto con le previsioni del citato art. 9 e devono, pertanto, essere disapplicate attesa l’inderogabilità delle disposizioni di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, destinate a disciplinare le distanze tra costruzioni e non tra queste e le vedute (Cass. n. 5017/2018; n. 15458/2016);

il giudice, quindi, è tenuto ad applicare tale disposizione anche in presenza di norme contrastanti incluse negli strumenti urbanistici locali, dovendosi essa ritenere automaticamente inserita nel P.R.G. al posto della norma illegittima.

La norma, per la sua genesi e per la sua funzione igienico-sanitaria, costituisce quindi un principio assoluto ed inderogabile (Cass. n. 11013/2002), che prevale sia sulla potestà legislativa regionale, in quanto integra la disciplina privatistica delle distanze (Corte cost.

n. 232/2005), sia sulla potestà regolamentare e pianificatoria dei Comuni, in quanto deriva da una fonte normativa statale sovraordinata (Cass. n. 23495/2006), sia infine sull’autonomia negoziale dei privati, in quanto tutela interessi pubblici che non sono nella disponibilità delle parti (Cons. St. n. 3094/2007).

L’art. 136 del D.P.R. n. 380 del 2001 ha mantenuto in vigore l’art. 41-quinquies, commi 6, 8, 9 della L. n. 1150 del 1942 per cui in forza dell’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 la distanza minima inderogabile di 10 metri tra le pareti finestrate e gli edifici antistanti è quella che tutti i Comuni sono tenuti ad osservare ed il giudice è tenuto ad applicare tale disposizione anche in presenza di norme contrastanti incluse negli strumenti urbanistici locali, dovendosi essa ritenere automaticamente inserita nel P.R.G. al posto della norma illegittima (Cass. n. 12741/2006). Peraltro, l’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, nel prescrivere la distanza minima tra parete e parete finestrata, è pacifico che sia applicabile anche nel caso in cui una sola delle due pareti fronteggiantesi sia finestrata (Cass n. 1486/1997; n. 1984/1999) e indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente (Cass. n. 13547/2011) o che si trovi alla medesima altezza o diversa altezza rispetto all’altro (Cass. n. 8383/1999).

D’altronde, la finalità della norma è la salvaguardia dell’interesse pubblico sanitario a mantenere una determinata intercapedine fra gli edifici che si fronteggiano quando uno dei due abbia una parete finestrata (Cass. n. 20574/1997).

A tal proposito, i Giudici di legittimità hanno ulteriormente chiarito che in materia di distanze tra fabbricati, l’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 deve essere interpretato nel senso che la distanza minima di dieci metri è richiesta anche nel caso in cui una sola delle pareti fronteggiantisi sia finestrata e che è indifferente se tale parete sia quella del nuovo edificio o quella dell’edificio preesistente, essendo sufficiente, per l’applicazione di detta distanza, che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, benché solo una parte di essa si trovi a distanza minore da quella prescritta, con la conseguenza che il rispetto della distanza minima è dovuto pure per i tratti di parete parzialmente privi di finestre (Cass. n. 12129/2018). Alla luce delle considerazioni che precedono, essendo sufficiente che almeno una sola delle pareti fronteggiantisi sia finestrata, poiché nella specie l’ampliamento presenta pareti finestrate sul prospetto frontistante la proprietà (cfr. pag. 33 integrazione C.T.U. del 21.10.2023), non merita accoglimento la doglianza relativa all’inapplicabilità della distanza prevista dalla citata norma per non essere il fronte est del fabbricato qualificabile come parete finestrata.

Analoghi rilievi sono emersi dall’elaborato peritale (cfr. pag. 30 elaborato del 7.7.2015), ove il C.T.U. chiarisce che “la parete perimetrale est di proprietà presenta finestrature.

La parete ovest di proprietà presenta finestrature”:

più segnatamente, il consulente testualmente ha evidenziato che il prospetto est di proprietà non è una muratura cieca, bensì una “parete finestrata” poiché ospita sei bucature al piano terra ed una bucatura al piano della soffitta (cfr. pag. 50 elaborato peritale del 7.7.2015).

Risulta, quindi, pacifica l’applicabilità della norma in esame al caso di specie.

Tanto accertato, sulla base degli accertamenti peritali, non vi è dubbio che la distanza minima di 10 metri tra le due proprietà, prevista dall’art 9 del D.M. 1444/1968, non è stata rispettata.

Difatti, il C.T.U. – sulla premessa che “la misura della distanza tra fabbricati si applica alle pareti che si fronteggiano e la misurazione deve essere effettuata in modo lineare” (cfr. pag. 29 elaborato del 7.7.2015) e che “l’ubicazione dei due manufatti in esame è tale per cui essi risultano antistanti e fronteggianti per il principio di reciprocità, poiché la traslazione del fronte est dell’immobile di proprietà ed il fronte ovest dell’immobile di proprietà produce intersezioni” (cfr. pag. 29) – ha accertato che “la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall’art. 9, del decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, è da calcolarsi con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, laddove se ne ravvisi una. La minima distanza tra il fronte ovest della sopraelevazione della proprietà e la frontistante proprietà è pari a 7,53m e si rileva in corrispondenza dello spigolo nord del vano letto della sopraelevazione.

Qualora si voglia considerare la sporgenza generata dalla soletta del solaio del lastrico solare della sopraelevazione della proprietà , la quale aggetta di 49cm rispetto alla parete perimetrale più sporgente verso l’immobile frontistante, la minima distanza rilevata è pari a 7,04m”, concludendo che “in esito alla restituzione digitale delle misurazioni acquisite in loco con il teodolite, si dichiara che nel caso di specie, rispetto alle disposizioni dell’art.9 del D.M. 1444/1968, non risulta rispettata la minima distanza di 10 metri tra la proprietà e la frontistante sopraelevazione del piano rialzato della proprietà , così come disposto al punto n.2) del citato art.9. La minima distanza tra la parete perimetrale ovest, più sporgente, della sopraelevazione e la parete est del locale commerciale di proprietà è pari a m7,53” (cfr. pag. 30 elaborato del 7.7.2015).

In ogni caso, risulta condivisibile quanto dedotto dai convenuti a proposito della operatività, nel caso di specie, del principio della prevenzione.

Sul punto, va osservato che la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire che “l’art. 9, n. 2, del d.m. n. 1444 del 1968 non impone di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, ma va interpretato, in applicazione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete finestrata e l’edificio antistante va mantenuta la distanza di mt. 10, con obbligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di INDIRIZZO.

5 dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, abbia a sua volta osservato una distanza di almeno mt. 5 dal confine.

Ove, invece, il preveniente abbia posto una parete finestrata ad una distanza inferiore a detto limite, il vicino non sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino alla distanza di INDIRIZZO.

10 dalla parete stessa, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le aperture e costruire (con parete non finestrata) rispettando la metà della distanza legale dal confine, ed eventualmente procedere all’interpello di cui all’art. 875, comma 2, c.c., qualora ne ricorrano i presupposti” (cfr. Cass. n. 24471/2019; n. 4848/2019; n. 3340 del 2002).

La concreta applicazione di tale principio di diritto è subordinata alla formulazione di specifica domanda o eccezione che, nel caso di specie, è stata introdotta tempestivamente sin dalla comparsa di costituzione da parte dei convenuti e dal terzo chiamato per cui deve essere ritenuta tempestiva e ammissibile.

Nel caso de quo, ai fini dell’applicabilità del summenzionato principio, è necessario definire, preliminarmente, l’epoca di costruzione dei compendi immobiliari di proprietà delle parti, all’uopo avvalendosi della disposta C.T.U., da cui è emerso, riguardo alla proprietà degli eredi , che gli immobili, attualmente nella proprietà di parte convenuta, nella loro originaria consistenza, pervenivano in donazione a con atto a rogito di Notaio del 5.10.1942 registrato a Gioia del Colle nel 1942 al n. 246.

Con atto d’acquisto concluso tra il 13.3.1965, a rogito del Notaio rep. n. 15220, fascicolo n. 2539, veniva trasferita la proprietà di “comprensorio di fabbriche, di antichissima costruzione ed in pessime condizioni di manutenzione;

sito alla periferia dell’abitato di Gioia del Colle, alla INDIRIZZO novantasei, novantotto e cento, composto di uno scantinato, di sette vani a piano terra e due cortili:

tutto confinante ad ovest con , a sud con la strada per Santeramo in Colle, ad est con proprietà dei coniugi e a nord con proprietà.

In catasto, come dal certificato, alla partita 211, ditta COGNOMENOME, foglio 44, particella 133/3 INDIRIZZO, piano terra, categoria A/5, classe 5^, vani 1,5, rendita catastale lire 237; particella 133/INDIRIZZO, INDIRIZZO, piano terra, categoria A/4, classe 3^, vani 2,5, rendita catastale lire 360; particella 133/INDIRIZZO, INDIRIZZO, piano terra, categoria A/5, classe 5^, vani 2, rendita catastale lire 316 e particella 133/6, INDIRIZZO, piano terra, categoria C/6, classe 1^, metri quadrati trentanove, rendita catastale lire 179” (cfr. pag. 21 elaborato del 7.7.2015). Dalla C.T.U. è emerso, altresì, che i fabbricati allibrati con i subalterni 3, 4 e 5 della particella 133 furono soppressi nel 1987 per la costituzione dell’attuale subalterno 7, corrispondente all’attuale piano terra e piano seminterrato (cfr. pag. 36 elaborato del 7.7.2015).

Il perito ha, inoltre, rilevato che “dalla documentazione allegata alla richiesta del permesso di costruire n.139/2006 emerge che la nuova costruzione in sopraelevazione al piano rialzato dell’immobile di cui al sub.7 si attesta ad un volume preesistente, posto in aderenza ad altro fabbricato lungo il confine est e costituito da: disimpegno attiguo alla scala di accesso al piano e vano ripostiglio retroposto” (cfr. pag. 55 elaborato del 7.7.2015), puntualizzando che “la preesistenza consiste in:

– due vani lavanderia, oggetto di autorizzazione edilizia in sanatoria n.170/1993, pratica 38/93 del 01.10.1993:

“sanatoria di lavatoio – stenditoio ed opere varie nell’immobile di vecchia costruzione alla INDIRIZZO”(cfr. ALL.3- ALL.7);

– parapetto e muratura perimetrale, oggetto di autorizzazione comunale n.100 del 3.06.1985 per la sanatoria della sopraelevazione di un parapetto e per la realizzazione di muratura perimetrale sul terrazzo di INDIRIZZO;

nonché di concessione in sanatoria ex legge n.47/1985, n.048/1985, pratica n.355/1984 avente il medesimo oggetto della autorizzazione che precede (la autorizzazione e la concessione edilizia in sanatoria originano dalla medesima istanza n.17514/4241U.T).

(cfr. pag. 14 note integrative C.T.U. del 21.10.2023).

Con riguardo alla proprietà delle eredi dalla C.T.U. è emerso che il fabbricato prospiciente la proprietà è stato autorizzato sotto il profilo edilizio nel 1950 dal Comune di Gioia del Colle.

Segnatamente, il C.T.U. ha specificato che “con detta autorizzazione edilizia, intestata a , veniva autorizzata la costruzione di un vano a pianterreno e n.10 vani al piano primo, corrispondenti a due alloggi, il tutto in aderenza alla porzione di levante del vecchio molino e sino al ciglio stradale di INDIRIZZO

Al di sopra del deposito al piano primo è situata una soffitta accessibile dalla terrazza sud dell’adiacente abitazione.

L’epoca di realizzazione della soffitta soprastante la sopraelevazione del locale commerciale di piano terra, prospiciente la proprietà non è accertabile poiché non accatastata e non presente in alcuna delle pratiche edilizie rinvenute” (cfr. pag. 10 elaborato del 7.7.2015).

Da ultimo, con integrazione peritale del 21.10.2023 il C.T.U., a pag. 29, ha precisato che “la soffitta/sottotetto non abitabile non è munita di titolo edilizio, essa è pertanto una costruzione abusiva.

È ipotizzabile che la sua realizzazione sia stata eseguita tra il 1950 (anno in cui è stata rilasciata la autorizzazione per la costruzione dell’attuale subalterno 12) ed il 1969 (anno in cui è stata eseguita la ripresa aerea nella quale è visibile la linea di colmo del tetto a falde).

Il prospetto est della soffitta è complanare al prospetto del sottostante piano primo e terra, autorizzati nel 1950”.

Alla luce di quanto emerso dal complessivo operato del C.T.U., la soffitta/sottotetto realizzata da parte attrice è da considerarsi una nuova costruzione anche agli effetti delle distanze e, in quanto tale, il preveniente (le attrici), alla pari del prevenuto (i convenuti), era obbligato al rispetto della relativa disciplina vigente al momento in cui la sopraelevazione veniva effettuata (anche se sopravvenuta rispetto al momento della costrizione originaria), la quale non risulta essere stata rispettata.

Orbene, in base alle risultanze peritali, si è avuto modo di accertare che “la distanza del fabbricato e, dunque la distanza tra la facciata est della soffitta e il lato del muro di confine interno alla proprietà in base alle rilevazioni topografiche eseguite nel 2014, è minore di 150 cm” (cfr. pag. 30 note integrative C.T.U. del 21.10.2023).

Ciò detto, giova rammentare che la prevenzione integra un diritto riconosciuto al confinante che edifica per primo e si esaurisce con la realizzazione della costruzione del preveniente, quando questa abbia le caratteristiche proprie di un’opera edilizia completa dal punto di vista strutturale e funzionale.

Da ciò consegue che la sopraelevazione non è del tutto svincolata del criterio della prevenzione (ove esso sia ancora applicabile in base agli strumenti urbanistici vigenti) ma che esso va applicato in modo autonomo, per ogni singolo piano sopraelevato anziché una volta per tutte ed allo stesso modo con riferimento alla base dell’edificio.

Ciò vuol dire che, una volta che due costruzioni siano state edificate ed ultimate sui fondi finitimi, cessa di operare la prevenzione esercitata dal primo costruttore di esse e si modifica l’assetto del rapporto tra i proprietari frontisti, nel senso che ciascuno di essi potrà edificare in regime di libertà secondo il principio della prevenzione, che non può essere ricondotto al criterio adottato al tempo della costruzione originaria, ma va applicato in base alla priorità del tempo della costruzione in sopraelevazione (cfr. Cass. n. 7456/1992; n. 9276/1993).

Applicando i suesposti principi al caso in esame, poiché è indubbio che la soffitta/sottotetto di parte attrice, sia stata realizzata tra il 1950 e il 1969 e quindi in epoca antecedente rispetto all’ampliamento fronteggiante la proprietà attorea e di cui al p.d.r.

del 2006, non è preveniente, ma prevenuto e, stante la violazione perpetrata dalle parti attrici della distanza minima legale della soffitta est dal confine (sia che si applichi la disciplina codicistica di cui all’art 873 c.c. sia che si applichino le maggiori distanze di cui all’art 9 D.M. 1444/68), non sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino alla distanza di mt. 10 dalla parete stessa, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le aperture e costruire (con parete non finestrata) rispettando la metà della distanza legale dal confine, ed eventualmente procedere all’interpello di cui all’art. 875, comma 2, c.c., qualora ne ricorrano i presupposti (cfr. Cass. n. 4848/2019).

Conseguentemente, sia parte attorea sia parte convenuta vanno condannate a chiudere le aperture interessate dalla dedotta violazione di cui all’art 9 D.M. 1444/68.

In particolare, dovranno chiudere l’apertura di cui alla soffitta/sottotetto insistente sulla parete est del proprio fabbricato di cui all’allegato 1 dell’elaborato peritale del 7.7.2015 denominato Report Fotografico foto n. 9 pag. 4;

i convenuti, dovranno chiudere le aperture della costruzione oggetto del p.d.c. 139/2006, fronte ovest del proprio fabbricato, di cui all’allegato 1 dell’elaborato peritale del 7.7.2015, denominato Report Fotografico, foto n. 27 pag. 10. Per i suesposti motivi e stanti le accertate reciproche violazioni della normativa sulle distanze legali tra fabbricati, non può trovare accoglimento la domanda delle attrici al risarcimento del danno, che non risulta comunque provata.

Passando all’esame della spiegata azione di manleva di parte convenuta nei confronti del Geom. relativamente all’eccezione di decadenza/prescrizione dell’azione di garanzia dei chiamanti, sollevata dal terzo chiamato, quest’ultima deve essere rigettata.

Difatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, “le disposizioni dell’art. 2226 c.c., in tema di decadenza e prescrizione dell’azione di garanzia per vizi dell’opera, sono inapplicabili alla prestazione d’opera intellettuale, ed in particolare alla prestazione del professionista che abbia assunto l’obbligazione della redazione di un progetto di ingegneria o della direzione dei lavori ovvero l’uno e l’altro compito (come nel caso di specie), attesa l’eterogeneità della prestazione rispetto a quella manuale, cui si riferisce l’art. 2226 c.c., norma che perciò non è da considerare tra quelle richiamate dall’art. 2230 dello stesso codice; pertanto, si deve escludere che il criterio risolutivo ai fini dell’applicabilità delle predette disposizioni alle prestazioni in questione possa essere costituito dalla distinzione – priva di incidenza sul regime di responsabilità del professionista – fra le cosiddette obbligazioni di mezzi e le cosiddette obbligazioni di risultato:

e ciò tenuto conto anche della frequente commistione, rispetto alle prestazioni professionali in questione, delle diverse obbligazioni in capo al medesimo o a distinti soggetti in vista dello stesso scopo finale, a fronte della quale una diversità di disciplina normativa risulterebbe ingiustificata” (cfr. Cass. n. 15781/2005; n. 9309/2006; n. 12871/2015).

Ciò posto, dalle risultanze di causa è pacifico che il Geom. COGNOME ricoperto il ruolo di progettista e di direttore dei lavori:

tanto è emerso sia in sede di interrogatorio formale (reso all’udienza del 23.6.2016) che dalla documentazione atti depositata dalle parti.

Pertanto, sussiste la responsabilità per l’attività espletata sia nella fase antecedente all’esecuzione delle opere in relazione alla scelta del titolo autorizzativo occorrente per il tipo di intervento edilizio progettato, sia in quella successiva di controllo e verifica della difformità dell’opera progettata rispetto a quella eseguita, trattandosi di un obbligo del professionista giustificato dalla specifica competenza tecnica necessariamente richiesta a chi abbia assunto l’incarico del progetto e della direzione dei lavori (cfr. Cass. n. 3686/2021). In particolare, “in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell’opera appaltata, il direttore dei lavori, pur prestando un’opera professionale in esecuzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, è chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche e deve utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della “diligentia quam in concreto”. Rientrano, pertanto, nelle obbligazioni del direttore dei lavori, l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi;

sicché non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente” (cfr. Cass. n. 2913/2020) e fermo restando che “l’attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione dell’opera nelle sua varie fasi e pertanto l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati” (cfr. Cass. n. 10728/2008). In applicazione dei suesposti principi, sebbene bbia previsto in progetto una distanza pari a 10.10 mt (come peraltro confermato dal C.T.U. a pag. 32 dell’elaborato peritale del 7.7.2015), il suo mancato rispetto, nella fase realizzativa del progetto, non può essere ascritto alla condotta unilaterale ed arbitraria del committente e dell’impresa esecutrice, come erroneamente asserito dal atteso che quest’ultimo, in qualità di direttore dei lavori, aveva l’obbligo di controllo e di verifica della correttezza della realizzazione dell’opera: in particolare, il aveva, oltre all’obbligo di un controllo dinamico, continuativo, di accertamento per gradi e tappe intermedie della effettiva concretizzazione e specificazione di quanto programmato, anche un obbligo di controllo e di verifica statica e retrospettiva di comparazione tra l’opera da realizzare e quella che in concreto veniva realizzata, la quale, invece, è risultata difforme rispetto a quella progettata, come accertato dal C.T.U. ed emerso ex actis.

Né il ha fornito alcuna prova della propria dissociazione dalla asserita condotta illecita del proprietario e dell’impresa esecutrice, mettendo in atto le dovute cautele di cui all’art. 29, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) ai sensi del quale “Il direttore dei lavori non è responsabile qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni del permesso di costruire, con esclusione delle varianti in corso d’opera, fornendo al dirigente o responsabile del competente ufficio comunale contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa. Nei casi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto al permesso di costruire, il direttore dei lavori deve inoltre rinunziare all’incarico contestualmente alla comunicazione resa al dirigente”.

Invero, il direttore dei lavori che rilevi delle difformità rispetto al progetto deve ordinare la sospensione dei lavori;

in quanto persona di fiducia del committente, infatti, ha il compito di sorvegliare i lavori, di garantire che le opere vengano eseguite in conformità al progetto con potere dovere di intervento tempestivo con ordine di sospensione dei lavori ove rilevi delle difformità (cfr. Cass. n. 7370/2015).

Tale circostanza è rimasta sfornita di prova, non essendo emerso in corso di causa che siano stati adottati tali provvedimenti, indispensabili al fine di escludere la responsabilità del direttore dei lavori.

D’altronde, irrilevanti risultano essere le dimissioni comunicate dal con nota racc. del 18.10.2012 (cfr. doc. 15 del fascicolo di parte), tra l’altro successiva alla sua chiamata in causa, non avendo adempiuto all’ulteriore obbligo formale di contestuale comunicazione delle stesse ai competenti uffici dell’Amministrazione comunale.

Non risulta, quindi, che il durante la direzione dei lavori, abbia mai contestato ad altri soggetti la violazione delle prescrizioni del permesso di costruire, avendo persino egli stesso provveduto a comunicare, con nota protocollata del 22.7.2011 al Comune di Gioia del Colle “la ripresa dei lavori di che trattasi allegando la dichiarazione di accettazione di incarico e relativo DURC da parte della ditta esecutrice ” (cfr. all. n. 9 fasc. parte convenuta).

In ultimo, anche all’esito dell’istruttoria testimoniale espletata, non è emerso alcun elemento idoneo ad escludere la responsabilità del in particolare il teste (escusso all’udienza del 26.5.2021) ha reso dichiarazioni prive di oggettiva rilevanza, in quanto si è limitato a riferire che “un giorno, non ricordo esattamente quando ma sempre nel periodo 2006-2008 raggiunsi sul cantiere alla INDIRIZZO ed assistevo ad una discussione che lo stesso aveva con le maestranze poiché a dire di non seguivano le sue direttive… l’unica volta che sono salito sul cantiere … ho solamente ascoltato il geometra che urlava con le maestranze per questioni riguardanti le volumetrie…l’oggetto della discussione era la sopraelevazione che era già stata realizzata… non ricordo se nell’occasione il geometra diede o meno delle direttive alle maestranze”. Del pari, di alcun rilievo è risultata la deposizione del teste (escusso all’udienza del 15.9.2021), avendo egli riferito che “all’epoca dei fatti lavoravo nel caseificio ubicato di fronte agli immobili per cui è causa…posso dire di non essere mai salito in cantiere ma solo di avere visto a distanza, stando io nel punto vendita, il geometra discutere con gli operai e con il Sig. ma senza coglierne i contenuti essendo io a distanza”.

Ebbene, a fronte delle dedotte testimonianze, non si evince in alcun modo che il geom. sul quale gravava il relativo onere probatorio, abbia rilevato le difformità dell’opera, rispetto al progetto autorizzato dalla concessione edilizia, al committente e/o all’impresa esecutrice, né che abbia provveduto ad ordinare la sospensione dei lavori.

In ogni caso, difetta la prova documentale, attestante l’intervento in cantiere del veste di direttore dei lavori, finalizzato a censurare e contestare l’irregolare esecuzione delle opere (attraverso il verbale di sopralluogo ed il relativo ordine di servizio).

Alla luce dei suesposti rilievi, deve essere dichiarata la responsabilità delle accertate violazioni in capo al e, conseguentemente, egli va condannato a manlevare i convenuti chiamanti dai danni dagli stessi patiti e consistenti nei costi che dovranno essere sostenuti per la chiusura delle finestre sopra indicate.

Sulla chiamata in causa in manleva della compagnia assicuratrice spiegata dal va trattata l’eccezione da quest’ultimo sollevata in merito alla decadenza dalla facoltà di eccepire l’inoperatività della polizza, cui sarebbe incorsa la a causa della sua tardiva costituzione in giudizio.

Al riguardo, secondo la giurisprudenza di legittimità, “in tema di assicurazione della responsabilità civile, la cosiddetta eccezione di inoperatività della polizza assicurativa non costituisce un’eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa, una mera argomentazione giuridica, volta a contestare il fondamento della domanda con l’assumere l’estraneità dell’evento ai rischi contemplati nel contratto.

Essa, pertanto, non può costituire oggetto di abbandono o di tacita rinuncia, neanche ove non sia riproposta nelle conclusioni definitive specificamente formulate, con la conseguenza che, pure in tale ipotesi, permane il potere dovere del giudice di pronunciarsi sulla operatività della polizza già contestata”.

Essa è, pertanto deducibile per la prima volta in appello (Cass. n. 18742/2019; n. 1967/2000; Trib. Napoli n. 2383/2024).

Al lume di quanto sopra, attesa la natura della eccezione in questione, non può, dunque, accogliersi quanto dedotto dal l fine di sentir dichiarare la decadenza della dalla facoltà di proporre l’eccezione di inoperatività della polizza, siccome avanzata nella propria comparsa di costituzione e risposta, sebbene tardivamente depositata.

Infondata, inoltre, è l’eccezione del – contenuta nella memoria ex art. 183 c. 6 n. 1 c.p.c. – secondo cui “non risulta essere stato mai sottoscritto né fatto visionare né altrimenti portato a conoscenza del geom. in un momento precedente o coevo alla sottoscrizione del contratto…il documento sul quale si basano le eccezioni della compagnia assicurativa (Condizioni Generali di Assicurazione)…in quanto sottoposto ad una fase successiva alla firma”:

sul punto, occorre rifarsi al contenuto delle “Dichiarazioni Assicurato/Contraente” allegate alla polizza ed alle Condizioni Generali di contratto di assicurazione dalla stessa compagnia (cfr. all. 7 fasc. , da cui emerge ex actis che il contraente ha dichiarato, mediante apposita sottoscrizione, di aver ricevuto, prima della sottoscrizione del contratto, tutte le condizioni che lo regolamentavano.

In ordine, poi, all’eccezione del sull’invalidità e sull’inefficacia delle disposizioni assicurative richiamate da nella propria comparsa di costituzione (in particolare, l’art 6 sez. I delle Condizioni Generali di Assicurazione e l’art 7 delle sez. II delle Condizioni Generali di Assicurazione), in quanto costituenti clausole limitative della copertura assicurativa e pertanto bisognevoli di specifica sottoscrizione, va evidenziato che secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità:

“in tema di contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 c.c., quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito.

Al contrario, attengono all’oggetto del contratto quelle clausole che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa, dunque, specificano il rischio garantito” (cfr. Cass. n. 11757/2018).

Dall’esame delle disposizioni contrattuali oggetto di contestazione, emerge chiaramente come le pattuizioni de quibus si limitano a descrivere il rischio assicurato e non escludono la responsabilità dell’assicuratore e, mancando il carattere vessatorio, non richiedano un’apposita approvazione per iscritto.

In ragione di quanto evidenziato, la doglianza sollevata dal non merita accoglimento poiché le clausole di specie vanno inquadrate non già nella categoria delle pattuizioni dirette a limitare oppure ad escludere la responsabilità del debitore, ma fra quelle volte a meglio descrivere l’oggetto del contratto e, nello specifico del rischio assicurato.

Relativamente all’eccezione sollevata dalla compagnia assicuratrice e, nello specifico, l’inoperatività della polizza ex art. 6 delle Condizioni Generali di Assicurazione valgono le seguenti considerazioni.

L’art. 6 richiamato, segnatamente, prevede che “l’assicurazione è prestata sulla base delle dichiarazioni rese dal Contraente che, anche agli effetti di quanto disposto dagli artt.1892, 1893, 1897 e 1898 del Codice Civile, formano parte integrante della presente assicurazione.

Le dichiarazioni inesatte o le reticenze del Contraente o dell’Assicurato relative a circostanze che influiscono sulla valutazione del rischio, così come la mancata comunicazione da parte del Contraente o dell’Assicurato di circostanze aggravanti il rischio, possono comportare la perdita totale o parziale del diritto all’indennizzo, nonché la stessa cessazione dell’assicurazione”.

Nella specie, la Compagnia sostiene nelle proprie difese che l’esonero dall’obbligazione contrattuale sia conseguenza della reticenza dell’assicurato-contraente per aver egli omesso, all’atto della sottoscrizione della polizza, di evidenziare la (supposta) esistenza delle dedotte violazioni per cui è causa.

In merito alle dichiarazioni inesatte o reticenti ex artt.1892 e 1893 c.c., ossia quelle rese al momento del contratto, che impediscono all’assicuratore di valutare circostanze influenti sul verificarsi dell’evento dannoso assicurato, aumentandone o riducendone l’alea, con conseguente riflesso sul consenso dell’assicuratore o sulle condizioni contrattuali, giova rilevare che la causa di annullamento ex art. 1892 c.c. presuppone il concorso di tre elementi essenziali quali:

a) una dichiarazione inesatta o reticente dell’assicurato;

b) l’influenza determinante di tale dichiarazione o reticenza sulla formazione del consenso dell’assicurato;

c) la sussistenza del dolo o della colpa grave dell’assicurato.

Al fine di integrare l’elemento soggettivo del dolo, non è, poi, necessario che l’assicurato ponga in essere artifici o altri mezzi fraudolenti, essendo sufficiente la sua coscienza e volontà di rendere una dichiarazione inesatta o reticente;

mentre, quanto alla colpa grave, occorre che la dichiarazione inesatta o reticente sia frutto di una grave negligenza presupponente la coscienza della dichiarazione o della reticenza, in uno con la consapevolezza dell’importanza dell’informazione inesatta o nascosta rispetto alla conclusione del contratto ed alle sue condizioni (cfr. Cass. 12086/2015; n. 25582/2011).

Al predetto fine ed allo scopo di delimitare l’obbligo dell’assicurato, l’assicuratore è tenuto ad indicare, specificamente, all’assicurato, le circostanze che egli intende conoscere, poiché, ai fini della configurabilità dell’elemento soggettivo è necessario che il dichiarante non solo abbia, o debba avere, la conoscenza delle circostanze taciute o inesattamente riferite, ma anche che sia o debba essere consapevole del loro valore determinante sul consenso dell’altra parte, non essendo, ovviamente, ipotizzabile un obbligo d’informazione su ciò che non è conosciuto. Delineata la fattispecie in esame e tornando al caso di specie, è incontrovertibile la preesistente conoscenza della violazione delle distanze per cui è causa da parte del essendo questa implicita nel duplice ruolo di progettista e direttore dei lavori da quest’ultimo ricoperto.

A fondare tale convincimento soccorrono ulteriori elementi:

la contraddizione in cui è incorso il nella propria comparsa di costituzione, laddove, da un lato, deduce di aver “svolto con professionalità diligenza e perizia il suo compito di predisporre il progetto e curare che la ditta medesima si attenesse allo stesso” e, dall’altro, ammette di aver “previsto in progetto una distanza tra i due edifici pari a 10.10 mt;

sta di fatto che tale distanza in maniera unilaterale ed arbitraria non è stata rispettata dai e dalla ditta incaricata”;

inoltre, dalla comparsa di costituzione si evince la conoscenza che la costruzione de qua violava la normativa sulle distanze, allorquando egli afferma “le contestazioni oggi sollevate dalla sarebbero risultate vane se solo i e la loro ditta si fossero attenuti al progetto ed alle direttive del direttore dei lavori, impartite sia durante l’esecuzione degli stessi, sia dopo l’effettuazione della sopraelevazione, allorquando lo stesso impartiva, in più occasioni, di arretrare la costruzione”;

infine, le ulteriori considerazioni, secondo cui “in più occasioni…censurava e contestava l’esecuzione delle relative opere, intervenendo in cantiere e provvedendo ad impartire le opportune direttive ed istruzioni, sempre ampiamente disattese dalle maestranze della ditta incaricata dalla proprietà” sono rimaste, come innanzi detto, sfornite di prova.

Risulta, dunque, evidente che il già in fase di esecuzione dell’opera e, quindi, ben prima della sottoscrizione della polizza (avvenuta in data 26.9.2011), fosse a conoscenza della violazione delle distanze e delle rispettive conseguenze ascrivibili alla reticenza dello stesso contraente-dichiarante.

Ne deriva, dunque, che l’omessa dichiarazione della preesistente violazione delle distanze, all’epoca della sottoscrizione del contratto assicurativo da parte del abbia alterato il sinallagma contrattuale comportando, in forza dell’art. 6 delle Condizioni Generali dell’Assicurazione, l’esclusione del rischio dalla operatività della polizza.

Pertanto, va dichiarata l’inefficacia della polizza assicurativa.

Quanto alle spese di lite va osservato quanto segue.

In considerazione dell’esito della lite e dell’esame delle singole posizioni ed eccezioni, sussistono i presupposti per la compensazione integrale delle spese processuali ex art. 92 c.p.c., tenuto conto, a tal fine, della peculiarità della questione concernente i rapporti tra il principio della prevenzione e le opere realizzate in tempi diversi e dell’oggettiva difficoltà degli accertamenti in fatto, idonei a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti.

Stesso dicasi per la posizione del convenuto , che ha dedotto il proprio difetto di legittimazione passiva solo nella fase finale del giudizio.

Stessa sorte seguono le spese di C.T.U., già liquidate con decreti del 9.7.2015, del 20.1.2023 e del 24.10.2023.

il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:

– dichiara il difetto di legittimazione passiva di – per le ragioni di parte motiva, accerta che la costruzione di cui al p.d.c. n. 139/2006 viola i limiti imposti dall’art. 9 del D.M. 1444/1968 in tema di distanze tra costruzioni e, per l’effetto, condanna , nelle rispettive qualità indicate in parte motiva, a chiudere le aperture interessate dalla dedotta violazione di cui all’art 9 D.M. 1444/1968, così come descritte in motivazione;

– rigetta la domanda di risarcimento del danno avanzata da – accoglie la domanda di manleva di spiegata nei confronti di e, per l’effetto, condanna a manlevare da quanto gli stessi dovranno effettivamente sborsare per la chiusura delle finestre oggetto di causa per effetto della presente pronuncia;

– rigetta la domanda di manleva proposta da nei confronti di – compensa integralmente tra le parti le spese processuali, ivi comprese quelle di C.T.U. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti competenza.

Bari, 2.10.2024 Il Giudice NOME COGNOME

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