Con toscano s’intende una serie di parlari romanzi parlati nell’area d’Italia corrispondente oggigiorno alla regione Toscana, con l’esclusione della provincia di Massa e Carrara, e dell’Alta Garfagnana dove si parlano invece dialetti settentrionali gallo-italici. Caratteristica principale di questi idiomi è quella di essere sostanzialmente parlati. Questo fatto garantisce una chiara distinzione dall’italiano, che da sempre (e soprattutto fino al 1860) è stata una lingua quasi esclusivamente scritta, letteraria, aristocratica, parlata dalle élite scolarizzate. Il toscano quindi è un sistema linguistico allo stesso tempo innovativo (grazie all’uso vivo), ma anche conservativo, arcaizzante, grazie al suo (ancora oggi forte) legame con le aree più rurali della regione. Popolarmente il toscano non veniva considerato un dialetto italiano data la grande somiglianza con l’italiano colto di cui, peraltro, è la fonte (sia pure modificatasi nel tempo rispetto al toscano del Trecento), ma veniva considerato invece una semplice variante o “vernacolo” dell’italiano; nella letteratura linguistica si è comunque sempre parlato di dialetto toscano anche se oggi si preferisce considerare i parlari toscani un insieme di dialetti romanzi parlati in Italia, al pari di tutti gli altri, piuttosto che un dialetto della lingua italiana. I primi contributi letterari significativi in toscano risalgono al XIII–XIV secolo con le opere di Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, e successivamente nel XVI secolo con Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, che conferirono ai parlari toscani la dignità di “lingua letteraria” della penisola. Al momento dell’unificazione dell’Italia fu scelto come lingua da adoperare ufficialmente, mettendo fine a una secolare discussione, a cui aveva partecipato anche Dante (nel De vulgari eloquentia), che vedeva due fazioni contrapposte, una che sosteneva la nascita di una lingua italiana sulla base di un dialetto e un’altra che si proponeva di creare una nuova lingua che prendesse il meglio dai vari dialetti. Prese piede agli inizi del XIX secolo proprio la prima corrente, soprattutto grazie al prestigioso parere di Alessandro Manzoni (molto nota è la vicenda relativa alla scelta della lingua per la stesura de I promessi sposi e i panni sciacquati in Arno), ma non poche furono le critiche mossegli da chi sosteneva (in primo luogo il glottologo goriziano Graziadio Isaia Ascoli) che il toscano era un dialetto come gli altri e una vera lingua nazionale avrebbe potuto nascere solo dopo l’incontro tra le varie culture del paese.