L’esecutore testamentario è la persona di fiducia del testatore, ovvero colui al quale viene dato l’incarico di curare che siano esattamente seguite le ultime volontà scritte nel testamento. I motivi che possono indurre il testatore alla nomina di un esecutore sono svariati, ma in ogni caso hanno natura privatistica e perciò l’esecutore testamentario non è titolare di un pubblico ufficio. Anzi, quello che ricopre è un ufficio del tutto privato, svolto in nome proprio senza alcun rapporto di rappresentanza, in attuazione di interessi interni alla successione in caso di morte. Non è quindi condivisibile l’opinione per la quale la costituzione dell’ufficio dell’esecutore è riconducibile ad un contratto: infatti, la nascita di questo ufficio è un “supereffetto’ che dipende dal combinarsi dell’effetto della disposizione testamentaria di nomina con quello tipico dell’accettazione del designato. Non si può neppure dire, quindi, che l’ufficio si costituisce solo in via unilaterale, costruendolo solo sulla disposizione testamentaria di nomina (rispetto alla quale l’accettazione sarebbe solo una condizione di efficacia): l’accettazione, infatti, deve essere intesa come elemento costitutivo della fattispecie. Alla luce delle precedenti considerazioni, l’esecutore testamentario può essere considerato un caso di mandato post mortem, nel quale si coordinano la disposizione di nomina e l’accettazione, i quali atti mantengono però la loro autonomia senza fondersi in un accordo. La disposizione di nomina rientra nel contenuto tipico del testamento, ovvero nel suo contenuto patrimoniale: infatti, è una disposizione che può esplicare la sua efficacia solo rispetto all’esistenza dei lasciti di beni.