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Confisca per equivalente nei confronti del legale rappresentante

Se è indubbio che la confisca possa essere disposta anche nei confronti di un soggetto che non ha conseguito alcun profitto e che, perciò, possa portare a un depauperamento netto del patrimonio di tale soggetto, nondimeno la stessa è pacificamente subordinata all’impossibilità di operare una confisca diretta nei confronti della società.

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Con ordinanza del 14 giugno 2024, la Corte di appello di Bologna ha rigettava l’opposizione all’ordinanza resa dalla stessa Corte, in funzione di giudice dell’esecuzione, il 13 novembre 2023, di rigetto della richiesta di revoca della confisca della somma di euro 922.006,28, disposta con sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, commesso dal legale rappresentante nell’interesse di una società.

La confisca era stata disposta per equivalente sui beni personali del legale rappresentante della società che si era avvantaggiata del mancato pagamento dell’Iva, essendo incapiente il patrimonio della società stessa.

Avverso l’ordinanza, l’interessato proponeva ricorso per cassazione.

Il provvedimento impugnato muoveva dall’assunto che il pagamento del debito tributario da parte della società, nel cui interesse il reato era stato commesso, successivo al passaggio in giudicato della sentenza che disponeva la confisca per equivalente del profitto del reato in capo al legale rappresentante della società stessa, fosse irrilevante ai fini dell’eseguibilità o dell’ammontare della confisca stessa.

Si affermava, in particolare, che non vi era alcuna duplicazione sanzionatoria, in conseguenza di quanto stabilito dall’art. 12-bis, comma 2, del d.lgs. 74 del 2000, disposizione di favore che troverebbe applicazione solo prima del passaggio in giudicato della sentenza.

Tali affermazioni si ponevano in contrasto con la giurisprudenza della Suprema Corte, la quale evidenzia come, nei reati tributari, il profitto suscettibile di confisca, corrispondente alla somma non versata, deve essere calcolato avuto riguardo al momento in cui tale somma avrebbe dovuto essere versata, potendo determinare la corresponsione postuma della somma non versata una mera riduzione del quantum oggetto di confisca e la sterilizzazione dell’operatività della stessa, ove il contribuente si impegni a versare il dovuto entro i termini ammessi dalla legislazione tributaria di settore (ex multis, Sez. 3, n. 23962 del 10/02/2023).

In generale, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Rv. 263409; Sez. 3, n. 6635 del 08/01/2014).

La confisca per equivalente, dunque, non può riguardare somme superiori all’effettivo profitto conseguito, quantificato decurtando dal valore del patrimonio sottratto le somme recuperate dal fisco a seguito di versamenti effettuati (Sez. 3, n. 4097 del 19/01/2016).

E non osta a tale conclusione la natura sanzionatoria della confisca per equivalente disposta nei confronti del legale rappresentante di una società che non si sia avvantaggiato personalmente del profitto del reato.

Se, infatti, è indubbio che la confisca possa essere disposta anche nei confronti di un soggetto che non ha conseguito alcun profitto e che, perciò, possa portare a un depauperamento netto del patrimonio di tale soggetto, nondimeno la stessa è pacificamente subordinata all’impossibilità di operare una confisca diretta nei confronti della società (ex plurimis, Sez. 5, n. 6391 del 04/02/2021; Sez. 3, n. 29862 del 01/12/2017, dep. 03/07/2018, Rv. 273689; Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014).

Tale subordinazione risponde all’esigenza di contemperare la finalità sanzionatoria legittimamente perseguita dall’ordinamento con la natura necessariamente ripristinatoria della confisca; con la conseguenza che, una volta operato il ripristino, la confisca viene meno nella misura corrispondente e può venire meno in tutto e per tutto, qualora il ripristino sia stato totale.

In altri termini, il depauperamento economico del soggetto destinatario della confisca è consentito solo nella stretta misura in cui risponda ad un’esigenza recuperatoria.

Si tratta di un principio generale che trova applicazione anche nella fase esecutiva e che va oltre il disposto dell’art. 12-bis, comma 2, del d.lgs. n. 74 del 2000, il quale ha una portata limitata alla disciplina dell’impegno del contribuente a versare all’erario le somme e alle conseguenze del mancato versamento.

Le considerazioni che precedono trovano applicazione anche nel caso in esame, in cui il ricorrente sosteneva di avere fornito prova dell’integrale pagamento del debito tributario («si era impegnata a pagare ed aveva poi pagato l’Iva dovuta»), ma non presa in considerazione dalla Corte di appello, sull’assunto che l’eventuale duplicazione del pagamento del debito tributario, da parte di soggetti diversi, sarebbe consentita dall’ordinamento, vista la funzione sanzionatoria della confisca per equivalente.

Alla rilevata erroneità di tale assunto ha avuto conseguenza l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, sentenza n. 6578 del 18 febbraio 2025

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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