Il martirio secondo il cristianesimo è la condizione che il seguace (martire, dal greco μάρτυς, cioè «testimone») subisce per difendere la propria fede in Cristo o per difendere la vita di altri cristiani. Nella storia della chiesa primitiva i martiri cristiani venivano torturati o uccisi tramite lapidazione, crocifissione e morte sul rogo. All’inizio il martirio nel cristianesimo indicava la sopportazione di sacrifici, stenti e privazioni fisiche per onorare Dio, ma in seguito il termine venne applicato per indicare quasi esclusivamente i cristiani che venivano uccisi per la loro fede. I primi martiri cristiani in assoluto furono gli apostoli di Gesù, fatta eccezione per Giovanni, che morì in esilio. Il periodo del cristianesimo primitivo precedente al regno di Costantino viene considerato “l’era dei martiri”. La morte in martirio di un cristiano veniva considerata un tempo il “battesimo nel sangue”, nel senso di una purificazione totale dell’anima, simile all’effetto del battesimo in acqua. Secondo il catechismo cattolico la figura del martire è antitetica a quella dell’apostata, di colui cioè che ha tradito la fede. I martiri sono onorati come santi o beati e mediante preghiere, funzioni e celebrazioni eucaristiche; se ne commemora il dies natalis o il giorno della morte. Questo culto dei martiri è una delle forme di espressione privata e pubblica della fede cristiana, radicata già nelle prime comunità che dovevano confrontare le loro nuove dottrine prima con la tradizione giudaica e quindi con quella imperiale romana.