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Conservatore

I Conservatori di Roma o della Camera Capitolina altrimenti Conservatores Camerae Alme Urbis , erano i tre magistrati, che insieme al Priore dei Capo Rioni, costituivano il Magistrato Romano. Talvolta erano detti Conservatori del Popolo Romano. Noti fin dal 1305 e fino al 1866, e istituiti successivamente all’uso di nominare Senatori di Roma forestieri ignari delle leggi e delle consuetudini del popolo romano, vegliavano sull’osservanza e sul mantenimento degli Statuta principalmente da parte dei Senatori, sulle condizioni e manutenzione delle mura dei ponti e delle strade della città e sulla conservazione dei monumenti pubblici, reperendone i relativi fondi, con numerose altre prerogative rappresentando il vertice dell’amministrazione cittadina; per tali funzioni erano considerati gli eredi degli antichi Edili romani e rappresentavano la Camera Capitolina. La loro autonomia che era andata progressivamente aumentando durante la Cattività avignonese, venne sensibilmente ridimensionata al ritorno a Roma del Papa nella persona del romano Martino V Colonna che nella sua opera di risanamento delle istituzioni ecclesiastiche e locali, ne aumentò la loro dipendenza dalla Curia romana; non era infatti rara la nomina pontificia a Conservatore. La loro residenza era il Palazzo omonimo nella piazza del Campidoglio con gli uffici e archivi del Senato romano. Ricevevano nelle loro mani il giuramento del nuovo Senatore di Roma. Venivano estratti sulla base di liste redatte per ognuno dei 14 Rioni dai relativi Capo-Rioni, noti come Banderesi dal 1262, che insieme agli imbussolatori formavano l’elenco degli eleggibili che venivano messi nel bussolo ed estratti alla presenza dei principali rappresentanti della municipalità e della Curia nella basilica dell’Ara Coeli in Campidoglio, ogni tre mesi (dopo il 1731 ogni sei mesi) tra le principali famiglie romane e poi dalle 180 nobili descritte nella Bolla Urbem Romam del 1746. L’elezione all’ufficio molto ambita sia per il cospicuo compenso sia perché l’elezione attribuiva alla famiglia dell’eletto il rango della nobiltà municipale o civica romana, seguiva una procedura molto complessa, una volta avvenuta non poteva ripetersi se non dopo una sospensione di due mandati; tuttavia le famiglie che più frequentemente si fregiarono di tale dignità furono soprattutto quelle di più antico radicamento nel patriziato romano tra cui spiccavano su tutte i Mattei nei loro diversi rami che solo tra 1500 e 1564 ricoprirono il Conservatorato per ben 23 volte, seguiti dagli Altieri, i Caffarelli, i Capranica, i Cenci, i Crescenzi, i Del Bufalo, i Mancini, i Santacroce, seguite a loro volta da diverse altre (Alberini, Albertoni, Arcioni, Astalli, Boccamazza, Boccapaduli, Capizucchi, Capocci, Capodiferro-Maddaleni, Castellani, Cesarini, Fabi, Leni, Maccarani, Margani, Massimo, Mellini, Muti, Naro, Paluzzi, Paoli, Papazzurri, Planca Coronati, Ponziani, Porcari, Sanguigni, Tedallini ecc.). Pur essendo il ceto nobiliare romano necessariamente “aperto” grazie al continuo afflusso nella città di nuove famiglie al seguito dei Papi, il patriziato romano pur permettendo l’inserimento di nuove famiglie nelle cariche cittadine, tese a mantenere saldo il controllo sulle cariche più importanti all’interno del nucleo più antico di esso. Queste famiglie originariamente erano quelle che Paolo Giovio definì come nobiltà della seconda squadra le cui entrate derivavano quasi esclusivamente dall’esercizio del bovattiere ossia dell’allevatore di bestiame o del mercante di campagna, dall’appalto delle gabelle, dalla mercatura e dal prestito di denaro o del lucroso commercio dei tessuti, differenziandosi cioè dalla decina o poco più di famiglie che costituivano il nucleo della aristocrazia feudale, le cui entrate erano costituite in larga parte da rendite feudali e dall’esercizio dei diritti baronali alle quali le famiglie della nobiltà civica sistematicamente fornivano, schierate nel quadro delle tradizionali alleanze famigliari, appoggio finanziario e militare durante le lotte per il predominio della Città. Erano destinati dal Papa, presso cui si recavano appena eletti , a rappresentare il popolo romano con tribunale, soppresso nel 1847, e ministri distinti da quello del Senatore di Roma (di cui ne esercitavano le funzioni in sua mancanza), sui ricorsi presentati dai Consoli delle Arti e di altre materie e del Consolato dell’Agricoltura, e con la piena giurisdizione sui feudi del popolo romano: Magliano Sabina, Cori, Barbarano Romano e Vitorchiano con diritto di visita su di essi. Godevano tra gli altri privilegi, quello di sostenere le aste del baldacchino del Papa durante la cerimonia della sua incoronazione. Nelle cerimonie vestivano dell’abito, detto rubbone, senatorio di broccato d’oro lungo sino ai piedi con maniche larghissime e berrettone nero. Nella firma dei loro atti in rappresentanza del Senato Romano, si servivano della seguente formula: Senatus Populique Romanus auctoritate qua fungimur + S.P.Q.R.

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