La Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale la cessione di un ramo di azienda senza corrispettivo o con corrispettivo inferiore al valore reale; né assume rilievo, al riguardo, il dettato dell’articolo 2560, comma 2, c. c. in ordine alla responsabilità dell’acquirente rispetto ai pregressi debiti dell’azienda, costituendo tale garanzia un “post factum” della già consumata distrazione (Sez.
La Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale la cessione di un ramo di azienda senza corrispettivo o con corrispettivo inferiore al valore reale; né assume rilievo, al riguardo, il dettato dell’articolo 2560, comma 2, c.c. in ordine alla responsabilità dell’acquirente rispetto ai pregressi debiti dell’azienda, costituendo tale garanzia un “post factum” della già consumata distrazione (Sez. 5, n. 34464 del 14/5/2018; Sez. 5, n. 17965 del 22/1/2013).
E’ questo il nucleo centrale della decisione impugnata che è coerente con lo stabile orientamento secondo cui la cessione di un ramo d’azienda che renda non più possibile l’utile perseguimento dell’oggetto sociale senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della società è senza dubbio una operazione distrattiva (cfr. tra le tante Sez. 5, n. 10778 del 10/01/2012; Sez. 5, n. 24024 del 01/04/2015; vedi anche Sez. 5, n. 44218 del 19/10/2021).
Il ruolo di amministratore, prima “di diritto” e poi “di fatto“, ricoperto nella società fallita e l’operazione simulata di cessione delle sue quote, evidente dall’assenza di corrispettivo, costituiscono due elementi chiave, dai quali del tutto logicamente la Corte d’Appello ha tratto la prova del reato: ed è significativo che la contabilità per intero non sia stata ritrovata, il che ha impedito al curatore di ricostruire le vicende del patrimonio e il movimento degli affari della fallita, così come di individuarne i beni, non consentendo nemmeno di accertare la destinazione di alcune rimanenze di magazzino.
Del resto, le vicende di successione nella gestione aziendale della fallita evidenziano il ruolo di continuità gestoria che ha avuto l’imputato, il quale ha, sostanzialmente, assunto la gestione di fatto della società poi fallita, dopo aver dismesso la carica formale di amministratore, lasciandola dapprima all’anziana madre e, quindi, successivamente, ad una figura “di comodo”: tali circostanze illuminano anche l’elemento soggettivo doloso del reato che, evidentemente, non può che farsi derivare da indicatori fattuali del tipo di quelli in considerazione.
In tali condizioni complessive, l’omessa tenuta della contabilità interna allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali, integra il reato di bancarotta fraudolenta documentale (Sez. 5, n. 18320 del 7/11/2019, in una fattispecie analoga in cui è stato ritenuto responsabile del reato proprio chi aveva assunto la gestione di fatto della società dopo aver lasciato la carica formale di amministratore).
Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, Sentenza n. 509 del 10 gennaio 2023
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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