Il terzo Stato era uno dei ceti in cui era divisa la società francese prima della rivoluzione, chiamato così perché in ordine di importanza veniva dopo i primi due, la nobiltà e il clero. Per numero di componenti largamente preponderante rispetto agli altri due ceti, in quanto comprendente tutti gli strati popolari. Nell’anno della Rivoluzione si trattava di 25 milioni di persone, fra borghesia, contadini e operai, contro circa quattrocento o cinquecentomila nobili e clero, e costituiva circa il 98% della popolazione francese (roturier), l’unica parte che pagava le tasse, in quanto i nobili e il clero ne erano esenti, potendo contare anche su numerosi privilegi ed un diverso trattamento giudiziario. Alla vigilia della Rivoluzione il malcontento di questo ceto sociale era fortissimo per il forte disagio economico presente nel Paese. L’abate Emmanuel Joseph Sieyès scrisse un opuscolo politico nel gennaio del 1789 che ebbe grande successo, che iniziava con queste domande: «Che cos’è il terzo stato? Tutto. Che cosa è stato finora nell’ordinamento politico? Nulla. Che cosa chiede? Chiede di essere qualcosa» (Sieyès, Che cos’è il terzo Stato?). Con gli Stati generali del 1789, su iniziativa di Jacques Necker, il terzo Stato poteva disporre di un numero doppio di rappresentanti eletti (550 dei 1100 componenti), rispetto alla convocazione del 1614. Tuttavia in questa assemblea il voto tradizionale non era per testa ma per Stato e quindi pur essendo numericamente minoritaria l’alleanza tra nobiltà e clero era sempre vincente. Il contrasto su questo tema fondamentale, con il clero che in buona parte non appoggiò l’istanza sul nuovo metodo di voto, portò alla costituzione di un’altra assemblea nazionale, dando inizio alla Rivoluzione francese.