Piuttosto che è un’espressione della lingua italiana che conosce, nella norma linguistica, un uso avversativo e comparativo, ma che, soprattutto a partire dagli anni novanta del XX secolo, ha subito uno slittamento semantico frutto di un’evoluzione “deviata” compiutasi soprattutto nelle parlate dei ceti agiati settentrionali, che ha visto l’affermarsi di una particolare modalità di utilizzo, appiattita sull’uso disgiuntivo, trasformatasi col tempo in fenomeno socio-linguistico diffusissimo, da alcuni percepito come “dilagante”. Questo uso assume i caratteri di una “moda” alla quale non è estranea una sottesa dose di esibito “snobismo” e una “certa aura di prestigio” che deriva dall’origine settentrionale del vezzo lessicale. La diffusione di tale uso porta spesso all’ascolto di comunicazioni nelle quali l’espressione piuttosto che, in alcuni contesti, assume il valore peculiare di correlativo disgiuntivo, con una forte tendenza a sostituire (oltretutto, in maniera prolissa) la costruzione dell’incapsulamento ricorsivo retto delle congiunzioni “o”/”oppure”. Si tratta di frasi come “penso che domani andrò al cinema, piuttosto che al teatro, piuttosto che al vernissage. Non ho ancora deciso”, in cui si lascia intendere che le opzioni enunciate siano fra di loro alternative e poste sullo stesso piano in quanto a preferenza. Nell’uso normale, consolidato nella secolare tradizione grammaticale della lingua italiana, la frase, invece, andrebbe intesa in un senso avversativo o comparativo, in cui la prima ipotesi è preferita a tutte le altre. Anzi, la reiterazione del “piuttosto che” per due o più volte, come avviene nell’esempio citato, non sarebbe nemmeno consentita nell’uso “standard” mentre, invece, è frequentissima nell’uso disgiuntivo di questa forma neo-standard. Gli effetti del proliferare di tale “moda” possono essere diversi a seconda dei casi: essi possono variare da una semplice ambiguità semantica (risolvibile, nei casi più blandi, facendo ricorso al contesto linguistico e semantico), fino all’esito più grave di far intendere all’interlocutore un significato diverso da quello che era nelle intenzioni del parlante. Nei casi più gravi, questo uso particolare può portare all’espressione di un nonsenso. A fronte della disseminazione del fenomeno, si registrano opposti fenomeni di altissima insofferenza e idiosincrasia, provenienti da esperti di [[lingua italiana]] e [[comunicazione]], o da autori e scrittori. Esiste anche un fenomeno di mobilitazione “dal basso”, con campagne su [[Internet]], in taluni casi vere e proprie “[[crociata|crociate]]” promosse e sostenute da platee di utenti del Web, con iniziative come la creazione di gruppi [[Facebook]] e la pubblicazione di video su [[YouTube]]. L’uso deviato del “piuttosto che” è considerato così [[Paradigma|paradigmatico]] degli abusi comuni della lingua, da aver dato il titolo a una pubblicazione linguistica sugli errori e i [[Tic linguistico|tic linguistici]] più diffusi da evitare: ”Piuttosto che. Le cose da non dire, gli errori da non fare”, dei linguisti [[Valeria Della Valle]] e [[Giuseppe Patota]]. == Ambiguità semantica == La formulazione con “piuttosto che” risulta pertanto ambigua: per essere decifrata, è necessario che l’interlocutore interpreti la frase in relazione al contesto in cui essa viene pronunciata (mentre nessun aiuto interpretativo proviene da differenze di intonazione, dal momento che nessun elemento [[Prosodia|prosodico]] sembra distinguere il significato “[[italiano neostandard|neostandard]]” da quello della [[lingua standard]]). Il suo uso è pertanto deprecato, non per l’insita contrarietà a usi consolidati (dal momento che, per forza di cose, ogni innovazione linguistica deve trasgredire abitudini consolidate), ma perché essa ingenera un'”[[ambiguità]] sostanziale” che mette a repentaglio la funzione fondamentale del linguaggio. Tale ambiguità sostanziale è ancor più deprecabile qualora si indulga all’uso in [[Linguaggi settoriali|ambiti settoriali]], come [[Terminologia scientifica|quello scientifico]] e quello giuridico, in cui risulta cruciale la “congruenza e l’univocità” di lessico e [[terminologia]]. == Origini e proliferazione del fenomeno == Il manifestarsi di questo fenomeno semantico viene avvertito come un prodotto degli [[anni 1990|anni novanta]] del Novecento, anche se, in realtà, si possiede una sicura testimonianza circa un uso geograficamente e socialmente circoscritto ([[ceto medio]] [[Torino|torinese]]) già nei primi [[anni 1980|anni ottanta]]. Sembra che all’irradiazione di questo termine debba essere ascritta un'[[Lingua lombarda|origine lombarda]], o circoscritta a [[Milano]], secondo [[Lorenzo Renzi (linguista)|Lorenzo Renzi]]. Più genericamente, gli si può riconoscere un epicentro [[Italia Settentrionale|settentrionale]]. Alla fine degli anni novanta, ad esempio, i linguisti di professione la avvertivano come un’usanza [[diatopia|diatopicamente]] circoscritta all’ambito delle [[Lingue parlate in Italia#Lingue settentrionali|parlate settentrionali]] e del [[Canton Ticino]]. La sua diffusione sarebbe stata favorita da dinamiche mimetiche e imitative di alcuni parlanti che ravvisano il promanare una “certa aura di prestigio” dalla semplice origine settentrionale di un vezzo lessicale. Si tratta di un fenomeno socio-linguistico che, da un punto di vista [[diamesia|diamesico]] nasce sicuramente dal linguaggio parlato, ma non germoglia da un terreno [[italiano popolare|comunicativo popolare]], bensì sembra essersi fatto strada da un ambito iniziale, probabilmente circoscritto, di ambienti agiati del settentrione d’Italia. === Irradiazione mediatica === Al pari di altri malvezzi (come l’espressione “[[assolutamente sì]]”, introdotto nell'[[italiano popolare|uso popolare]] per [[interferenza linguistica]] del [[doppiaggese]]), un ruolo fondamentale nella sua diffusione si deve all’influenza esercitata, sulla [[società di massa|società]] e sulla [[cultura di massa]], dai [[mezzi di comunicazione di massa|mezzi di comunicazione più diffusi]], divenuti, per la loro pervasività e l’impatto emozionale sulla [[società dei consumi]], i veri arbitri delle tendenze, dei tic e delle mode dell'[[Storia della lingua italiana|evoluzione dell’italiano]]: infatti, una certa venatura di “[[snobismo]]” insita in questa espressione è stata prontamente e “golosamente intercettat[a]” dai [[Conduttore televisivo|conduttori]] e [[giornalista|giornalisti]] del [[televisione italiana|mezzo televisivo]] o [[Radio (mass medium)|radiofonico]] che l’hanno disseminata e trasformata in un fenomeno [video virale|virale], un vero e proprio [[tormentone]]: si può dire che non passi giorno senza che sia possibile ascoltarlo o leggerlo su giornali quotidiani o riviste. Come spesso avviene con il mezzo televisivo, gli effetti di questa influenza dei mass media non si sono dispiegati solo sugli [[Stratificazione sociale|strati]] e le [[classe sociale|classi sociali]] culturalmente più deboli e meno avvedute. Da un punto di vista [[Diastratia|diastratico]] il parlante che ne fa uso appartiene, tipicamente, a una tipologia di “adulto colto” professionalmente inquadrabile come “impiegato/dirigente/docente”, senza differenze in base al sesso, mentre, dal punto di vista [[diafasia|diafasico]], l’uso non sembra fare distinzioni tra [[registro linguistico]] informale e formale. Sono probabilmente da classificare come una scia di questo fenomeno quei segni, che si avvertono sporadicamente, di un’analoga forma di appiattimento sul significato disgiuntivo che riguarda la congiunzione “anziché”. ==Reazioni== Come detto, l’uso disgiuntivo dell’espressione è deprecato dai linguisti per la potente carica di “[[ambiguità]] sostanziale” di cui essa è portatrice. Il [[glottoteta]] [[Diego Marani]], sull’inserto domenicale del [[Il Sole 24 ORE|Sole 24 ORE]], a conclusione di un’inchiesta [[Gioco linguistico|ludo-linguistica]] tra i lettori del supplemento culturale, basata sul gioco delle “”Parole da buttare””, la classificava tra quelle espressioni che, dal punto di vista [[semiotica|semiotico]], sono depotenziate di quasi ogni contenuto [[comunicazione|comunicativo]], classificabili, al pari del ”[[mi consenta]]” [[Berlusconismo|berlusconiano]], tra gli inutili arnesi del lessico di ”[[Porta a Porta]]”, meri espedienti formulari, utili solo «a tenere il microfono», ma con uno spessore semantico equivalente a quello di un grugnito. Da un punto di vista della solidità del suo uso, Giuseppe Antonelli lo classifica tra i “[[idiotismo|modismi]]”, quelle «”voci, espressioni, formule, intercalari, accomunati proprio dalla grandissima diffusione di cui godono in un determinato (di solito breve) periodo [e che] nel periodo di massima fortuna rimbalzano continuamente dal parlato allo scritto (e viceversa) e riescono a infiltrarsi nei contesti più svariati, passando presto dall’uso all’abuso”». Il successo, per alcuni presumibilmente effimero, di simili [[idiotismo|idiotismi]], fa parte di un processo di creazione dal basso di quella che Ornella Castellani Pollidori chiama la “”lingua di plastica””. Ma il debordare dell’uso causa anche reazioni [[idiosincrasia|idiosincratiche]] nei lettori e negli osservatori non professionali, come dimostrato dalle stroncature provenienti dagli stessi lettori di [[Diego Marani]], da quest’ultimo registrate nello stesso gioco delle “parole da buttare”: in quell’occasione, si era sul declinare dell’anno 2003, l’uso disgiuntivo di “piuttosto che” si classificò al quarto posto, preceduto solo da “”quant’altro””, dal connubio “[[assolutamente sì|”assolutamente sì/assolutamente no”]]” e da “”un attimino””. ==Note== {{references|2}} ==Bibliografia== * [[Carla Bazzanella]] e Mirella Cristofori, «”Piuttosto che” e le alternative non preferenziali. Un mutamento in atto?», in «”Cuadernos de Filología Italiana”», ”’5”’ (1998), pp. 267-278. * [[Ornella Castellani Pollidori]] [http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/uso-piuttosto-valore-disgiuntivo Sull’uso di ”piuttosto che” con valore disgiuntivo], in «”La Crusca per voi”», aprile 2002, n° 24 (pp. 11-12). * [[Stefano Bartezzaghi]], ”Non se ne può più. Il libro dei tormentoni”, [[Mondadori editore|Mondadori]], 2010 ISBN 978-88-04-61211-7. * [[Beppe Severgnini]], ”L’italiano. Lezioni semiserie”, [[Rizzoli editore|Rizzoli]], 2007 ISBN 978-88-17-01311-6. * [[Lorenzo Renzi (linguista)|Lorenzo Renzi]], ”Come cambia la lingua. L’italiano in movimento”, [[collana editoriale|coll.]] ”Universale paperbacks” [[il Mulino]], 2012 ISBN 978-88-15-23780-4. * [[Giuseppe Antonelli (linguista)|Giuseppe Antonelli]], ”L’italiano nella società della comunicazione”, [[collana editoriale|coll.]] ”Universale paperbacks”, [[il Mulino]], 2007 ISBN 978-88-15-11376-4. *[[Diego Marani]], ”Spazza dizionario 2003. Si conclude il gioco delle “parole da buttare”, un inventario della parole che i nostri lettori vogliono avviare allo smaltimento”, Supplemento domenicale del “[[Il Sole 24 ORE|Sole 24 ORE]]”, 28 dicembre 2003 * [[Edoardo Lombardi Vallauri]], ”Parlare l’italiano. Come usare meglio la nostra lingua”, [[il Mulino]], 2012 ISBN 978-88-152-3973-0 * [[Valeria Della Valle]], [[Giuseppe Patota]], ”Piuttosto che. Le cose da non dire, gli errori da non fare”, [[Sperling & Kupfer]], 2013 ISBN 978-88-733-9791-5. * [http://www.treccani.it/enciclopedia/piuttosto-che_(La_grammatica_italiana)/ {{Maiuscoletto|Piuttosto che}}], ”La grammatica italiana” (2012), [[Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani]]. == Voci correlate == * [[Assolutamente sì]] * [[Italiano neostandard]] == Collegamenti esterni == * Domenico Forgione, ”[http://www.agoravox.it/L-italiano-questo-sconosciuto.html L’italiano, questo sconosciuto]”, da [[AgoraVox]], 19 dicembre 2011. * Mariangela Dicillo, [http://www.barinedita.it/storie-e-interviste/n1279-dall-attimino-al-piuttosto-che–dove-nascono-le-storpiature-dell-italiano ”Dall’attimino al piuttosto che: dove nascono le storpiature dell’italiano. Intervista a Valeria Della Valle], 9 aprile 2014. {{Portale|linguistica|moda|sociologia}} [[Categoria:Espressioni comuni della lingua italiana]]