Il 12 luglio 2012 l’Agenzia delle Entrate di Treviso notificava a XXX srl in liquidazione, società produttrice di marmitte e componenti per auto, avviso di accertamento per l’anno 2006 con il quale, stante la mancata presentazione del Modello Unico 2007 per l’anno in questione, rideterminava induttivamente in euro 887.332,00 il volume d’affari Iva ed in euro 200.200,00 il reddito ai fini Ires ed Irap, recuperando le maggiori imposte dovute con relative sanzioni; l’Ufficio procedeva alla ricostruzione del volume d’affari e dei redditi della società, ex artt. 55 d.P.R. 633/72 e 41 d.P.R. 600/73, prendendo a riferimento, per il primo, l’importo delle operazioni Iva dichiarate dalla società con la comunicazione annuale e, per i secondi, l’applicazione a tale volume d’affari di una detrazione per costi d’impresa forfettariamente stabilita con riguardo a campione medio di società del settore.
La società impugnava l’avviso di accertamento avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Treviso la quale, con sentenza n. 219/03/14 del 12.3.2014, accoglieva in parte il ricorso, ritenendo legittima la sola ripresa Iva, che rideterminava in euro 24.921,40 con applicazione delle sanzioni di Legge.
Il 9 giugno 2014 la società veniva cancellata dal Registro delle Imprese di Treviso.
Il 29 ottobre 2014 l’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso questa sentenza evocando in giudizio, vista la cancellazione della società, i soci YYY, ZZZ ed KKK.
Affermava preliminarmente la responsabilità di costoro per il debito della società, ex artt. 2495, co, 2^, cod. civ. e 36 co. 3^ d.P.R. 602/73, allegando a proprio interesse il fatto che, pur in presenza di un bilancio finale di liquidazione che, in quanto negativo, non aveva attribuito alcunché ai soci, risultasse comunque in bilancio l’appostazione di un credito della società verso il Fisco per annualità pregresse, come tale suscettibile di compensazione con la pretesa dedotta.
Si costituivano i soci i quali eccepivano preliminarmente che, a seguito della cancellazione della società, il giudizio – inizialmente radicato esclusivamente nei confronti di quest’ultima – non poteva proseguire e che, comunque, facevano difetto sia l’interesse ad agire in capo all’Agenzia delle Entrate (asseritamente basato su una compensazione nei confronti di un soggetto non più esistente), sia la loro legittimazione passiva, in quanto non destinatari di somme o beni in sede di liquidazione ex art. 2495 cod. civ..
La Commissione Tributaria Regionale del Veneto accoglieva l’appello e, in riforma della prima decisione, affermava la legittimità in toto dell’avviso così come notificato alla società osservando che:
– l’Agenzia delle Entrate aveva correttamente chiamato in causa gli ex soci della società medio tempore cancellata posto che, per effetto del fenomeno di tipo successorio che si era così venuto a creare ex art. 110 cod. proc. civ. (come evincibile da Cass. SU n. 6070/2013) essi, anche se rimasti estranei al primo grado di giudizio, avevano acquisito la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, senza che ciò determinasse una lesione dei loro diritti di difesa;
– atteso che il giudizio verteva unicamente sull’avviso di accertamento notificato alla società per il 2006, le ulteriori questioni che i soci avevano sollevato circa i limiti della loro responsabilità diretta per il pagamento delle somme derivanti da detto avviso (in quanto non destinatari di beni in sede di liquidazione finale) non potevano avere ingresso, trattandosi di eccezioni che avrebbero potuto essere eventualmente dedotte in un diverso giudizio.
I soci proponevano ricorso per cassazione.
In base all’art. 2495 cod. civ. (originariamente nel suo 2^ co., poi divenuto 3^ co. a seguito della modifica apportata dal D.L. n.76/2020 conv. in legge n. 120/20): “Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società”.
La disposizione ricalca l’art. 2456 cod. civ. nella formulazione previgente alla riforma del diritto societario di cui al d.lgs. n. 6/2003, collocandosi però in un contesto normativo del tutto nuovo, segnato dal definitivo superamento della risalente e consolidata tesi della permanenza in vita della società fino ad avvenuta definizione di ogni rapporto giuridico ad essa riferibile (c.d. ‘liquidazione sostanziale’), a favore della natura costitutiva, ad effetto immediato, dell’estinzione della società a seguito ed a causa della sua cancellazione dal registro delle imprese (Cass. SSUU n. 4060/10); tanto che la vera innovazione dell’art. 2495 rispetto all’art. 2456 prev. va appunto individuata nella precisazione iniziale, per cui la responsabilità dei soci dopo la cancellazione opera, adesso, ad estinzione sociale avvenuta: “Ferma restando l’estinzione della società (…)”.
Nel caso esaminato, non vi è dubbio che il giudizio di opposizione introdotto dalla società e proseguito dai o contro i soci che ad essa siano succeduti scaturisca da un atto impositivo e da correlati motivi di contestazione del tutto avulsi dalla tematica della responsabilità patrimoniale personale dei soci ex art. 2495 cod. civ..
Ne deriva che l’oggetto del giudizio stesso, per quanto lo si voglia estendere al merito, non può traslare dal rapporto originario (debito della società) a quello sopravvenuto e mutato per effetto della cancellazione (debito dei soci nei limiti di quanto percepito), per quanto ad esso connesso o da esso derivato.
Viene, dunque, ribadito il già affermato orientamento di legittimità (Cass.n. 9672/18) in ordine al fatto che:
– l’eccezione di difetto di responsabilità per mancato ricevimento di somme in sede di distribuzione non può essere introdotta nel giudizio relativo alla pretesa erariale nei confronti della società quale fatto impeditivo della pretesa avanzabile nei confronti del socio, tenuto conto delle caratteristiche formali ed amministrative dell’atto impositivo, nonché della natura impugnatoria del processo;
– ciò vale sia che venga attivata la speciale procedura prevista dall’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 sia, per evidenti ragioni di omogeneità e di compiutezza dell’accertamento tributario e comunque per l’indistinto richiamo di cui al co. 5^ dell’art. 36 alle varie forme di responsabilità in questo contemplate, che venga attivato l’art. 2495, secondo comma, cod. civ..
Le richiamate peculiarità del processo tributario, a loro volta radicate in quelle dell’obbligo tributario e del suo accertamento, sono ampiamente tali da giustificare una disciplina normativa, quella di cui all’art. 36, che appare per certi versi deteriore per il Fisco rispetto a quella applicabile al creditore, per così dire, di ‘diritto comune’, venendo alla fine solo ad esso imposto di far valere ex novo, e non già immediatamente e direttamente nel processo interrotto e riassunto, la responsabilità degli ex soci.
E tuttavia, visto dal lato del contribuente, ciò appare conforme alla tutela accordatagli dall’ordinamento in ragione delle già menzionate caratteristiche pubblicistiche ed autoritative proprie dell’obbligo tributario e della relativa fase dell’accertamento, non senza osservare come, ad ogni buon conto, la notificazione di un nuovo atto di imposizione all’ex socio (sia questo un avviso di accertamento ovvero anche un atto impo-esattivo ex art. 29 d.l. n.78/2010 conv. legge 122/10) non implica propriamente un ‘ripartire da zero’, ben potendo l’Ufficio con esso spendere il giudicato di effettiva sussistenza del debito tributario della società estinta formatosi, nel contraddittorio con i soci, nel giudizio ad esso relativo.
E tutto questo vale anche nell’ipotesi, come quella qui riscontrabile, in cui l’estinzione della società di capitali, all’esito della cancellazione dal registro delle imprese, intervenga in pendenza del termine per impugnare, nel qual caso l’impugnazione della sentenza (resa nei riguardi della società) deve rispettivamente provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta, individuati come ‘giusta parte’ dell’impugnazione stessa (Cass.n. 9094/17 cit; Cass.n. 15035/17; n. 14446/18; n. 897/19).
Tirando le fila del discorso, le sezioni unite hanno stabilito che:
• nella fattispecie di responsabilità dei soci limitatamente responsabili per il debito tributario della società estintasi per cancellazione dal registro delle imprese, il presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, di cui al 3^ (già 2^) co. dell’art. 2495 cod. civ., integra, oltre alla misura massima dell’esposizione debitoria personale dei soci, una condizione dell’azione attinente all’interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam dei soci stessi;
• questo presupposto, se contestato, deve conseguentemente essere provato dal Fisco che faccia valere, con la notificazione ai soci ex artt. 36 co. 5^ d.P.R. n. 602/73 e 60 d.P.R. 600/73 di apposito avviso di accertamento, la responsabilità in questione, fermo restando che l’interesse ad agire dell’Amministrazione finanziaria non è escluso per il solo fatto della mancata riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, potendo tale interesse radicarsi in altre evenienze, quali la sussistenza di beni e diritti che, per quanto non ricompresi in questo bilancio, si siano trasferiti ai soci, ovvero l’escussione di garanzie;
• la verifica del presupposto dell’avvenuta riscossione in base al bilancio finale di liquidazione, concernendo un elemento che deve essere dedotto nella fase di accertamento da indirizzarsi direttamente nei confronti dei soci ex art. 36 co. 5^ d.P.R. n. 602/73, non può avere ingresso nel giudizio di impugnazione introdotto dalla società avverso l’avviso di accertamento ad essa originariamente notificato, quand’anche questo giudizio venga poi proseguito, a causa dell’estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese, da o nei confronti dei soci quali successori della società stessa.
La Commissione Tributaria Regionale, riformando la prima decisione, ha affermato che: – correttamente l’Agenzia delle Entrate aveva chiamato in giudizio gli ex soci della società nelle more cancellata dal registro delle imprese e nei confronti della quale, soltanto, era stato emesso l’atto impositivo impugnato; – la qualità di parte assunta dai soci nel procedimento discendeva dal fenomeno di tipo successorio derivante dall’estinzione della società, con conseguente loro legittimazione attiva e passiva ex articolo 110 cod. proc. civ..
Tutte le questioni diverse dalle contestazioni mosse contro l’avviso di accertamento notificato a XXX srl in liquidazione per l’anno 2006 (quali, segnatamente, il limite della responsabilità personale dei soci per le somme portate dall’avviso in esame) esulavano dalla materia del contendere, trattandosi di problematiche destinate ad essere eventualmente dedotte in un diverso procedimento amministrativo o giurisdizionale di accertamento, direttamente ad essi relativo.
Decisione pienamente in linea con l’indirizzo tracciato.
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 3625 del 12 febbraio 2025
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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