Fin dall’Ottocento tra coloro che si sono organizzati per opporsi al capitalismo, e successivamente fra i militanti di partiti, organizzazioni e movimenti di ispirazione marxista si è diffusa l’abitudine a chiamarsi “compagni”. Nella cultura socialista, comunista, anarchica e in generale di sinistra (in Italia anche nell’ambito del Radicalismo, ovvero la sinistra liberale e laica) il compagno è un soggetto, un individuo come gli altri, ma un individuo che cerca di superare la propria individualità e cerca la propria realizzazione attraverso un progetto comune di tipo solidale e collettivistico. Il filosofo Jean-Paul Sartre ha parlato nel 1960 del cosiddetto gruppo-in-fusione che mira ad una finalità-progetto. Per Sartre, si è compagni solo se si ha un progetto comune da compiere insieme. Secondo il giornalista e scrittore Vittorio Messori, l’abitudine di chiamarsi compagno risale ai gesuiti di Ignazio di Loyola. Etimologicamente il termine “compagno” rimanda al mangiare insieme, dal latino medievale companio. “Compagno” significa cum-panis, quindi colui con cui si spezza insieme il pane (calco del greco σύντροφος, “cresciuto con”, “convivente con”, “che collabora”, dal verbo συντρέφω, “crescere insieme”, “essere educato”, “essere composto da”) .